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I maltrattamenti del coniuge, articolo di Antonio Giacalone
Altalex, 30 luglio 2005
Rilevanza della famiglia e contesti familiari difficili o degradati
La famiglia è un fenomeno complesso che esiste e si manifesta nella società trascendendo il dato giuridico, in quanto essa non è mera creazione del diritto, ma il luogo in cui i singoli individui manifestano la loro personalità. La famiglia, pertanto, si presenta innanzitutto come un fenomeno sociale originario che, solo in un momento successivo, riceve dalla legge una disciplina e un riconoscimento giuridico; ciò a differenza di quanto accade, ad esempio, per le persone giuridiche che esistono e si manifestano solo in presenza di un espresso riconoscimento giuridico che, oltre a determinarne la nascita, ne disciplina gli aspetti strutturali ed operativi. Quanto affermato trova conferma nelle disposizioni contenute dall’articolo 29 della Costituzione, ove si prevede che "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio", e dalle disposizioni dell’articolo 2 della Costituzione che comprende anche la famiglia tra le formazioni sociali all’interno delle quali l’individuo manifesta la sua personalità [1]. Proprio l’inciso "… società naturale fondata sul matrimonio" rappresenta, insieme, il riconoscimento della famiglia quale organismo sociale legato alle vicende dell’uomo ed esistente prima di qualsivoglia identificazione giuridica e, dall’altro lato, l’importanza del matrimonio quale momento imprescindibile di qualsiasi realtà familiare propriamente detta [Gazzoni, 301 e ss.]. Alla luce delle considerazioni esposte è possibile affermare che, oggi, la famiglia rappresenta, almeno svuotandola da ogni valenza pubblicistica, il luogo fondamentale in cui convergono le diverse individualità ed ivi trovano lo spazio per esprimere la propria personalità in comunione reciproca. Tale ultima caratteristica della famiglia ne fa il luogo ideale in cui si concentrano sia elementi positivi, quali, ad esempio, i vincoli affettivi sia elementi negativi quali, ad esempio, la violenza fisica e morale, la prevaricazione, et c., che trovano la loro fonte in disequilibri psichici di chi li compie e, all’interno del contesto familiare, emergono dei luoghi reconditi della personalità e si amplificano. Questo secondo aspetto della convivenza familiare, sarà l’oggetto del presente lavoro che cercherà di individuare quali condotte, realizzate nei confronti del coniuge, possano assumere rilevanza sotto il profilo penale, alla luce della normativa vigente. Concentrando, dunque, l’attenzione sugli aspetti patologici o deviati dei rapporti di convivenza tra i coniugi, occorre prendere atto del dato che certi contesti familiari possono essere il luogo in cui più facilmente e più frequentemente i desideri insoddisfatti, le rabbie, le frustrazioni, trovano sfogo e si trasformano in vera e propria violenza nei confronti dei conviventi. In passato, si era soliti affermare che gli episodi di violenza intra familiare fossero direttamente legati a contesti difficili e degradati sotto il profilo sociale ed economico. Alla luce dei dati emersi nel corso degli anni, è stato possibile rivedere tale opinione; le violenze e i maltrattamenti in ambito familiare, infatti, trovando la loro fonte in fattori psicologici (rabbie, frustrazioni, aggressività) e sono solo in parte determinate dal contesto socio-economico della famiglia. Passando alla descrizione delle forme di violenza, essa assume caratteristiche e contorni diversi in relazione ai singoli casi, ma, in linea generale, si manifesta attraverso vere e proprie violenze fisiche oppure attraverso forme larvate di violenza che, senza necessariamente infierire sul corpo della vittima, coinvolgono la sua personalità provocandone alterazioni e disfunzioni varie (violenza morale o psicologica). Questi ultimi atti di violenza molto spesso vengono praticate contemporaneamente, tra