Ristretti Orizzonti

 

Reportage: I senza dimora di Washington DC

in picchetto permanente davanti alla Casa Bianca

di Francesca Carbone, redazione di Ristretti Orizzonti

 

20 settembre 2007

 

La visita alla White House di Washington è la tappa obbligata del turista a DC. Più che una visita è una camminata lungo la cancellata che segna il confine fra il mondo dei comuni mortali e il regno del presidente americano, che sua eccellenza – come tutti i bravi governatori del mondo – permette al popolo di sbirciare, dalle fessure delle grate. Proprio davanti a quella che sino al novembre 2008 sarà la Casa di George W. Bush, si trova un "picchetto permanente" di senza dimora.

 

Qualche sedia e una brandina, un po’ di cibo, un telo per ripararsi quando piove, giornali, un cane e borse e sacchetti di ogni tipo. Appese a dei panelli in legno delle fotografie: il fungo sprigionato dalla bomba atomica su Nagasaki, un bimbo deformato fra le braccia della sua tristissima madre, ancora immagini di distruzione…poi, foderati da una pellicola di plastica, articoli di giornale che raccontano la storia di quell’avamposto e dei suoi fondatori.

 

In rassegna le foto degli enormi cartelloni, disegni e poster con cui i senza dimostravano nei primi anni, poi dichiarati fuori legge perché lesivi del senso estetico: c’è il Parco di Lafayette proprio lì accanto…; esposte anche le immagini dei molti oggetti che nel tempo hanno tenuto compagnia alla protesta/proposta del picchetto: una bicicletta, una vecchia macchina da scrivere, un water… anche questi non ci sono più.

 

La gente che si trova a passare di lì si ferma, osserva, scambia due parole con i "picchettatori", legge i loro messaggi e i ritagli di giornale. Alcuni articoli parlano di una certa Mrs Piccioto e di un tal William Thomas come dei padri fondatori di questa protesta. Thomas - si legge in un reportage del 1985 apparso sul Wall Street Journal - ha buttato via il suo passaporto statunitense dichiarandosi "una persona senza cittadinanza" e iniziando così la sua protesta. Era il 1980.

 

Mi avvicino agli abitanti di quel mini-accampamento e chiedo che fine abbia fatto quel tale: «Thomas sono io, in persona», mi risponde un uomo sulla sessantina, bianco, sollevando lo sguardo dal quotidiano del giorno. Non posso non pensarci: sta lì davanti da quando sono nata, nel 1981; mentre imparavo a camminare e dicevo le prime parole lui era lì, da quando ho iniziato ad andare a scuola a quando mi sono laureata lui era ancora lì; ed ora che ho cominciato a lavorare, me lo ritrovo davanti mentre sono in vacanza dall’altra parte dell’emisfero: non riesco a non pensare a quanto tempo abbia trascorso in quei pochi metri quadrati.

 

«Reagan, Bush padre, Clinton e quest’ultimo campione della democrazia e difensore della libertà che governa dal 2001: sono cambiati i nomi, ma io sono sempre rimasto qui davanti a protestare, e a manifestare per la libertà, la pace e la giustizia. Questa è la mia scelta di vita, il mio contributo per portare le persone a riflettere sul fatto che stiamo distruggendo il pianeta».

William mi racconta delle decine di volte che è stato arrestato, delle cause in tribunale, alcune vinte altre no. «L’ultima volta mi hanno portato via per "camping illegale", ma io non faccio campeggio: io protesto!».

 

Accanto a lui c’è una donna con un enorme affare in testa: «È un elmetto che mi protegge dalle radiazione sprigionate dai centri del potere, che mirano a controllare le nostre teste e le nostre anime» mi spiega lei. Mi faccio suggestionare e così mi sembra che la signora abbia dei tratti che ricordano un qualcosa di italiano. Sto per chiederle se è la Mrs. Picciotto degli articoli di giornale, quando un uomo alto e imponente mi ruba la parola. «Tutto ciò che voi mostrate qui è davvero triste – esordisce rivolto alla donna con l’elmetto – pure alle volte si rendono necessarie scelte che non vorremo mai dover fare».

