Tribunale di Ravenna
Ordinanza ai sensi dell'art. 23 legge 11/3/1953 n.87,
letta
alla pubblica udienza del 12 gennaio 2006
In
data 29/12/2005 R. J. e B.E.O. sono stati arrestati da personale del
Commissariato di P.S. di Faenza nella flagranza del reato previsto dall'art.629
c.p. e condotti davanti al giudice del dibattimento ex art.558 c.p.p. per la
convalida ed il giudizio direttissimo.
Ad esito dell'udienza, il Tribunale ha convalidato l'arresto e disposto a carico
di B.E.O. la misura cautelare degli arresti domiciliari.
All'odierna udienza, in sede di giudizio direttissimo, lo J. ha
"patteggiato" la pena di due anni e quattro mesi di reclusione e 600
euro di multa; il coimputato ha richiesto il rito abbreviato.
Conseguentemente, disposta la separazione dei processi, è stata emessa
ordinanza, ai sensi dell'art.438 co.4° c.p.p., nel giudizio a carico di B.E.O.
Le parti hanno concluso nel merito, sollecitando comunque il giudicante a
proporre una questione di costituzionalità dell'art.69 co.4° c.p., come
modificato dall'art.3 della legge 5/12/2005 n.251.
All'imputato viene contestato di avere concorso nel delitto di estorsione, in
danno di F.E.H., con il connazionale R.J..
Dall'esame degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero e, in
particolare dalla denuncia sporta dalla persona offesa, risulta che lo J., il
quale con la donna aveva avuto nel 2001 una relazione sentimentale, era
riuscito, nel giugno del 2005, ad ottenere dalla stessa il pagamento della somma
di 500 euro, dopo averla minacciata di recapitare al suo attuale coniuge una
videocassetta, registrata durante un incontro amoroso fra i due, nella quale
apparivano immagini "spinte" di F.E.H.
Alcuni mesi dopo lo J. aveva richiesto alla donna il pagamento della somma di
altri 1.000 euro, reiterando la minaccia.
La persona offesa, poi, aveva ricevuto due telefonate da B.E.O., amico dello J.
a lei noto, nelle quali lo stesso le "consigliava" di versare il
denaro richiesto.
La mattina del 29/12/2005, sotto la sorveglianza della Polizia (alla quale la
donna si era rivolta il giorno prima per sporgere denuncia), F.E.H. incontrò lo
J. e l'E.O. e ottenne la consegna della videocassetta (in realtà un
"CD", rivelatosi poi privo di immagini) dietro pagamento della somma
di 1.000 euro al primo e - "per l'interessamento nella vicenda" - di
200 euro al secondo.
Ritiene il giudicante che, alla luce delle modalità del fatto, in questa sede
brevemente esposte, il Pubblico Ministero abbia dimostrato la penale
responsabilità di B.E.O. in ordine al reato ascrittogli.
Lo stesso P.M. (così come la difesa in via subordinata) ha sollecitato la
concessione dell'attenuante prevista dall'art.114 c.p., in effetti configurabile
nel caso di specie, atteso che il contributo fornito dall'E.O. si è
concretizzato nell'assunzione di un ruolo del tutto marginale, vale a dire di
efficacia causale così lieve rispetto all'evento, da risultare trascurabile
nell'economia generale dell'iter criminoso (in proposito cfr., fra le ultime,
Cass. 13/4/2004, Terreno e Cass. 10/3/2004, Procopio ed altro).
Il 4° comma dell'articolo 69 c.p. prescrive che il giudizio di comparazione (o
di bilanciamento) delle circostanze sia esteso anche alle circostanze inerenti
alla persona del colpevole.
Tuttavia, detto comma è stato modificato dall'art.3 della legge 5/12/2005
n.251, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 7/12/2005 ed entrata in vigore il
giorno successivo: a seguito della "novella" (consistita nell'aggiunta
della locuzione: "esclusi i casi previsti dall'articolo 99, quarto comma,
nonché dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto
di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze
aggravanti"), nel caso di recidiva reiterata, eventuali circostanze
attenuanti potranno tutt'al più essere valutate equivalenti rispetto alla
recidiva medesima.
Nella fattispecie l'imputato è recidivo reiterato, atteso che egli ha riportato
due condanne per delitti dolosi (entrambi per detenzione di sostanze
stupefacenti), a seguito di applicazione delle pene di un anno di reclusione e
3.000 euro di multa (sospesa) e di due anni di reclusione e 4.000 euro di multa
(in relazione alla quale l'E.O. era stato affidato in prova al servizio
sociale).
La recidiva reiterata può essere ritenuta, pur in mancanza di una precedente
apposita dichiarazione giudiziale dello status di recidivo, dichiarazione che
non ha natura costitutiva (Cass. 16/3/2004, Marchetta e Cass. 6/5/2003,
Andreucci).
