Il carcere in Piemonte

 

Consiglio Regionale del Piemonte. Gruppo Consiliare Rifondazione Comunista

10121 - Torino, Via S. Teresa 12 - e-mail: rifondazionegrupreg@tiscalinet.it

Tel. 011.5757404 – 011.5618228 - fax 011.5618103

 

a cura del Consigliere Mario Contu, con la collaborazione di Roberto Moretto

 

Il sistema carcere in Piemonte

 

Premessa

 

Il carcere, inteso non come struttura fisica ma nel senso degli individui che vi sono rinchiusi o che ci lavorano, ha (o meglio, deve avere) pieno diritto di cittadinanza sul territorio. Non siamo più all’ottocentesco lazzaretto in cui confinare la devianza sociale, alle alte mura in cui rinchiudere pazzi, vagabondi, criminali e oziosi. Già il dettato costituzionale enunciava che la finalità della pena è tesa alla rieducazione del condannato, la pena detentiva, in buona sostanza, non deve essere altro che una provvisoria sospensione della libertà di movimento e non può "consistere in trattamenti contrari al senso di umanità". Ma forse la migliore immagine di quel che deve essere il carcere la ha data il direttore del Dap degli anni ‘80, Nicolò Amato, "il carcere deve essere una casa di vetro".

È in quest’ottica che, in quanto Consigliere regionale, ho inteso utilizzare la prerogativa istituzionale che mi riconosce diritto d’ispezione sulle carceri della mia Regione; ho inteso questa possibilità, spesso negletta dalla massa dei Consiglieri, come un obbligo morale per occuparmi, anche, di queste persone che, pur nell’oggettiva separatezza fisica, devono conservare intatti i loro diritti di cittadinanza.

Nell’ottobre 2002 ho quindi deciso di avviare un’organica attività di monitoraggio che, prescindendo dalle singole emergenze, mi consentisse un’attenta mappatura del carcerario piemontese; in questo "giro" per tutti gli Istituti Penitenziari del Piemonte mi ha accompagnato Roberto Moretto, un collaboratore del Gruppo consiliare, e, fino alla pausa estiva, Maurizio Poletto della Camera del Lavoro Metropolitana di Torino; volta per volta si sono aggregati i varî consiglieri comunali, provinciali o segretari di federazione del luogo dov’era ubicato il carcere.

I 13 istituti del Piemonte sono stati da noi visitati in due tranche; una prima è terminata a febbraio e ne avevamo già tratto un bilancio parziale riassunto in un articolo comparso a febbraio su "Liberazione" che rendeva conto dei primi 7 istituti visitati. A ottobre abbiamo ripreso la nostra attività e ci siamo recati nei sei istituti restanti e con la visita alla C.C. di Verbania del 12 novembre abbiamo terminato le visite agli istituti piemontesi. A questa relazione alleghiamo una tabella con i dati "anagrafici"che fotografano la realtà dei 13 istituti piemontesi, sia per quanto concerne la popolazione detenuta che coloro che lavorano negli Istituti (Polizia Penitenziaria, impiegati amministrativi e, soprattutto, educatori). Passiamo ora ad esaminare le varie problematiche riscontrate nel circuito penitenziario piemontese.

 

Sovraffollamento

 

Come si evince dalla lettura dei dati, salvo poche eccezioni a Cuneo, Fossano e Verbania e dovute più che altro alla creazione dei c.d. "circuiti", si vede che mediamente la regione Piemonte ha una percentuale di sovraffollamento del 27 %, più o meno in linea con il dato nazionale; ma, eccezion fatta per questi tre carceri, vediamo che la maggioranza degli Istituti del Piemonte ha un indice di sovraffollamento tra il 30 ed il 60 %. Ma al di là delle nude cifre bisogna vedere con i propri occhi cosa significa il termine "sovraffollamento" applicato alla realtà della cella di un carcere. Nella migliore delle ipotesi vuol dire che in una cella prevista per una persona (circa due metri per tre più il bagno) è stato aggiunto un secondo letto a castello; il tavolino rimane solo uno e su questo tavolino i due coinquilini devono a turno fare tutto: cucinare, scrivere etc.; un secondo ospite implica un aumento, se non il raddoppio, degli armadietti in dotazione, raddoppierà anche lo sgabello su cui sedersi etc. etc.

