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Scegliere
temi connessi alla realtà della detenzione: possono essere le esperienze
precedenti l’arresto (la devianza, la tossicodipendenza, l’immigrazione,
etc.), problemi interni al carcere (la salute, il rapporto con i compagni e
con gli operatori, il lavoro, etc.), oppure legati al reinserimento (le
relazioni con i famigliari, l’accesso ai benefici, le difficoltà del dopo
– carcere, etc.).
Su
questi argomenti è probabile che i redattori – detenuti abbiano cose più
originali da dire, rispetto ad un "normale" giornalista esterno al
carcere, quindi devono sfruttare la propria conoscenza della materia per
catturare l’interesse dei lettori.
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Tra
i toni della denuncia urlata e quelli del lamentarsi continuo, meglio
scegliere una terza via: i toni asciutti ed essenziali del racconto dei
fatti sono sempre più efficaci degli sfogatoi o delle sbrodolate come certe
invettive contro i politici, tipo "i signori politici che non si
interessano mai di carcere…". Imparare poi a fare delle distinzioni:
i politici, per esempio, non sono tutti uguali, e non serve a nessuno una
accusa generica, meglio dire chi e in quale circostanza ha dimostrato questo
totale disinteresse al carcere.
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Ricordarsi
sempre di chi sono i propri lettori: se si pensa che a leggere il giornale
siano detenuti, operatori, ma anche cittadini comuni con qualche interesse
per il sociale, si devono evitare i linguaggi troppo specialistici, spiegare
i termini tecnici (per esempio, "attività trattamentale" e
"sintesi": un lettore comune non capirà mai, se non glielo
spieghiamo, il significato che hanno questi termini nella realtà
carceraria).
Il
linguaggio poi non deve essere troppo ricercato, tanto per far vedere come si
è bravi. Le biblioteche sono piene di trattati sul carcere, scritti da
giuristi, sociologi e via dicendo. Da un detenuto ci si aspetta altro, cioè
che racconti con la testa e col cuore quello che sta vivendo ed i pensieri che
la sua esperienza gli suggerisce.
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Partire
dall’esperienza individuale per introdurre i lettori a problematiche di
carattere collettivo. I "racconti di vita" suscitano emozione e
curiosità (che, davanti al "caso singolo", corrono il rischio di
trasformarsi in compassione, un sentimento nobile ma spesso sterile). Invece
se tra le righe del racconto personale si possono riconoscere problemi
comuni, o almeno condivisi da un gruppo di persone (ad esempio i
tossicodipendenti, gli stranieri detenuti etc.), è più facile che il
lettore sia indotto a riflettere, a porsi domande, a ricercare possibili
soluzioni.
Va
comunque evitata la personalizzazione eccessiva, con racconti di vicende che
hanno a che fare con la posizione giuridica delle persone, il loro rapporto
con la Magistratura di Sorveglianza, eventuali conflittualità con operatori
penitenziari: un caso personale, naturalmente verificato, deve esclusivamente
servire ad affrontare un problema, non ad aprire una vertenza del singolo, a
meno che non si decida insieme che va fatta una denuncia precisa di una
situazione insostenibile (esempio: una redazione può far propria la denuncia
di un detenuto che chiede la chiusura del reparto bunker dell’ospedale, dopo
aver vissuto sulla propria pelle il degrado di tali spazi).
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Prima
di scrivere un articolo di "cronaca" bisogna documentarsi,
raccogliere informazioni (da tutte le fonti possibili), studiare un po’ la
materia. La lettura delle rassegne stampa sul carcere può essere un valido
aiuto per spunti di discussione e di approfondimento. A maggior ragione è
importante documentarsi se si vuol fare un articolo di denuncia, che deve
essere preciso e argomentato, altrimenti risulta inefficace perché poco
credibile. In ogni caso, negli articoli bisogna imparare ad usare il
condizionale e gli avverbi dubitativi, ed evitare le affermazioni drastiche.
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Dare
agli articoli un taglio prettamente "sociale", evitando di
scivolare sul terreno delle ideologie, dove si corre il rischio di discutere
all’infinito senza approdare ad alcun risultato. Un atteggiamento privo di
pregiudizi appare coerente con la propria condizione di detenuti: se
vogliamo che la società non ci discrimini noi per primi dobbiamo astenerci
dal fare discriminazioni…
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Evitare
gli articoli generici, con delle "tirate" inutili su temi come il
lavoro in carcere o la rieducazione, tutte teoriche: se si parla di un
argomento come il lavoro, meglio raccontare attività concrete, precise,
interessanti perché "esportabili" da un carcere a un altro.
Oppure novità in campo legislativo, o ancora segnalazioni di esperienze
attraverso la voce dei protagonisti stessi.
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Sui
problemi più complessi è molto utile una discussione preliminare in
redazione, prima di mettersi a scrivere. Ed è utile poi organizzare i
propri materiali in una scaletta, e non scrivere a getto continuo, per non
costringere il lettore a inseguire faticosamente nel suo disordine mentale
chi scrive un articolo, che dovrebbe invece informarlo e chiarirgli le idee.
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Vanno
evitate assolutamente le generalizzazioni, che piacciono sempre molto e
apparentemente sembrano molto efficaci: in realtà, dire "Tutti
i corsi di formazione in carcere sono slegati dai possibili sbocchi
lavorativi" è un falso, dire "Molti corsi di formazione…"
è vero e condivisibile.
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Nella
scelta dei libri da recensire, vanno privilegiati i libri che hanno a che
fare col carcere o con il disagio: non per una attenzione
"monomaniacale" al carcere, ma perché è difficile che un lettore
sia interessato alla recensione di un romanzo, fatta da un dilettante, è
invece possibile che lo sia, se questo recensore dilettante conosce però
meglio di chiunque altro la materia trattata nel libro.