La finalità del giudizio di comparazione previsto dall'art.69 c.p., che
attribuisce al giudice la valutazione della prevalenza o equivalenza in caso di
concorrenza fra circostanze aggravanti ed attenuanti, è quella risultante dallo
schema dell'art.133 c.p., dovendosi così valutare il fatto delittuoso,
nell'esercizio del potere discrezionale riconosciuto da tale norma, nella sua
complessità, avuto anche riguardo alle circostanze inerenti la persona del
colpevole, dando poi rilievo a quello od a quegli elementi positivi o negativi
qualificanti il reato ed il suo autore, ritenuti maggiormente significativi o di
valore decisivo; in altri termini, si tratta di apprezzare la personalità del
colpevole e l'entità del fatto, onde conseguire il perfetto adattamento della
pena al caso concreto (in questo senso cfr., da ultimo, Cass. 28/6/2005, Matti).
Nel caso in esame, va evidenziato che la gravità del fatto e la conseguente
pericolosità della condotta posta in essere dall'imputato risultano di modesta
entità, cosicché, prima della ricordata "novella", la circostanza
attenuante di cui all'art.114 c.p. sarebbe stata ritenuta senz'altro prevalente
sulla contestata recidiva, valutazione ora preclusa dalla formulazione
dell'art.69 ult. comma codice penale.
Nella fattispecie, dunque, concessa detta attenuante in equivalenza con la
contestata recidiva, la pena minima da infliggere all'imputato - prima della
applicazione della diminuente per il rito - sarebbe quella di cinque anni di
reclusione e 516 euro di multa, prevista dall'art.629 co.1° c.p., pena che
appare manifestamente sproporzionata e non adeguata rispetto alla condotta posta
in essere dall'imputato.
L'attuale formulazione dell'art.69 comma 4° c.p., come modificato dall'art.3
della legge 5/12/2005 n.251, appare al giudicante in contrasto, innanzitutto,
con l'articolo 3 comma 1° Cost. e, quindi, con il principio di ragionevolezza
quale accezione particolare del principio di uguaglianza.
E'
noto che la Corte Costituzionale ha più volte affermato che rientra nella
discrezionalità del legislatore la determinazione della quantità e della
qualità della sanzione penale; nel contempo, però, il giudice delle leggi ha
evidenziato in numerose pronunzie (cfr., ad es., le ordinanze n.438 del 2001,
n.207 del 1999, n.368 del 1995, n. 435 del 1998, n.456 del 1997) che l'esercizio
di tale discrezionalità può essere sindacato quando esso non rispetti il
limite della ragionevolezza e dia luogo, quindi, a una disparità di trattamento
palesemente irragionevole.
Anche da ultimo, il giudice delle leggi ha opportunamente ribadito che "a
prescindere dal rispetto di altri parametri, la normativa deve essere anzitutto
conforme a criteri di intrinseca ragionevolezza" (così la sentenza n.78
del 10-18/2/2005).
La sproporzione e l'irragionevolezza del trattamento sanzionatorio per casi
quali quello in esame confliggono anche con il principio della funzione
rieducativa della pena (art.27 co.3° Cost.), non apparendo soddisfacente, per
motivare eventualmente la compatibilità della norma in esame con detta
funzione, la mera possibilità di avvalersi, solo in sede esecutiva, delle
misure alternative alla detenzione previste dall'ordinamento.
La preclusione imposta al giudice di formulare eventualmente un giudizio di
prevalenza di una o più circostanze attenuanti rispetto alla recidiva
reiterata, senza eccezione alcuna, comporta un appiattimento del trattamento
sanzionatorio per situazioni che potrebbero essere assai diverse e potrebbe
imporre - come nel caso di specie - l'applicazione di una pena manifestamente
sproporzionata ed irragionevole, l'espiazione della quale non consentirebbe una
rieducazione del condannato.
Certamente sono ipotizzabili altri casi ove l'irragionevolezza della norma
contestata sarebbe ancora più evidente.
Volendo fare un solo esempio (ma ve ne potrebbero essere tanti analoghi), si
pensi all'imputato, in precedenza condannato per un'ingiuria e per una minaccia
(fatti commessi in due diverse occasioni, non avvinti dal vincolo della
continuazione, giudicati con separati processi), il quale ceda una dose di
eroina ad una terza persona: configurata l'ipotesi attenuata di cui all'art.73
co.5° D.P.R. n.309/90 (necessariamente) equivalente alla recidiva reiterata,
l'imputato dovrebbe essere condannato alla pena minima di otto anni di
reclusione e 25.822 euro di multa!
La questione proposta, dunque, appare rilevante nel giudizio de quo (dovendo il
giudicante emettere una sentenza di condanna ad una pena non inferiore a quella
prevista dall'art.629 co.1° C.P.) e manifestamente non infondata (alla luce
delle valutazioni sommariamente espresse).
P.Q.M.
visto
l'art.23 legge 11/3/1953 n.87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata
la questione di legittimità costituzionale dell'art.69 co.4° c.p., come
modificato dall' art.3 della legge 5/12/2005 n.251, nella parte in cui vi è
divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti
alla persona del colpevole, nel caso previsto dall'art.99 quarto comma codice
penale.
Dispone la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il
giudizio in corso.
Ordina che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia comunicata al
presidente del Consiglio dei Ministri e ai presidenti delle due Camere del
Parlamento.
Ravenna,
12 gennaio 2006.
Il
giudice (Dott. Piero Messini D'Agostini)