Di colpo ci accorgiamo che se nei sei metri quadri cominciamo a mettere un letto a castello, un tavolino, due sgabelli, quattro armadietti (di cui due lunghi) e poi vogliamo che due esseri umani ci passino venti ore al giorno… parlare di risocializzazione diventa poi un po’ ridicolo quando non si riesce neanche a garantire delle condizioni di vita decenti.

In più quando ad un carcere con un numero di detenuti più alto del normale si somma il fattore di un’Area Pedagogica (gli educatori) estremamente deficitaria nelle sue risorse umane s’intuisce facilmente come qualsiasi percorso di reinserimento sociale che passi attraverso le misure alternative alla detenzione resti molto velleitario… i tempi si dilatano a dismisura e tanti detenuti che magari a queste misure avrebbero diritto, terminano prima di scontare la loro pena… e restituire alla società un ex detenuto liberato unicamente perché ha terminato di scontare la propria pena, al quale non è stato proposto alcun intervento risocializzante, nessun percorso di rielaborazione critica del vissuto se non il mero contenimento in condizioni di spazi ristretti, beh! Si rischia di liberare un soggetto che ha diversi (e giustificati) motivi di rancore verso una società che enuncia bei principi, ma poi non li applica… questo non è certo il sistema migliore per prevenire la recidiva.

 

Carenza di organico

 

Abbiamo riscontrato che nei tre settori dei lavoratori che prestano la loro opera in carcere da noi presi in esame (Polizia Penitenziaria, impiegati amministrativi ed educatori) tutti sono sottodimensionati e che questo dato è spalmato omogeneamente nella realtà del circuito penitenziario piemontese. La mancanza di personale crea gravi difficoltà alla vita quotidiana dei detenuti: dalla riduzione delle ore di socialità, alla difficoltà di essere accompagnati in ospedale per le visite mediche specialistiche, alla frequenza dei colloqui con i famigliari, alle attività risocializzanti previste all’interno ed eventualmente all’esterno del carcere.

La Polizia Penitenziaria ha una carenza d’organico media del 20%, con punte che sfiorano il 27% ed è il settore dove la situazione è meno drammatica forse perché è quello numericamente più consistente e (dopo la smilitarizzazione e la riforma del Corpo) quello più sindacalizzato. Qui abbiamo però scoperto un curioso particolare: il dato non è omogeneo a livello nazionale, anzi le carenze del Nord Italia sono specularmente bilanciate (si fa per dire!) da organici sovradimensionati al Sud; dall’Abruzzo in giù la media è del 130% ma ci sono Case Circondariali con presenze del 180% della Pianta Organica!

Il comparto amministrativo in Piemonte mediamente è deficitario del 50% dell’organico, ma ci sono punte del 75% di carenze di organico, cioè un solo lavoratore al posto di 4! Fortunatamente parte di questa carenza spesso viene informalmente risolta distaccando a compiti amministrativi personale della Polizia Penitenziaria. Dove però la carenza d’organico è più drammatica e dove, ovviamente, non ci sono sostituzioni possibili è, come accennato nel capitolo precedente, nell’Area Pedagogica. Se è vero che il dato medio è di un organico al 50%, ci sono realtà dove non c’è neanche un educatore, dove un educatore di un’altra Casa Circondariale è costretto a dividere il proprio orario di lavoro su due istituti.

Una parziale e temporanea risposta la Regione Piemonte la ha data accogliendo la proposta di legge dei Radicali, fortemente sostenuta da Rifondazione Comunista, per la formazione e la messa in ruolo di 22 educatori a tempo determinato che prenderanno servizio il 15.12.2003; sicuramente questo è un primo passo, ma bisognerà far sì che questi educatori regionali vengano riconfermati e che se ne formino altri; questo impegno verrà assunto dal Gruppo consiliare del PRC che lo proporrà prossimamente in Consiglio Regionale, ma nella direzione di vigilare affinché tale iniziativa non determini nuove sacche di precariato e di incertezza occupazionale.