di loro e a forme di violenza economica, dando luogo ad una serie sistematica di maltrattamenti perpetrati ai danni del convivente, solitamente, di sesso femminile, più debole e (spesso) con una condizione culturale precaria. Il presente lavoro avrà riguardo soltanto alle ipotesi in cui la violenza fisica, morale ed economica sfoci in vere e proprie condotte penalmente rilevanti; tuttavia, per maggiore completezza, occorre indicare un’ulteriore forma di violenza (spesso praticata), ossia quella sessuale contro la quale il nostro codice penale fornisce un’adeguata tutela, prevista dagli articoli 609 bis e seguenti. Passando ad esaminare quanto inerente alla presente trattazione, occorre evidenziare come in un modello familiare, quale quello presente fino agli anni 1960-1970, di impostazione patriarcale, basato su rigide suddivisioni dei ruoli che vedevano solitamente la donna occuparsi di tutte le mansioni domestiche e che concentrava tutte le qualifiche in capo all’uomo, le prevaricazioni, le violenze perpetrate, solitamente, ai danni della donna rimanevano molto spesso all’interno delle mura familiari, essendo difficile che la vittima trovasse la forza ed il coraggio di denunciare l’accaduto all’Autorità [2]. Inoltre, il modello di famiglia estesa, che rappresentava (rectius, rappresenta) una costante specie nelle famiglie del centro-sud, concorreva a tale situazione in quanto spesso, l’intervento di altri parenti (nonni, zii, etc.), consentiva di tacitare ogni tentativo di ribellione da parte di chi subiva prevaricazioni, violenze ed angherie varie. Non solo i successivi mutamenti sociali, ma anche le più incisive riforme giuridiche hanno contribuito in maniera decisiva al mutamento del modello familiare incentrato sulla personalità "forte" dell’uomo, in quanto hanno riconosciuto il diritto della donna e la sua libertà di manifestarsi all’interno della famiglia nella stessa condizione e posizione giuridica riconosciuta all’uomo [3]. Oggi, infatti, l’uomo e la donna assumono all’interno della famiglia una posizione paritetica, fonte di reciproci diritti e doveri stabiliti dal codice civile agli articoli 143 e seguenti. In tale rinnovato contesto, appare oggi meno difficile e complessa l’emersione di fenomeni patologici legati a maltrattamenti e violenze ai danni dei membri della famiglia e, più specificamente per quanto attinente all’oggetto del presente lavoro, del coniuge. Quanto da ultimo riferito assume notevole importanza ove si rifletta sul dato che i maltrattamenti commessi ai danni del coniuge provocano, spesso, in chi li subisce una condizione di vittimismo che contribuisce a relegare nell’oscurità quanto deve emergere ed essere denunciato. Nella consapevolezza che il fenomeno è astruso, difficile da svelare, poiché coinvolge molteplici aspetti della psiche umana e del ruolo sociale assunto dai coniugi, sono nate in Italia a partire dagli anni 1970 diversi organismi ed associazioni antiviolenza, che forniscono un primo aiuto ed orientamento alle vittime di violenza domestiche. In questo modo, spesso le vittime, solitamente donne, anche attraverso denunce anonime, sono riuscite a interrompere quella catena di violenza ed omertà che si era avvinghiata attorno a loro. Il ruolo svolto da tali centri specializzati assume una fondamentale importanza perché, oltre a mettere a disposizione la propria professionalità, elaborando, peraltro, diversi trattamenti terapeutici, offrono validi strumenti di sostegno psicologico in grado di aiutare la vittima, spesso succube e psicologicamente dipendente da chi la maltratta, ad uscire dall’oblio ed a prendere coscienza della propria persona. Tuttavia, nonostante i progressi compiuti nell’ultimo trentennio, il fenomeno è ancora presente in maniera diffusa ed ha sviluppato, in alcuni casi, nuove tipologie espressive e nuovi modalità di dissimulazione, rendendo il ruolo degli operatori del settore sempre più importante e determinante.
