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Camere della morte ambulanti In Cina entra in vigore il boia itinerante
Il Manifesto, 24 dicembre 2003
Le condanne capitali saranno eseguite con iniezioni al veleno dentro furgoni attrezzati allo scopo. I primi prototipi sono stati forniti dallo stabilimento Fiat Iveco di Nanchino. Una lettera - appello di Amnesty all’azienda torinese: "Fermate la vendita, è immorale". I boia cinesi da ora in poi saranno sempre più itineranti e uccideranno i condannati a morte con iniezioni al veleno. I futuri luoghi del supplizio saranno dei furgoni - le prime "camere della morte ambulanti" entrate in funzione hanno il marchio Iveco, controllata Fiat - che ogni tribunale locale è "sollecitato" ad acquistare adattandoli allo scopo. L’obiettivo, secondo le autorità, è quello di accelerare le esecuzioni, evitando così di dover trasferire i condannati da una città all’altra. La parola d’ordine della più recente delle campagne repressive - rilanciata con lo slogan "Colpire duro" - è di non perdere troppo tempo, con chi inciampa con un codice penale che fa venire i brividi. Dati complessivi sulle condanne capitali non ve ne sono mai stati. Solo nel 2002 i casi accertati parlano di 1.060 uccisioni eseguite, ma le persone messe a morte nello stesso periodo sarebbero dieci volte di più. È stato intensificata la lotta alla microcriminalità (sempre più estesa) e i reati fino a pochi anni fa puniti con il carcere, ora sono colpe da patibolo. Aumentando la mole di lavoro per i tribunali è stato adottato anche un nuovo metodo di esecuzione, l’iniezione letale appunto. Il vecchio sistema delle esecuzioni pubbliche, con i condannati a morte uccisi con un colpo alla nuca dopo essere messi alla gogna su camion militari scoperti fatti passare nei centri abitati, deve essere entrato in corto circuito con l’ingolfamento delle aule giudiziarie. Da qui anche l’introduzione del più sbrigativo sistema delle "camere della morte" mobili. Che queste abbiano inciso sulle fiancate un marchio automobilistico piuttosto che un altro non cambia di una virgola le sorti delle migliaia di persone che nel Paese orientale sarebbero in attesa di esecuzione. Però potrebbe almeno creare un problema morale a chi quei furgoni li vende ben sapendo che saranno utilizzati per simili finalità. Amnesty International - che tra l’altro denuncia la sempre più massiccia campagna repressiva contro la minoranza uigura del Xinjang - ne è assolutamente convinta. E ieri, con una lettera al presidente del Gruppo Fiat, Umberto Agnelli, ha chiesto all’azienda torinese di "non rendersi complice di violazione del fondamentale diritto umano, quello della vita". "Di fatto - scrive nella missiva il presidente della sezione italiana di Amnesty, Marco Bertotto - un veicolo normalmente utilizzato per effettuare servizi di trasporto merci o persone, e quindi utile alla comunità civile, diventa parte essenziale di un apparato omicida puntato alla nuca della stessa comunità. La dichiarazione universale dei diritti umani - ricorda Amnesty - richiede a tutti gli individui e a tutti gli organi della società di fare la propria parte, per garantire il rispetto dei diritti umani ovunque del mondo. Le imprese, soprattutto se grandi, transnazionali e potenti come la Fiat, essendo organi importanti della società internazionale, non possono sottrarsi a questo obbligo". Sollecitando un intervento della Fiat verso Pechino "per pretendere l’abolizione della pena di morte e la commutazione in pena detentiva delle sentenze già emesse", l’associazione chiede inoltre alla Casa automobilistica piemontese di "dare istruzioni ai propri dirigenti e a quelli della sua controllata Iveco, in Cina come in ogni parte del mondo, affinché non siano effettuate forniture di veicoli, parti di ricambio o attrezzature che potranno essere utilizzate per compiere violazioni dei diritti umani". Di furgoni Iveco trasformati in "bracci della morte ambulanti" ne sarebbero in circolazione già diciassette nella repubblica popolare. Il primo, secondo quanto riferito da Beijing News, che ne ha dato notizia qualche giorno fa, sarebbe stato acquistato dall’Alta corte della provincia di Liaoning, nella Cina nord-orientale. La sua entrata a regime è stata confermata anche da un funzionario di polizia dello stesso tribunale, addetto alle esecuzioni, successivamente intervistato dalla France Presse. Sono appunto camioncini Iveco che vengono prodotti nello stabilimento Fiat di Nanchino e che vengono venduti a 400.000 yuan l’uno, pari a circa 40 mila euro. "La Fiat deve porre fine alla vendita o alla consegna, se non ancora effettuata, dei futuri furgoni della morte alle autorità cinesi", scrive ancora Amnesty nell’appello a Umberto Agnelli. "La pena di morte in Cina continua ad essere applicata in modo esteso e arbitrario, spesso influenzata da interferenze politiche - insiste Bertotto -. Di fronte a queste gravi violazioni dei diritti umani, il silenzio dei potenti interessi economici non può essere considerato neutrale". Torino al momento tace. L’addetto stampa dell’Iveco, Giorgio Bertoldi dice di essere al corrente della protesta di Amnesty ma preferisce non commentare il contenuto.
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