 

Strutture

 

Delle 13 carceri piemontesi tre (Alessandria Don Soria, Fossano e Verbania) sono strutture ottocentesche, se non del ‘700, spesso ex conventi, ristrutturate e per questa loro peculiarità sorgono nel centro storico delle rispettive città; spesso (soprattutto a Fossano e Verbania) questo fatto comporta una buona integrazione con il tessuto sociale della città che, quando s’incontra una direzione del carcere attenta ed una amministrazione locale sensibile, fa sì che l’Istituto venga percepito come un quartiere della città e, se spesso i detenuti non possono uscire fuori, è la città con i suoi amministratori, le sue associazioni che entra in carcere.

Gli altri 10 istituti sono degli anni 70/80 del periodo delle c.d. "carceri d’oro" ed alcuni, più recenti, dei primi anni 90. Soprattutto per quel che concerne le carceri degli anni 70/80, non è un caso che vennero chiamate "carceri d’oro"; sui materiali e sulla costruzione si speculò talmente tanto che spesso è stato necessario spendere in manutenzione diverse volte la già astronomica cifra che erano costati e ciò nonostante continuano a presentare problemi anche strutturali. Da un punto di vista strutturale quelli che presentano meno problemi sono, ovviamente, quelli degli anni 90, ma spesso anche i vecchi conventi, quando ristrutturati intelligentemente, richiedono meno manutenzione delle "carceri d’oro". Questi 10 Istituti del dopoguerra sono purtroppo tutti ubicati nelle estreme periferie delle città e se da un lato ciò ha permesso di articolarli in orizzontale, su ampie superfici, d’altro lato sovente li ha confinati in periferia con cimiteri ed inceneritori; cosa ben più grave è che tante amministrazioni cittadine non si sono minimamente preoccupate di inserire il carcere nella rete dei trasporti pubblici, con grave disagio delle famiglie in visita dei detenuti.

 

Specificità delle detenzioni

 

Extracomunitari: con la categoria dei tossico-dipendenti è la specificità più presente nel circuito penitenziario; in Piemonte sono ben 1.645 su 4.325 mediamente rappresentano poco meno del 40% della popolazione detenuta (in linea con il dato nazionale), un dato che dovrebbe far riflettere se si considera la circostanza che all’ultimo censimento ISTAT gli stranieri residenti in Piemonte risultavano essere 107.478 che rapportato ad una popolazione di 4.214.677 significa solo il 2.6%.

In realtà come le Case Circondariali, che dovrebbero ospitare solo detenuti la cui condanna non è definitiva (ricorrenti, appellanti e giudicabili e anche gli arrestati), arrivano al 55%, come alla C.C. di Alessandria. Questa significativa presenza (unitamente al fenomeno della tossico-dipendenza) ha cambiato radicalmente il panorama del carcere: raramente hanno compiuto reati di una certa rilevanza, quando non sono addirittura detenuti per aver infranto le leggi sulla circolazione delle persone, sono imputati di aver venduto sostanze proibite senza averne licenza (ed alcune di queste sostanze nei loro Paesi d’origine circolano liberamente) o al massimo di qualche reato bagatellare (furtarelli, qualche raro scippo).

Ad esclusione di quest’ultima tipologia delittiva sovente è difficile che abbiano coscienza del disvalore sociale della loro condotta; magari sanno che quel che fanno è proibito (come mille altri comportamenti), ma se il rubare è considerato riprovevole in quasi tutte le società non altrettanto lo è vendere hashish nel terzo millennio (o alcool negli anni 30 negli Usa). Anche i colpevoli di piccoli reati spesso si autogiustificano con l’insussistenza del danno sociale (rubare in un supermercato non compromette la coesione sociale).