I maltrattamenti del coniuge: profili penalistici
Ciò premesso in termini generali, passiamo adesso ad occuparci del profilo giuridico, individuando quali norme incriminatici sono poste a presidio dei fenomeni di violenza esercitata nei confronti del coniuge. Come è stato evidenziato in precedenza, la famiglia può diventare scenario di violenze e maltrattamenti che, oltre a determinare spesso l’inosservanza dei diritti e l’inadempimento degli obblighi nascenti dal matrimonio, comportano la lesione di diritti personalissimi di rilevanza penale, integrando, così, fattispecie incriminatici tipiche. In realtà, il fenomeno è molto ampio, coinvolgendo diversi beni giuridici penalmente rilevanti (l’onore, la libertà fisica, morale, la vita, la libertà sessuale, et c.) e distinti soggetti passivi tutti riferibili al contesto familiare (coniuge, conviventi more uxorio, figli, et c.). Tuttavia, l’oggetto del presente lavoro, riferendosi ai maltrattamenti del coniuge, ritaglia un aspetto ben preciso ed individuabile del problema; conseguentemente, la dissertazione che seguirà avrà riguardo a quest’ultimo aspetto, specifico rispetto ed una più ampia e complessa fenomenologia. In particolare, in questa sede verranno, sia pur succintamente, esaminate le condotte realizzate da un coniuge ai danni dell’altro coniuge che trovano specifica rilevanza penale nelle disposizioni del Capo IV del Titolo XI del codice penale, con specifico riferimento alle fattispecie incriminatrici previste dagli articoli 570 e 572 c.p. in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare e maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli. Prima di passare alla concreta analisi delle norme indicate, occorre fare alcune importanti precisazioni riguardo all’equiparazione del coniuge al convivente, onde stabilire se, sussistendone i requisiti, anche quest’ultimo possa beneficiare della tutela penale. Senza dilungarci sul dibattito, tuttora aperto, relativo alla posizione giuridica che oggi assume la c.d. famiglia di fatto, in questa sede è sufficiente chiarire che la tutela penale, in linea di massima, è estensibile anche ai soggetti non legati da un vincolo matrimoniale tutte le volte in cui la relazione familiare rappresenta un mero presupposto per la sussistenza di situazioni giuridicamente rilevanti (es. 572 c.p.). Diversamente accade quando il rapporto di coniugio rappresenta l’oggetto delle norme penale, essendo, in questo caso, rilevante proprio la qualifica formale alla quale, allo stato dell’ordinamento, non può essere parificata la posizione del convivente more uxorio (es. 570 c.p.). Come in precedenza osservato, la violenza esercitata nei confronti del coniuge può assumere un connotato di tipo materiale ed economico, con ciò volendosi sottolineare come anche quest’ultimo aspetto sia di fondamentale importanza per una libera e dignitosa convivenza familiare. Ebbene, le disposizioni dell’art. 570 c.p., oltre a tutelare la famiglia nel suo aspetto complessivo, quale bene giuridico di categoria, sono state poste a presidio dell’obbligo di assistenza morale e di quel complesso materiale ed economico funzionale all’assistenza ed alla sussistenza della famiglia durante la fase di unità [4]. Proprio quest’ultimo inciso dimostra come, avendo la norma ad oggetto il rapporto di convivenza formalizzato dall’atto matrimoniale avente effetti civili, soggetti attivi del reato possono essere solo il genitore e il coniuge, mentre soggetti passivi possono essere i figli (maggiorenni o minorenni) e il coniuge [Fierro Cenderelli, 2849 e ss.]