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Una politica del carcere di Giovanni Palombarini (Magistrato)
Dopo aver letto un articolo-inchiesta di Bolzoni su "La Repubblica" sulle condizioni delle carceri, mi è venuto da pensare che una politica del carcere, fino a quando il carcere sarà considerato necessario, bisogna pur averla (anche se personalmente non condivido alcune di quelle che si conoscono: ovviamente si tratta di scegliere) e che non si può andare avanti alla carlona. Gli Usa una politica ce l’hanno: in sintesi chi sbaglia paga sempre, se sbaglia più volte paga più duramente, non c’è problema di rapporti fra popolazione e detenuti, di conseguenza si costruiscono continuamente nuove carceri o in alcuni Stati si appalta il servizio ai privati. In Olanda ho letto da qualche parte che il sistema è opposto: c’è un certo numero di posti-letto nei penitenziari, diciamo cento, numero fisso, di carceri nuove non se ne costruiscono, se i condannati oggi sono 102 gli ultimi due rimangono a casa in attesa che si liberi il posto e se il posto non si libera entro un certo tempo la pena non si sconta. L’Italia della Dc aveva una politica all’italiana: i governanti non facevano riforme (però la Gozzini hanno saputo farla) ma stavano attenti al rapporto popolazione adulta-detenuti, e se i maggiorenni erano 50 milioni non si dovevano mai raggiungere i 50.000 detenuti (superare il rapporto 1 a 1000 avrebbe voluto dire riconoscere l’esistenza di una serie di problemi, anche di carattere sociale): si provvedeva alla bisogna con ricorrenti provvedimenti di amnistia e indulto, che avevano aspetti convenienti anche sotto il profilo dell’efficienza (i pretori si sgombravano il tavolo dall’arretrato con qualche sollievo, ciò che si risparmiava sul carcere veniva destinato ad altri bisogni, anche della giustizia). Orbene, poiché attualmente è impossibile pensare a cambiamenti reali della situazione, e quelli ipotizzabili per effetto di un cambiamento di maggioranza sarebbero inevitabilmente lontani, il vecchio meccanismo democristiano è l’unico praticabile, l’unica alternativa alla linea dell’attuale ministro che volendo fare l’americano - anche estendendo la repressione dei minori - senza averne il fiato, continua a costruire … letti a castello. D’altro lato, come ha ricordato Antigone in un suo recente documento, l’ultimo provvedimento antirepressivo adottato in questo paese è stata l’amnistia di 15 anni fa. In questi ultimi 15 anni, sulla già grande montagna della previsione penale, si sono aggiunte tante altre figure di reato, e per via del terrorismo e della reazione all’immigrazione si può prevedere che altre se ne aggiungeranno. Il governo che verrà - auspico io - dovrebbe dare subito un segnale di controtendenza, mettendo contemporaneamente mano a una più ampia riflessione sulla riforma del sistema penale. L’unico segnale forte che si può fare subito è l’amnistia/indulto. Non avrebbe senso muoversi solo con un provvedimento tampone, che sarebbe un atto di politica democristiana all’italiana. Un governo che volesse non solo distinguersi da quelli di Berlusconi ma anche essere in qualche misura nuovo dovrebbe mettere in piedi un lavoro molto più complesso. Per quel che concerne Md - se si vuole pensare, nella prospettiva di un cambiamento di fase, a un contributo dialettico articolato sulla combinazione provvedimento di clemenza/ riforme - non si parte certo da zero. Con i convegni di Abano e Venezia, dal 1982 al 2002, e con i libri che si sono pubblicati, si è tentato di proporre il discorso del diritto penale minimo e delle alternative di tutela. Il relativo discorso, certo non praticabile politicamente oggi, proprio oggi trova ulteriore forza dal nuovo articolo 111, che tra l’altro impone la ragionevole durata del processo. Non so quali idee ci siano all’interno del centro-sinistra in tema di riforma del codice penale; per questo ritengo che sarebbe importante portare una proposta per la fine di quest’anno o per l’inizio del prossimo. Di certo noi sappiamo che la riforma è indispensabile e che deve avere una filosofia di tipo garantista; ne conosciamo i contenuti, avendoli a lungo pensati ed elaborati; abbiamo individuato una linea per l’intervento penale data dalla necessità di tutelare beni costituzionalmente protetti laddove altre forme di tutela non esistono o non danno il risultato voluto. Qui dovremmo misurarci con la realtà che pone oggi quesiti scomodi e di difficile risposta, una realtà che ci dice che gli interventi di mini-depenalizzazione servono a poco. Mi richiamo a un tema/problema, cioè all’attuale regime proibizionistico in materia di stupefacenti. Cosa ne pensa Md? (rimando in proposito all’intervento di Giuseppe Cascini all’ultimo convegno di Abano). Sappiamo poi anche, ma qui il discorso è da aggiornare, che è necessario - partendo dal principio secondo cui il carcere è davvero l’extrema ratio - ricorrere a un sistema articolato di pene che contempli non solo l’abolizione dell’ergastolo ma anche una modifica al ribasso dei massimi edittali della reclusione. Md non partirebbe da zero se volesse aprire un dibattito importante prima delle elezioni politiche sul sistema penale. Dunque, amnistia/indulto, ma non solo. So che fra di noi vi sono riserve sull’amnistia, perché sarebbe la sanzione di un fallimento. Io penso che il fallimento del penale c’è, e che bisognerebbe porvi rimedio.
Roma, 18 luglio 2005
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