Quindi, oltre tutte le barriere culturali, linguistiche etc., abbiamo a che fare con una consistente porzione della popolazione detenuta che non si considera neanche criminale e a cui parlare di "risocializzazione" è veramente fuoriluogo; perché lo straniero in carcere dovrebbe rispettare le regole? Per lui non ci sarà mai una misura alternativa alla detenzione anzi spesso, terminata la pena, verrà espulso. Con l’extracomunitario detenuto il "ricatto" insito nella premialità dei c.d. benefici (permessi-premio, semilibertà etc.) non funziona.

 

Tossico-dipendenti: questa è l’altra categoria che ha cambiato parecchio il carcerario italiano e sempre più spesso si sovrappone, in parte, alla diversa provenienza geografica. Qui non abbiamo il bronzeo conforto delle cifre e ciò soprattutto per il motivo che molti detenuti che fuori usavano droghe non necessariamente lo dichiarano all’ingresso in carcere; ma la nostra percezione è che, sommando chi si è dichiarato tossico-dipendente a coloro che seguono le varie terapie socio-riabilitative (accedendovi magari in un secondo momento) e ad un numero di utilizzatori che non emerge alla luce ma che, come in qualsiasi gruppo umano, è statisticamente presente, la nostra percezione appunto è che anche in Piemonte la percentuale non è certamente inferiore al 40% del dato medio nazionale. Anche qui siamo di fronte ad una categoria di detenuti che non si considera "delinquente" (nell’accezione primaria del termine) o perché imputata di reati connessi alla circolazione di sostanze che, in questo luogo geografico ed in questo periodo storico, sono proibite o perché reo di reati contro il patrimonio commessi allo scopo di reperire il denaro necessario ad acquistare una sostanza che le politiche proibizioniste dei governi relegano al mercato nero con conseguenti costi altissimi.

Su questo tipo di detenzione invece grande è lo sforzo dell’Amministrazione penitenziaria, e delle politiche governative più in generale, di proporre istanze di superamento della dipendenza: in molti dei 13 istituti piemontesi sono presenti sezioni di pre-comunità terapeutica (il c.d. "1° livello"), ma anche dove non ci sono la presenza dei Ser.T. competenti territorialmente è sempre assicurata. Alle "Vallette" di Torino infine un intero blocco del carcere ospita la progettualità "Arcobaleno" che si connota come una comunità terapeutica vera e propria.

Gli unici due nèi sono che al tossico-dipendente viene proposto un unico modello di superamento della sua problematica, quello comunitario, e che in tema di "riduzione del danno" in carcere non si è ancora cominciato seriamente a fare alcunché. In particolare ci ha stupito la notizia che il Gruppo Abele (da sempre attento a queste problematiche) ha rinunciato ad un progetto nel carcere di Verbania, già finanziato dal Ministero della Giustizia con 100.000 €, creando disagio nella comunità carceraria che aveva aderito all’iniziativa. Nei prossimi giorni chiederemo un incontro con i responsabili per cercare di capirne le ragioni.

 

Donne: la specificità della detenzione femminile invece, un po’ perché quantitativamente poco appariscente, un po’ per una discriminazione sessista mai superata, è sempre stata negletta. In Piemonte le donne detenute sono 162 su 4.325 detenuti d’ambo i sessi e rappresentano solo il 3,74% e sono concentrate nei tre Istituti di Torino, Vercelli e Alessandria C.C.

Le detenute scontano un po’ il fatto essere una sorta di detenuti di serie B e, soprattutto, il fatto di avere un’altissima percentuale di tossicodipendenti. Questa scarsa attenzione di cui viene fatta oggetto la detenzione femminile si traduce in minore accesso alle misure alternative, a corsi scolastici, di formazione professionale etc.