 

Inizia così fra i due un’infuocata discussione e presto succede l’inevitabile poiché dai discorsi generali sulla pace nel mondo, si arriva a questionare la legittimità dell’invio e della permanenza delle truppe americane in Iraq. Da una parte quell’uomo – evidentemente molto istruito - venuto in visita alla Casa Bianca con la sua famiglia, dall’altra una barbona che da anni si lava ogni giorno ai bagni pubblici e mangia quel che le offrono passanti o associazioni; lui non lo menziona, ma da come parla ricopre di sicuro – o lo ha fatto in passato - una carica all’interno di un qualche corpo armato americano, lei invece è una homeless: stiamo parlando di due individui che in altre circostanze non si sarebbero neppure guardati in faccia.

I figli dell’uomo sembrano tenersi in disparte, in realtà rimangono abbastanza vicini da sentire ogni sua parola. La moglie invece gli è accanto, un passo dietro di lui, muta. Si è ormai radunata una folta folla, ma quasi nessuno è di colore, il che stona in una città abitata per il 70% da neri. E stona ancor di più, perché il parco di Lafayette lì dietro è, come tutti gli altri parchi della città, popolato per la stragrande maggioranza da black homelesses: senza dimora neri fra i quali molti sono veterani del Vietnam. Fra la gente che circonda ora il picchetto c’è però un ragazzo "caffèlatte" – diremmo noi, – con i dreadlocks, ma molto ordinato e distinto: «Tipica coppia americana – commenta sussurrando -: sicuramente quando sono a casa è solo lui che parla e decide cosa si può dire e cosa no, mentre lei, anche se ha delle opinioni, deve solo tacere e preparare la cena».

 

Sto quasi cedendo alla tentazione di credere a quel ritratto dell’America media, quando arriva un’altra "coppia di locali", di ritorno da una passeggiata; ma fra i due il remissivo sembra piuttosto il marito, a giudicare dalla foga con cui lei interviene a dar man forte alle opinioni del militare. E sì che a guardarla sembrava la dolce mamma dei telefilm…una iena! Per cinque-dieci minuti i due sostengono che la vita degli iracheni sia migliorata dopo l’occupazione americana, mentre i senza dimora del picchetto negano che possa essere così.

 

Poi, all’improvviso e come per magia, la discussione passa su un altro piano e la battaglia per provare o negare la legittimità della presenza delle truppe in Iraq inizia a combattersi a colpi di Sacre Scritture. La palla per i senza dimora passa ora dalla donna con l’elmetto a quello che immagino essere l’esperto religioso del picchetto. Per sostenere le proprie argomentazioni in tema di sicurezza e auto-difesa, o invasione del principio di autodeterminazione di ogni stato, entrambe le parti citano ora versetti su versetti, sembra di essere a "Passaparola": «Cosa dice il Profeta X nel libro Y al versetto Z?», così il dotto barbone incalza la donna iena. E quella risponde pronta, recitando le parole del profeta e contrattaccando: «Ma Lui non intendeva questo, piuttosto quell’altro…infatti, come possiamo leggere nel libro…bah bah bah…». A un certo punto, e davanti a una folla sempre più numerosa, la discussione sulla questione Iraq sembra finalmente trovare in San Paolo di Tarso la chiave di lettura. Ma anche le sue parole danno adito a opposte interpretazioni.

 

«Ma perché mai San Paolo deve essere considerato una tale autorità in campo cristiano?– interviene il ragazzo coi rasta -, neppure ha avuto modo di conoscerlo Gesù nella sua vita terrena!»

Seguono cinque secondi di silenzio nell’imbarazzo generale, ma il militare ci salva tutti, quando con sguardo comprensivo e benevolo si rivolge al rasta: «Lo Spirito Santo è calato su San Paolo e tramite lui Dio ha parlato. Lascia che ora io ti spieghi la verità ». Il ragazzo viene rapito dall’uomo per sorbirsi un buon quarto d’ora di catechesi, e quando finalmente riesce a tornare fra noi mi dice:

 

«È per questo che l’America è allucinante: non solo la giustezza o meno della guerra in Iraq - come di quella in Vietnam e di tutte le altre- viene cercata nella religione; ma soprattutto i testi religiosi sono interpretati in senso letterale e senza alcuna considerazione del periodo storico e delle ragioni politico-economiche per cui sono stati scritti. Nessuno si domanda perché i vangeli canonici sono diventati "sacri" e considerati "parola di dio", mentre altri testi no!».