. Con riferimento al fatto tipico previsto dall’art. 570 c.p., una recente dottrina e giurisprudenza ripercorrendo le teorie avanzate in passato e partendo dalla complessa formulazione della norma, distingue la stessa in due parti diverse: da un lato il primo comma che, prevedendo una singola ipotesi delittuosa, concerne l’aspetto dell’assistenza morale e, dall’altro lato, il secondo comma che, occupandosi dell’aspetto relativo all’assistenza economica, prevede ulteriori due ipotesi delittuose [Fierro Cenderelli, 2850] [5]. Tale prospettiva interpretativa, che postula una scomposizione della fattispecie incriminatrice, è stata criticata da un diverso orientamento dottrinale che, trovando conforto in alcune pronunce della giurisprudenza, ha superato l’interpretazione riferita affermando la struttura unitaria dell’art. 570 c.p., il quale non configura una pluralità di reati, bensì una singola fattispecie di natura complessa [6]. Dalla lettura della norma in oggetto emerge come il fatto tipico previsto dalla stessa consente di comprendere diverse condotte dirette, oltre che al coniuge, anche ai figli; tuttavia, per ragioni di attinenza all’oggetto della presente trattazione, occorre focalizzare l’attenzione al rapporto specifico tra i coniugi. L’art. 570 c.p. prevede una fattispecie di reato permanente legata alla qualità di coniuge che potrà essere integrato tutte le volte in cui la condotta dell’agente violi, da un lato, l’obbligo di assistenza morale di cui al 1 comma dell’art. 570 c.p. e, dall’altro lato, quando sia diretta a malversare, dilapidare i beni del coniuge o quando quest’ultimo viene privato dei mezzi di sussistenza in violazione agli obblighi di assistenza materiale ex art. 570 comma 2 c.p., sempre che tali condotte non integrino reati più gravi. In particolare, il primo comma dell’art. 570 c.p. contempla, in primo luogo, l’ipotesi di abbandono ingiustificato, o in assenza di giusta causa, del domicilio domestico che comporti l’inadempimento degli obblighi di assistenza morale e materiale [7]. In secondo luogo, l’art 570 comma 1 c.p. si riferisce in particolare all’obbligo del coniuge di assumere una condotta conforme alla specifica posizione assunta all’interno della famiglia, tenuto conto dei diritti e dei doveri previsti dalla legge ed inerenti alla sua posizione. Per questa via, si ritiene, generalmente, che l’ipotesi de qua possa trovare applicazione solo quando una condotta, oltre ad essere contraria all’ordine e alla morale della famiglia, integri una vera e propria sottrazione agli obblighi di assistenza inerenti alla qualità del coniuge. Con riferimento al secondo comma dell’art. 570 c.p., esso, tutelando l’interesse patrimoniale della famiglia prevede, innanzitutto, condotte che, generalmente, corrispondono ad altrettanti episodi di violenza economica, poiché, escludere il coniuge dall’amministrazione dei propri beni attuando una gestione deficitaria degli stessi, significa privare lo stesso della libertà di espressione e di autodeterminazione, relegandolo, talvolta, ad una posizione di mero "spettatore". Infine, il secondo comma dell’art. 570 c.p., tutelando la posizione del coniuge indigente, prevede l’ulteriore condotta di chi "fa mancare i mezzi di sussistenza al……coniuge", intendendosi per mezzi di sussistenza l’insieme di beni materiali in grado di assicurare a costui la soddisfazione dei propri bisogni fondamentali attinenti al vitto, vestiario, medicinali e ad ogni altro bisogno strettamente necessario [8]. Dopo aver analizzato le disposizioni contenute dall’articolo 570 c.p. che, come osservato, richiamano forme di violenza economica esercitata dal coniuge, occorre adesso focalizzare l’attenzione sulla norma prevista dall’articolo 572 c.p. in tema di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli che, diversamente, si riferisce principalmente alle ipotesi di violenza fisica [9]. Per quanto concerne, invece, la violenza morale o psicologica, essa trova spazio in entrambe le norme che, sia pure da angolazioni diverse e con strumenti diversi, mostrano di assumerla nella descrizione del fatto tipico come una componente [10]. L’esame delle disposizioni degli articoli 571, 573 e 574 c.p. in tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, sottrazione consensuale di minorenni e sottrazione di persone incapaci, che insieme agli articoli 570 e 572 c.p. completano il complesso delle disposizioni previste dal Capo IV del Titolo XI, collocandosi pur sempre tra i reati contro la famiglia, esula dall’oggetto della presente trattazione. Secondo