Per una donna è più difficile finire in carcere in quanto le recenti riforme le consentono la detenzione domiciliare in presenza di un figlio minore di 10 anni e, più in generale, la Magistratura giudicante, proprio per quella discriminazione sessista, spesso contiene maggiormente l’entità della pena da irrogare o concede con più larghezza la sospensione condizionale della pena; ma quando ha esaurito tutte queste possibilità, e ciò normalmente accade a causa della tossicodipendenza, la donna ha molte meno chance di essere aiutata, le reti relazionali, famigliari e affettive, spesso sono già frantumate o si frantumano quando la donna abdica dal ruolo assegnatole di moglie e madre e "copre di vergogna" i famigliari finendo in carcere.

L’impressione che abbiamo avuto visitando le tre sezioni femminili è stata che qui veramente ad emarginazione si aggiunge emarginazione: in luogo, il carcere, dove molti sono demuniti, abbandonati a se stessi, nei "femminili" questa disperazione è amplificata all’ennesima potenza.

 

Altre specificità: in un circuito carcerario sufficientemente ampio come quello piemontese troviamo poi diverse singole categorie detentive che magari occupano solo una semi-sezione di un Istituto e sono queste che caratterizzano il "circuito", esse sono:

Art. 41 bis: il regime c.d. di "carcere duro" caratterizzato da poca o nulla socialità interna, colloqui e pacchi dai famigliari molto rarefatti, censura delle comunicazioni etc.; è un po’ come il carcere speciale degli "anni di piombo" ed oggi viene applicato a mafiosi, sequestratori di persona e terroristi internazionali. In Piemonte queste sezioni sono ubicate a Cuneo e Novara.

Eiv: sono sezioni a "elevato indice di vigilanza" e costituiscono una via intermedia, anche come restrizioni, tra il carcere "normale" ed il 41 bis; vi si trovano rinchiusi detenuti "pericolosi" non solo per i reati commessi, ma soprattutto per il comportamento intramurario e detenuti declassificati dal 41 bis dopo molti anni di carcere ed un comportamento "corretto". In Piemonte le sezioni Eiv sono a Biella e Torino.

Collaboratori di giustizia: ospita quei detenuti che stanno collaborando con la giustizia (i c.d. "pentiti") che sono in attesa del programma di protezione esterna o detenuti collaboratori il cui programma è stato revocato e, ovviamente, non possono scontare la pena in un carcere normale dove rischierebbero la vita. Sono concentrati alla C.R. di Alessandria S. Michele.

Incolumi: sotto questa categoria ci sono tutte quelle realtà che per il tipo di reato o per la situazione soggettiva non possono (o non vogliono) stare in sezione con gli altri detenuti; i reati di violenza sessuale e di pedofilia sono ubicati a Biella, per i detenuti con diverso orientamento sessuale (omosessuali, transessuali etc.) c’è una semi-sezione ad Alba, i detenuti appartenenti alle Forze dell’Ordine hanno anch’essi una semi-sezione ad Alba. In praticamente tutti gli Istituti c’è comunque una sezioncina dove chi ha problemi con gli altri detenuti può auto-isolarsi su sua richiesta. Questa dei problemi d’incolumità nei rapporti con gli altri detenuti è una delle prime cose che viene chiesto all’arrestato nel corso del colloquio di primo ingresso in carcere.

 

Attività interne

 

L’offerta di attività interne all’Istituto, sia che siano corsi scolastici, di formazione professionale o attività ricreative e culturali è ciò che dovrebbe caratterizzare il c.d. "trattamento intramurario", consentire cioè al detenuto di migliorare il proprio livello culturale, di apprendere una professione sì da aver qualche possibilità di trovare un lavoro una volta uscito dal carcere (o in una misura alternativa alla detenzione), di esprimersi artisticamente o, più semplicemente, nel caso delle attività ricreative e culturali, di svagarsi, fare sport, di "evadere" dall’oziosità di una detenzione vissuta come puro e semplice scorrere del tempo.

Come s’intuisce facilmente la presenza o l’assenza di queste attività segnerà anche la qualità della vita dell’Istituto; un carcere, come Fossano, Verbania o altri dove la metà circa dei detenuti è impegnata in una qualche attività lavorativa, corso, laboratorio, etc. è un carcere a bassa conflittualità, dove il detenuto, se vuole, ha la possibilità di far sì che il tempo della detenzione abbia anche un senso positivo in cui costruire qualcosa per sé.

