Ristretti Orizzonti

 

Prevenzione del crimine: nel Paper IZA n. 2912

indulto usato per testare la deterrenza

Ogni aumento della punizione attesa indebolisce la propensione a commettere

reati, ma l’effetto è minore per chi ha già scontato condanne molto lunghe

di Francesca Carbone, redazione di Ristretti Orizzonti

 

1 ottobre 2007

 

L’indulto prevede che tutti coloro che ricommettono un reato durante i cinque anni successivi al 31 luglio 2006 e ricevono per esso una condanna superiore ai due anni, perdono il tanto discusso beneficio concesso loro quest’estate. Ciò equivale a dire che durante i cinque anni che seguono al loro rilascio dal carcere in conseguenza dell’indulto, gli ex detenuti sanno che se delinqueranno ancora ad aspettarli ci sarà la sanzione per il nuovo crimine commesso, più una condanna aggiuntiva pari al residuo della pena estinta dal recente provvedimento di grazia collettiva.

 

Sono stati precisamente questi aspetti istituzionali dell’indulto a portare all’elaborazione del Paper numero 2912 dell’IZA, l’Istituto per lo Studio del Lavoro di Bonn e centro internazionale di ricerca. Gli autori - Francesco Drago, dell’Università Parthenope di Napoli e IZA, Roberto Galbiati dell’European University Institute e Pietro Vertova dell’Università di Bergamo e dell’Università Bocconi, hanno riconosciuto proprio nel provvedimento entrato in vigore l’ultimo giorno di luglio la condizione di una variazione esogena nelle condanne attese, una situazione che si verifica rarissimamente e che è ideale per testare l’effetto deterrente delle condanne.

 

Il sistema penale può scegliere fra diverse opzioni quando l’obiettivo da raggiungere è la prevenzione dei crimini, la paura della sanzione è una di queste. La teoria della deterrenza generale afferma che tale timore possa frenare gli individui dal commettere i reati, suggerendo che ogni aumento marginale della punizione attesa riduce – a parità di altre condizioni - la propensione a commettere tali atti. Accanto a questa teoria, c’è quella della deterrenza specifica, secondo la quale una più forte esperienza di punizione dovrebbe aumentare la sensibilità a future punizioni attese.

 

Il Discussion Paper IZA 2912 del luglio 2007, che si intitola "L’Effetto Deterrente del Carcere Evidenza da un Esperimento Naturale", ha testato la validità di queste due teorie usando il database del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria italiana (DAP) sulla popolazione degli individui scarcerati con l’indulto fra il 1° agosto 2006 e il 28 febbraio 2007: si tratta di 25813 individui, l’85% dei quali è tornato in libertà il primo giorno del provvedimento. Una banca dati che conserva traccia delle violazioni di legge ad opera degli stessi ex detenuti per l’arco di tempo che va dalla loro scarcerazione al 28 febbraio 2007.

 

I risultati dalla ricerca di Drago, Galbiati e Vertova confermano la teoria della deterrenza generale con un mese aggiuntivo alla condanna attesa che – secondo gli studiosi - riduce dell’1,24 per cento la propensione a ricommettere un crimine; smentita invece la teoria della deterrenza specifica, con l’effetto preventivo della paura della sanzione che risulta essere differente a seconda degli individui e dei periodi di tempo che questi trascorro in carcere: tanto più a lungo il soggetto è rimasto in prigione infatti, tanto più debole è su di lui l’effetto deterrente di un mese aggiuntivo alla condanna attesa.

 

Un risultato significativo perché mostra come accrescendo la durezza della pena in alcuni casi si ottenga l’effetto opposto a quello sperato, e che la dice lunga sulle inflazionate generiche richieste di una giustizia più severa.