l’opinione oggi prevalente, la norma contenuta dall’articolo 572 c.p. tutela, oltre che la famiglia, quale bene giuridico di categoria, anche l’integrità psicofisica del soggetto passivo [11]. Tuttavia tale ultima prospettiva interpretativa non è condivisa da chi ritiene, invece, che i maltrattamenti, essendo atti ripetuti nel tempo, ledono l’intera personalità dell’individuo (che diventa il vero bene giuridico tutelato), a differenza dei singoli atti lesivi che, invece, possono limitarsi ad incidere soltanto sulla integrità psicofisica del soggetto passivo [Coppi, 233 e ss.] [12]. Riguardo all’ambito di operatività dell’articolo 572 c.p., occorre, in primo luogo, verificare cosa debba intendersi per famiglia. Sotto quest’ultimo profilo, il delitto de quo incrimina condotte che possono realizzarsi tra soggetti (attivi e passivi) appartenenti ad un contesto familiare, il quale, alla luce di precise indicazioni dottrinali e giurisprudenziali, deve essere inteso in senso ampio, includendo, oltre che alla famiglia legittima, anche quella cosiddetta di fatto, essendo importante non il mero dato formale, a differenza di quanto si è visto per le disposizioni dell’articolo 570 c.p., bensì la sussistenza di relazioni e rapporti di umana solidarietà giuridicamente rilevanti, siano esse di tipo giuridico-civile o naturale-di fatto [13]. Dunque, la norma in esame si riferisce anche alla famiglia, assumendola, tuttavia, non in quanto tale come una condizione fondamentale, ma come luogo ideale in cui generalmente si sviluppano l’insieme di rapporti e delle relazioni che rappresentano il vero presupposto per la sua applicazione. Passando all’analisi del reato di cui all’articolo 572 c.p., il fatto tipico in esso previsto consiste nella condotta di chi maltratta una persona della famiglia, etc.; la scarna definizione dell’elemento oggettivo del reato ha dato luogo a numerose incertezze causate dalla indeterminatezza della definizione normativa, emergendo palesemente soltanto il riferimento alla necessità che, per la configurazione del reato, debbano sussistere una pluralità di atti diretti a maltrattare il soggetto passivo [Cfr. Miedico, 2873 e ss.] [14]. Per questa via, il dato centrale è rappresentato dalla definizione di maltrattamento che, generalmente, viene inteso come un atto in grado di assumere un valore di disprezzo o di offesa alla dignità del coniuge, costringendolo a vere e proprie sofferenze psicofisiche [15]. In dottrina si è osservato come la condotta (commissiva o omissiva) del soggetto attivo possa consistere anche in atti di per sé privi di rilevanza penale ma che, nel contesto generale del maltrattamento e reiterati nel tempo, determinano la mortificazione e la lesione dei diritti personalissimi del familiare, nella specie del coniuge [Miedico, 2874 e ss.]. Il legislatore, nella redazione della norma contenuta nell’articolo 572 c.p., ha mostrato di volere fornire una tutela estesa e ad ampio raggio del bene giuridico in essa protetto, prevedendo una fattispecie causale pura o a forma libera che contempla qualsiasi tipo di maltrattamento, sia fisico sia psicologico [16]. Sotto il profilo soggettivo, come evidenziato in dottrina, il dolo generico rappresenta l’elemento unificatore dei singoli atti, rappresentando il comune denominatore di una condotta reiterata e diretta ad una sopraffazione del soggetto passivo (dolo generico e unitario) [Mazza, 6] [17]. Dunque, la norma di cui all’articolo 572 c.p. tende a valutare complessivamente la condotta realizzata nel tempo che, grazie al comune elemento soggettivo, può essere considerata e valutata nella sua complessità. Peraltro, come osservato dalla giurisprudenza, non occorre che tale apporto soggettivo sia sussistente alla realizzazione di ogni singola condotta, poiché risulta sufficiente che il soggetto attivo realizzi una serie di atti che, complessivamente considerati, assumono un loro specifico significato, essendo piuttosto difficile che l’agente, al compimento di ogni singolo atto, si rappresenti il maltrattamento [18].