 

Corsi: praticamente tutte le carceri da noi visitate hanno almeno un corso di alfabetizzazione e uno delle c.d. "150 ore" per conseguire la licenza media. In diversi Istituti ci sono anche vere e proprie classi di scuola media superiore (ad Alessandria S. Michele, Novara e Torino) ed in quasi tutti è possibile (con l’indispensabile e sempre presente sostegno del volontariato) prepararsi da privatista a sostenere esami di ammissione o l’esame di maturità. In Piemonte inoltre ci sono ben due Poli Universitari (a Torino ed Alessandria S. Michele) con diversi corsi di laurea che spaziano dalla classica Giurisprudenza, a Scienze Politiche, ad Informatica, etc.

 

Formazione professionale: l’offerta formativa nelle carceri del Piemonte è sufficientemente ampia soprattutto nelle Case di Reclusione (i c.d. "penali"), ma non esiste un Casa Circondariale che non abbia almeno uno o due corsi di F.P. L’offerta va dai più corposi corsi biennali –che si tengono preferibilmente nelle C.R. o in quelle C.C. come Cuneo e Novara dove molti detenuti hanno pene lunghe- come, tanto per citarne uno, quello di addetto al settore grafico; sono corsi che forniscono una buona preparazione professionale e che sovente possono terminare con uno stage esterno e l’inserimento lavorativo in misura alternativa alla detenzione (ovviamente qualora sussistono le condizioni soggettive).

Soprattutto nelle C.C. si tengono corsi con un monte ore minore, anche solo 200/300 ore cosicché anche chi ha solo pochi mesi di reclusione da scontare possa usufruire di un’offerta formativa. La gamma dei corsi è tale che rende superfluo riportarne qui l’elenco. Un aspetto positivo da segnalare è che quasi tutti i corsi si armonizzano con la vocazione del territorio, p.es. i corsi di falegnameria della C.R. di Saluzzo (capitale piemontese del mobile) o i corsi di gelataio, pizzaiolo e aiuto-cuoco di Verbania (zona turistica dei Laghi).

 

Attività ricreative e culturali: in questo settore comincia ad emergere il ruolo strategico del volontariato penitenziario, che gestisce buona parte di queste attività accanto a progetti più strutturati implementati però principalmente all’interno di progettualità più ampie sulla tossicodipendenza. Abbiamo progetti di espressività teatrale, di pittura creativa, scultura, musica etc. In qualche Istituto c’è anche un istruttore sportivo che per alcune ore la settimana supporta le attività sportive dei detenuti che, di norma, se le autogestiscono.

Uno dei problemi qui riscontrati è che se l’iscrizione ad un corso scolastico o di F.P. impedisce, salvo gravi motivi di sicurezza, un improvviso trasferimento ad altro Istituto, la semplice frequentazione di un laboratorio o di un corso ricreativo o culturale non lo garantisce affatto; spesso sta alle sensibilità delle singole Direzioni impedire che un gruppo impegnato in un progetto di questo tipo venga smembrato da un giorno all’altro… e sovente non è neanche sufficiente, soprattutto se il trasferimento è stato disposto autonomamente dall’ufficio matricola del carcere, una volta trasferito è molto difficile far tornare un detenuto.

 

Carcere e lavoro

 

Benché lo svolgimento di un’attività lavorativa dovrebbe essere un obbligo per i condannati alla pena della reclusione, purtroppo il lavoro in carcere continua a essere una chimera. Normalmente in carcere l’unico lavoro è il c.d. "lavoro domestico" quello cioè necessario all’andamento del carcere (cucinieri, addetti alle pulizie, alla spesa, alla manutenzione) che non riesce mai ad impiegare neanche un quinto dei detenuti e per questo motivo, molte Direzioni stabiliscono per esso dei criteri di rotazione.

