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Politica carceraria: torniamo a Beccaria
Le Monde, 26 febbraio 2004
La finalità dei primi penitenziari inglesi e olandesi si basava non più sulla vendetta ma sull’idea che il prigioniero dovesse progredire grazie al lavoro. L’italiano Cesare Beccaria, specialista in diritto penale, ebbe a riflettere già nel 1764 sul senso delle pene. Per Beccaria, non bisognava guardare alla vendetta o all’intimidazione, ma piuttosto al risultato d’impedire al prigioniero di recar nuovamente danno ai suoi concittadini. Se oggi persista ancora una reale finalità dietro l’inflizione di una pena, resta un po’ in dubbio. Perché dagli orientamenti dei sistemi penali dei vari paesi europei, non emerge chiaramente se s’intenda punire il fatto o il colpevole. Da un lato la rieducazione dei detenuti è un interesse superiore, spesso perfino riportato come principio costituzionale. Dall’altro, le pene detentive diventano sempre più lunghe e più dure.
L’idea base legata alla rieducazione è la preparazione al ritorno alla vita libera in un quadro di responsabilizzazione sociale. L’obiettivo non è solo il rispetto della dignità umana del prigioniero: vi è anche il compito per lo stato di proteggere i suoi cittadini extra ed intra muros e, nello stesso tempo, quello di far progredire il delinquente. In
Europa però il crescente sovraffollamento delle prigioni rende i programmi di
rieducazione quasi impossibili, perché il personale a disposizione è troppo
scarso, aumenta l’aggressività dei prigionieri a causa di un contesto spesso
irrazionale, ed il lavoro così si complica. Da ciò deriva l’allungamento del
giudizio definitivo e l’attesa del processo a fronte di rapidi e crescenti
ordini di carcerazione, perché in fondo anche i tribunali pretendono troppo da
questa logica. Tuttavia una rieducazione è possibile soltanto attraverso il
confronto del reo con il fatto commesso e con la pena inflittagli.
Cominciando dai lavori di pubblica utilità, si tratta di una buona alternativa per un gran numero di reati, perché può aiutare il delinquente a interiorizzazione il delitto compiuto e la pena inflitta, e contemporaneamente può creare un ponte tra i delinquenti e la società. Il problema qui è che diventa sempre più difficile trovare partner (associazioni od organizzazioni) disponibili alla messa in atto di questi giudizi. Gli
arresti domiciliari dietro sorveglianza elettronica, eliminati in Canada solo
due anni fa per le ingenti spese e per motivazioni di carattere etico, trovano
tuttavia sempre più sostenitori in Europa. Se in Germania la proposta viaggia
ancora come progetto pilota in alcuni Länder, in Francia essa dovrebbe invece
trovare un’estensione generale dopo una fase sperimentale di due anni. Da una
parte, questa alternativa sembra avere effetti positivi, poiché le persone
colpite da questo provvedimento possono restare nel loro ambiente ed in questo
modo è possibile evitare l’impiego di guardie a vista. Certo, per molti si
tratta anche di un allargamento del controllo sociale dello stato, che riguarda
anche i parenti e gli amici del reo. Inoltre le ditte private spingono per
l’uso di queste tecniche per finalità di lucro. E che questo concordi col
senso della punizione è tutto da dimostrare.
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