Nuove misure contro la violenza nelle relazioni familiari: la legge 5 aprile 2001, n. 154.
Analizzati gli articoli 570 e 572 c.p., spostiamo adesso l’attenzione sugli strumenti forniti dall’ordinamento giuridico in grado di assumere una funzione preventiva, diretta, cioè, ad impedire la realizzazione di episodi di violenza intrafamiliare. Con la legge del 5 aprile 2001, n. 154, il legislatore è intervenuto sulla materia rafforzando gli strumenti di tutela contro le violenze e i maltrattamenti in ambito familiare [19]. Le nuove disposizioni della legge 154/2001 non hanno introdotto nuove fattispecie di reato, ma hanno apportato delle novità al codice di procedura penale e al codice civile. Occorre sottolineare, in via preliminare, come la portata innovatrice della legge in esame sia stata ridimensionata dalla scarsa applicazione delle misure in essa previste e dalla lettura critica di parte della dottrina. Quest’ultima, infatti, ha evidenziato come, in realtà, le misure cautelari previste dalla legge 154/2001 realizzino una tutela blanda dei soggetti passivi e, in ogni caso, inferiore a quella che già veniva assicurata loro, attraverso gli strumenti predisposti dall’ordinamento. Passando adesso all’analisi della legge, con riferimento alle novità apportate al codice di procedura penale, la stessa ha introdotto l’art. 282 bis c.p.p. che prevede la possibilità per il P.M., nel corso delle indagini preliminari o del dibattimento, di chiedere al giudice, ove sussistano i presupposti della necessità e dell’urgenza, l’adozione delle misure previste. L’articolo 282 bis c.p.p. prevede tre diverse misure cautelari. La prima di esse rappresenta quella principale, ha natura coercitiva ed è prevista dal primo comma, il quale prevede la prescrizione all’indiziato (o imputato) di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza autorizzazione del giudice che procede (allontanamento dalla casa familiare). Tale ultima autorizzazione assicura una duplice funzionalità; da un lato, infatti, essa può essere concessa quando il soggetto indagato o imputato debba recarsi presso la casa familiare per recuperare beni personali e, dall’altro lato, quando, cessate o attenuate le esigenze cautelari, occorre verificare gradualmente se sussistono le condizioni per permettere la ricostruzione delle relazioni familiari. In secondo luogo, la norma dell’articolo 282 bis comma 2 c.p.p. contempla un’ulteriore misura cautelare personale che può essere applicata nell’ipotesi in cui sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti. In quest’ultimo caso, la misura cautelare tende ad evitare la vicinanza fisica dei due soggetti, prescrivendo "all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa" (luogo di lavoro, domicilio della famiglia di origine, et c.), ovvero, nei casi in cui la frequentazione è imposta da motivi di lavoro, prevedendo che il giudice ne determini le modalità e le limitazioni. Se da un lato le misure coercitive descritte e previste dal primo e secondo comma dell’articolo 282 bis c.p.p. consentono di offrire una efficace tutela alla vittima delle violenze e dei maltrattamenti, evitando il contatto fisico con l’altro coniuge, sotto un differente profilo, tuttavia, proprio questo allontanamento potrebbe aggravare la condizione economica della persona offesa, poiché, come spesso accade, le persone accusate di maltrattamenti in famiglia sono allo stesso tempo l’unica fonte di reddito. Per ovviare a tale situazione che potrebbe rivelarsi ulteriormente dannosa per il coniuge leso, le disposizioni in esame hanno introdotto una innovativa misura cautelare provvisoria a carattere patrimoniale. Invero, l’articolo 282 bis comma 3 c.p.p. prevede la possibilità di ingiungere, su richiesta del pubblico ministero, "il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangono prive di mezzi adeguati".