 

Secondo lui è evidente come le prime comunità cristiane in concorrenza fra loro all’inizio, e successivamente anche l’impero romano e la Chiesa, abbiano puntato su alcuni testi e personaggi della cristianità a seconda dei loro interessi. «Ma basta guardare ai nomi degli apostoli e degli evangelisti, tutti fittizi, tutti romanizzati: Pietro, Tommaso, Matteo, Luca…nessun seguace ebreo di Gesù avrebbe mai potuto chiamarsi con quei nomi!». Nessuno gli risponde, seguono cinque secondi di silenzio che sa di perplessità. Senza neppure provarci col militare - fatica persa! – il rasta parla ora ai senza dimora, e continua: «Tutti nomi romani tranne uno, quello di Giuda, che è chiaramente ebreo!». Non può trattarsi di una coincidenza, lui ci vede addirittura le radici dell’antisemitismo: «Chi tradisce Gesù? L’unico con un nome ebreo!».

 

I "picchettatori" ora mostrano di seguirlo con rispetto, non altrettanto però di capirlo o condividere ciò che dice. Lui quindi prova con la carta "Gospel of Judas", un manoscritto ritrovato nel 1978 che alcuni studiosi attribuiscono al discepolo traditore, pagine che raccontano di un rapporto di fortissima complicità e confidenza fra questi e Gesù: «È un Gospel che tra l’altro risale agli anni in cui Gesù è vissuto, una vicinanza temporale che ne rende più probabile la veridicità storica. E invece no, per carità! Questo Vangelo - come tanti altri testi ritrovati – è considerato non attendibile, mentre i vangeli canonici – pur scritti decine di anni dopo la morte di Gesù– sono "parola di Dio". Giuda – rincara il ragazzo, è il traditore, mentre a Pietro, che rinnega Gesù tre volte, vengono consegnate le chiavi del Paradiso: un po’ strano, no? E Tommaso? Vogliamo parlarne? Perché tanto rispetto per il discepolo che dubita per eccellenza?».

 

Così il rasta arriva a San Paolo: «Fra i più zelanti e decisi nel combattere la religione di Gesù, ma citato a gran voce qui, ora, per provare la giustezza o meno della guerra in Iraq!!!».

Ma il ragazzo non ce l’ ha fatta! Ha perso per la strada militare, donna iena, "picchettatori" senza dimora… che l’hanno via via liquidato per tornare a combattersi in una nuova crociata…

Il ragazzo si arrende e se ne va, con l’aria di chi conosce a memoria il copione.

 

Mentre guardavo i suoi dread allontanarsi amareggiati in direzione Capitol Hill, mi risuonava in testa l’eterna diatriba fra chi vuole che siano stati gli ebrei a uccidere Gesù, e chi contesta dicendo che erano i romani a comandare nella provincia – romana - della Giudea. Lo guardavo e pensavo ai tanti convinti che Gesù andasse in giro dicendo di essere il figlio di Dio, quando nessun bravo ebreo avrebbe mai pronunciato una frase simile. Camminavo e pensavo a quante cose si credono vere. Riflettevo su quanto potente è la religione, se incide così tanto nel dibattito sulla sicurezza nazionale della prima potenza al mondo, e se costituisce l’unica piattaforma d’incontro e scontro ad armi pari fra primi e ultimi (i senza dimora) della scala gerarchica sociale, persone che mai altrimenti potrebbero affrontarsi nella società per eccellenza basata sulla competizione e l’esclusione.

 

La discussione lì al picchetto continua, ma io ho davvero bisogno di un po’ d’aria: troppe cose, troppi discorsi. Non ci siamo più abituati, io e la mia Italietta.