Nonostante da qualche anno sia in vigore la legge Smuraglia che incentiva gli imprenditori a portare il lavoro dentro il carcere, sono ancora pochi i carceri che hanno al loro interno attività produttive. C’è una tipografia interna a Novara e una a Ivrea, a Torino è di recente partito un progetto sullo smaltimento dei rifiuti (che a pieno regime dovrebbe impiegare ben 25 detenuti), ad Ivrea c’è un’interessante esperienza di un’attività di cablaggio elettrico in cui i detenuti sono tutti soci lavoratori di una cooperativa e poco altro.

Se il presente non è roseo però fortunatamente ci sono molti progetti che dovrebbero decollare con il 2004: diverse carceri (quelle ubicate in periferia e con molto spazio interno) dovrebbero avviare produzioni agricole biologiche e un carcere dovrebbe aprire una succursale del canile municipale. Nel corso delle nostre visite ci siamo accorti che spesso quel che dissuade gli imprenditori nell’aprire una lavorazione all’interno del carcere sono gli aspetti burocratici ed i connessi tempi morti: non solo nel avviare il progetto, ma, soprattutto, dopo nella gestione ordinaria, nell’entrata e uscita dei materiali; non per i dovuti controlli di sicurezza ma proprio come gestione burocratica dei movimenti di carico e scarico, spese, imposte etc.

 

Volontariato

 

In carcere, come ormai in tutta la società civile, il ruolo del volontariato è ormai centrale in tutta una serie di settori dove supplisce le carenze dell’Amministrazione. In praticamente tutti gli Istituti piemontesi il volontariato entra in carcere anche se spesso ci sono delle vistose differenze quantitative, mai qualitative, da un carcere all’altro: d’altronde la presenza del volontariato in carcere è espressione del territorio, se è un territorio dove l’associazionismo, il non profit è molto presente questo si riverbererà positivamente anche sul carcere locale. In carcere il volontariato si occupa di segretariato sociale (fa le pratiche dei detenuti), di assistenza diretta (vestiti dimessi o donazioni dalle aziende), di counselling (gruppi di auto-aiuto sull’Aids), gestisce sportelli di consulenza (giuridica, sociale) e in molti casi gestisce direttamente progettualità o in campo socio-ricreativo o nel campo della tossicodipendenza.

 

Magistratura di Sorveglianza

 

Nel nostro giro ci siamo accorti che in alcuni Istituti i percorsi di decarcerizzazione tramite le misure alternative alla detenzione erano fortemente penalizzati da una Magistratura di Sorveglianza che impiegava mesi nell’esaminare una richiesta; questo quasi sempre si traduceva in occasioni lavorative perse poiché sono ben pochi i datori di lavoro che, se hanno reale necessità di una unità produttiva, possono permettersi di aspettare sei o anche otto mesi che la Magistratura decida in merito alla semilibertà del possibile prestatore d’opera ancora detenuto.

In altri casi la Magistratura di Sorveglianza cassava richieste di "lavoro esterno" (il c.d. art. 21) già decise dal Direttore del carcere, che d’altronde ne ha tutta la responsabilità; è pur vero che l’Ordinamento Penitenziario prevede un controllo della Magistratura di Sorveglianza, ma lo spirito della legge del 1975 era che doveva essere per tutelare il detenuto, non per cassare richieste già accolte dal Direttore dell’Istituto.

 

Un caso esemplare: i semiliberi di Torino

 

La sezione detenuti semiliberi di Torino è composta da oltre 50 persone che fino agli inizi di ottobre 2003 erano allocate presso il carcere "Le Nuove" di Torino; erano di fatto gli ultimi detenuti che ancora occupavano questa struttura. Bisognava restituire l’edificio al demanio e poter iniziare quei lavori di ristrutturazione dell’edificio al fine di ospitare uffici del Tribunale (o del Ministero della Giustizia più in generale) e della stessa Magistratura di Sorveglianza; in particolare sorprende la circostanza che il Presidente del Tribunale di Sorveglianza, che per legge in base a quanto previsto dal 2° comma dell’art. 48 dell’Ordinamento Penitenziario che recita: "I condannati e gli internati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o apposite sezioni autonome di istituti ordinari", non si sia opposto anteponendo il proprio interesse logistico ai diritti soggettivi dei detenuti in condizione di semilibertà.