Inoltre, volendo evitare inadempimenti da parte dell’obbligato, il giudice, dopo aver determinato la misura dell’assegno che dovrà essere versato al beneficiario, può ordinare che quest’ultimo riceva la somma indicata direttamente dal datore di lavoro dell’obbligato, che detrarrà l’importo dalla retribuzione. La misura prevista dal terzo comma dell’articolo 282 bis c.p.p. ha carattere provvisorio in quanto può essere modificata a seguito di eventi che incidono, modificandoli, sulle condizioni economiche dell’obbligato o del beneficiario; qualora poi la convivenza dovesse riprendere, la misura cautelare in oggetto sarà revocata ai sensi dell’articolo 282 bis comma 5 c.p.p. Infine, occorre evidenziare come la misura cautelare che impone all’imputato di non avvicinarsi a luoghi frequentati abitualmente dalla persona offesa (ex articolo 282 bis comma 2 c.p.p.) e quella a carattere patrimoniale prevista dall’articolo 282 bis comma 3 c.p.p., sono direttamente collegati alla misura cautelare principale dell’allontanamento dalla casa familiare ex articolo 282 bis comma 1 c.p.p. e, dunque, la loro efficacia dipende dalle vicende di quest’ultima misura ai sensi dell’articolo 282 bis comma 4 c.p.p. Posto ciò a proposito delle novità apportate sotto il profilo processuale e penalistico, occorre rimarcare la valenza innovatrice delle disposizioni introdotte dalla legge in esame in ambito civile. Infatti, con l’introduzione degli artt. 342 bis e ter il Legislatore ha inteso estendere la tutela prevista dalla legge anche tutte le volte in cui, nonostante la condotta di uno dei coniugi determini un pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, questa non integra reati procedibili d’ufficio. Invero, nelle condizioni sopra descritte, il coniuge leso può chiedere al giudice civile l’applicazione delle stesse misure già viste in precedenza con riferimento all’art. 282 bis c.p.p. Il giudice, oltre a concedere le suddette misure, può disporre, qualora riscontri situazioni molto conflittuali all’interno del nucleo familiare, l’intervento dei servizi sociali, dei centri di mediazione familiare e delle associazioni che hanno come specifica finalità il sostegno e l’accoglienza dei soggetti vittime di maltrattamenti in famiglia. Bibliografia
Coppi, Profili del reato di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli (lineamenti storici), in Archivio penale, I, 1974. Fiandaca-musco, Diritto penale, parte generale, IV, Bologna, 2001. Fierro Cenderelli, Art 570 in C.p. commentato, parte speciale a cura di Dolcini e Marinucci, Milano, 1999. Gazzoni, Manuale di diritto privato, VII, Napoli, 1998. Mazza, Maltrattamenti ed abuso dei mezzi di correzione, in Enciclopedia giuridica treccani, XIX, 1990. Miedico, Art. 572 in c.p. commentato, parte speciale, a cura di dolcini e marinucci, Milano, 1999.
[1] Articolo 2 della Costituzione: "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. [2] L’impostazione patriarcale della famiglia prima della riforma del 1975 era, peraltro, confermata dal codice civile che, all’art. 145, prevedeva la figura del marito considerato capo della famiglia che deve proteggere la moglie, tenerla presso di sé e mantenerla. [3] Intorno alla seconda metà degli anni 1960, si sviluppò un contesto socio-culturale che oltre a sollevare il problema della posizione delle donne all’interno della famiglia, preparò il terreno alla riforma legislativa (avutasi con legge 19 maggio 1975, n. 151) che avrebbe tradotto in disposizioni normative le istanze di uguaglianza provenienti in massima parte dal mondo femminile. [4] Art. 570 c.p.: "Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da € 103 a € 1.032. le dette pene si applicano congiuntamente a chi: 1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge; 2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa. [5] In giurisprudenza: CASS. 23.9.1995, in Cassazione penale, 1996,2975; CASS. 19.11.1997, in Cassazione penale, 1999, 331. [6] CASS. 21.11.1991, in Rivista penale, 1992; CASS. 11.1.84, in Rivista penale, 1986, 928; La riferita giurisprudenza, in sintonia con una parte della dottrina, pur accogliendo la suddivisione del reato in due parti distinte inerenti, l’una, alla assistenza morale e, l’altra, a quella economica, non ritiene che l’art. 570 c.p. configuri tre diverse ipotesi delittuose, bensì una solamente. [7] Nel senso che l’abbandono del domicilio domestico deve essere ingiustificato e deve determinare l’inadempimento dei doveri di assistenza morale e materiale, CASS 29.4.1980, in Giustizia penale, 1981, II, 198. Nel senso che occorre una giusta causa che renda intollerabile la prosecuzione della convivenza, CASS. 4.7.2000, in Cassazione penale, 2001,3441. Per l’inapplicabilità dell’art. 570 c.p. in relazione all’allontanamento dovuto ad adulterio, si veda CASS 5.9.2000, in Cassazione penale, 2001, 526. [8] Nel senso che occorre fornire al coniuge i mezzi sufficienti al proprio sostentamento anche nel caso in cui lo stesso, nonostante la propria attività lavorativa, non è in grado di sopperire sufficientemente ai propri bisogni, CASS.6.2.1956, in Giustizia penale, 1957, II, 54. [9] Articolo 572 c.p.: "Chiunque, fuori dai casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. [10] Infatti, anche nel reato di maltrattamenti ex articolo 572 c.p. rientra una componente di violenza morale, potendosi considerare il maltrattamento come un atto di disprezzo e di offesa alla dignità del coniuge che si risolve in vere e proprie sofferenze morali. In questo senso, CASS. 7.6.1996, in Cassazione penale, 1997, 1733. [11] Cfr. in giurisprudenza: CASS. 9.1.1992, in Rivista penale, 1992, 651; CASS. 16.10.1990, in Rivista penale, 1991, 712. [12] In giurisprudenza CASS. 28.10.1970, in Cassazione penale.Massimario annotato, 1971, 611. [13] In questo senso la prevalente giurisprudenza:CASS. 18.10.2000, in Cassazione penale, 2002, 251; CASS. 3.7.1997, in Giustizia penale, 1998, II, 437; CASS. 7.12.1979, in Rivista penale, 1980, 646 [14] In giurisprudenza cass. 25.11.1982, in ced 157319 [15] In questo senso, CASS. 7.6.1996, in cassazione penale, 1997, 1733. [16] Per la differenza tra i reati a forma vincolata e a forma libera, vedi: fiandaca-musco, Diritto penale, parte generale, IV, Bologna, 2001, 173 e ss. [17] In giurisprudenza: cass.6.11.1991, in rivista italiana di diritto e procedura penale, 1994, 1119. [18] In questo senso: CASS.19.6.1986, in Rivista penale, 1987; CASS 17.10.1994, in Diritto e procedura penale, 1995, 204. [19] In passato, prima dell’entrata in vigore della legge in esame, con qualche forzatura veniva applicata, ai casi di violenze o maltrattamenti in famiglia, la misura cautelare prevista dall’articolo 283 c.p.p. in tema di divieto e obbligo di dimora. Si veda, CASS. 23.10.1976, in Giurisprudenza italiana, 1978, II, 68.
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