Nonostante la Direzione della C.C. di Torino avesse, fin dal luglio 2001, segnalato l’inadeguatezza ad ospitare la sezione semiliberi dell’Istituto "Le Nuove" ed avesse sollecitato l’individuazione di una differente struttura va denunciato che, nonostante gli impegni formalmente assunti dall’Assessore Peveraro, nulla è stato fatto. Nel mese di ottobre i semiliberi sono stati trasferiti alla C.C. de "le Vallette" ed alloggiati al blocco C; questa situazione, oltre che il palese contraddizione con l’art. 48 O.P. su esposto, è anche logisticamente impraticabile: il blocco C è, infatti, estremamente distante dagli ingressi ed obbliga tutti, semiliberi e agenti della Polizia Penitenziaria, a doversi servire di un pulmino-navetta; a causa dell’improvvida vicinanza con la sezione ad alta sorveglianza inoltre sono state saldate tutte le finestre delle celle dei semiliberi e solo recentemente è stato aperto uno spiraglio per garantire almeno il ricambio dell’aria.

Di fronte a questa situazione ci siamo attivati con un’interpellanza in Consiglio regionale per stigmatizzare e rendere pubblica la situazione, successivamente con una lettera al Sindaco di Torino per sollecitare l’Amministrazione ad individuare, tra i tanti immobili dismessi a sua disposizione, una struttura alternativa ed infine una lettera al Prefetto di Torino affinché costituisse un tavolo di lavoro sul problema; il tavolo di lavoro è stato messo in piedi e si è già tenuta una prima riunione. Sarà nostro compito continuare a vigilare affinché si arrivi presto ad una soluzione.

 

Conclusioni

 

Questo lavoro non si ferma qui, fin dal prossimo mese ricominceremo a visitare settimanalmente tutti i carceri del circuito penitenziario piemontese, in un’azione di costante monitoraggio volto all’individuazione di soluzioni sui vari problemi e per quanto di competenza regionale.

 

Nell’immediato utilizzeremo queste preziose conoscenze per proporre agli stessi detenuti di elaborare insieme a noi proposte di legge regionale mirate su:

costituzione di un osservatorio permanente a cura della Regione sulle problematiche carcerarie;

istituzione nelle more dell’approvazione della legge che a intrapreso il suo iter parlamentare, del "difensore civico dei detenuti" con competenze giurisdizionali inerenti i diritti soggettivi dei cittadini sottoposti a provvedimenti di custodia cautelare nonché per i detenuti condannati a pene definitive;

rafforzamento dell’impegno della Regione sulle tematiche dell’inserimento lavorativo e stabilizzazione dell’Area Pedagogica con l’inserimento organico in ruolo degli educatori assunti a tempo determinato;

 

Impegni in Parlamento da parte dei nostri rappresentanti istituzionali con la predisposizione di interrogazioni urgenti su:

esposizione debitoria del Ministero della Giustizia nei confronti delle Aziende energetiche locali (acqua, gas, luce etc). emblematica a questo punto la situazione del carcere di Vercelli con un debito di oltre 400.000 € e del carcere di Verbania circa 100.000 €, ma abbiamo ragione di credere che il fenomeno sia più esteso;

mancata emanazione dei decreti attuativi sulle nuove competenze attribuite alle Regioni in materia di Sanità penitenziaria;

carenze di organico ed indice di sovraffollamento nel sistema penitenziario;

ruolo improprio assunto dalla Magistratura di Sorveglianza nel respingere le proposte di art. 21 (ammissione al lavoro esterno) avanzata dalle Direzioni dei carceri.

 

Torino, 17 novembre 2003

 

 

Precedente Home Su Successiva