Don Mazzi della Comunità Exodus

 

"Il carcere privato aiuterà chi si droga"

Don Mazzi in gara per gestire una prigione

Il fondatore di Exodus propone una struttura di custodia "attenuata"


La Repubblica, 4 aprile 2002


Passa per la Lombardia la nuova linea del Piave nella lotta alle droghe varata dal governo Berlusconi. O almeno così spera don Antonio Mazzi, il creatore della Fondazione Exodus, rete di comunità di recupero e progetti di assistenza agli emarginati, nata vent'anni fa al parco Lambro.

Don Mazzi è in corsa per gestire uno di quei «carceri privati» che il ministro Letizia Moratti ha cominciato a sperimentare con l'aiuto di San Patrignano, a cui ha affidato una struttura a Castelfranco Emilia. Don Mazzi ha messo gli occhi sul piccolo carcere mandamentale di Legnano e ha consegnato al ministro per i rapporti con il parlamento Giovanardi un progetto di gestione. Don Antonio si guarda bene dal parlare di carcere privato, preferendo dire «carcere filtro». Ma il concetto non cambia molto: l'idea è quella di un luogo di detenzione per i tossicodipendenti condannati a scontare una pena, persone che lo Stato preferirebbe avere fuori dalle carceri normali, sovraffollate e poco adatte al reinserimento sociale. Don Mazzi futuro direttore di carcere?

«Noi abbiamo solo consegnato un progetto di un "istituto a custodia attenuata, per l'esecuzione della pena per i tossicodipendenti", che avevamo sottoposto anche a governi precedenti spiega il fondatore di Exodus Io penso a una struttura con 30 posti letto, che faccia fa filtro fra il carcere vero e le nostre comunità, un luogo dove i detenuti che scelgono la strada della riabilitazione si possa fermare poche settimane, in attesa di un posto libero nelle nostre comunità».

Questa prospettiva viene guardata con forti perplessità da Maurizio Baruffi, consigliere comunale e direttore di Fuoriluogo, sito internet e mensile sulle droghe e le politiche ad esse legate. «Il concetto di "carcere privato" è pericoloso perché non si capisce in base a quale principio legale un privato possa gestire una struttura detentiva. E inoltre sorge il legittimo sospetto che il gestore diventi interessato ad avere un maggior numero di ospiti, se questo significa un maggior introito economico». Dubbi questi che Franco Taverna, braccio destro di don Mazzi, respinge fermamente:

«La nostra idea, parte dalla constatazione condivisa a destra e a sinistra, che il carcere sia il luogo meno adatto per custodire persone con problemi di dipendenza. In ogni caso nel nostro progetto ci riserviamo di gestire la parte educativa e di lasciare allo Stato, quindi alla polizia penitenziaria, la custodia dei detenuti. Dei compiti educativi possiamo invece senz'altro occuparci visto che già nel 2001 abbiamo ospitato 108 tossicodipendenti nelle nostre comunità».

 

 

Non parlate di carcere privato
Franco Taverna, coordinatore Fondazione Exodus

 

La Repubblica, 6 aprile 2002

 


Riteniamo che sia poco corretta e fuorviante la titolazione dell'articolo apparso giovedì 4 aprile riguardante la proposta per una struttura carceraria a sorveglianza attenuata. Mettiamo in fila alcune semplici considerazioni in merito alla nostra posizione in tema di esecuzione della pena per soggetti tossicodipendenti: dal 1984 abbiamo promosso una campagna dal titolo "Oltre il carcere" che ci ha visti sostenitori dell'idea che alcuni reati (si parlava allora del terrorismo oltre che della tossicodipendenza) dovessero essere scontati fuori dalle strutture carcerarie. Non abbiamo cambiato idea. A partire dal 1990, anno di promulgazione della legge attualmente in vigore in tema di droga, abbiamo tenacemente insistito con ogni governo che si è succeduto, perché venisse applicato il capo secondo dell'articolo 95 «si provveda all'acquisizione di case mandamentali ed alla loro destinazione per i tossicodipendenti condannati con sentenza anche non definitiva». Nel 1994 abbiamo scritto un progetto per la realizzazione di una sperimentazione così come previsto dalla legge. La stessa è stata inviata anche all'attuale governo. Siamo sempre stati e siamo in attesa di risposte concrete. In tempi non sospetti e da parte di persone non sospette, all'interno della Terza Conferenza Nazionale tenutasi a Genova nel novembre del 2000 il dott. Gianfrotta, magistrato e direttore dell'Ufficio Quarto del D.A.P., sostiene (noi diciamo: finalmente!) che si debbano promuovere esperienze a custodia attenuata, con «spazi adeguati», con «interventi che riguardino in modo particolare la formazione professionale e il lavoro, le attività scolastiche» con il «coinvolgimento del sociale esterno, familiari, volontari, attraverso contatti e iniziative costanti».

È esattamente quanto contenuto nel nostro progetto. Abbiamo sempre sostenuto e sosteniamo che non possano essere sovrapposte le funzione educative e di custodia. Chi fa l'educatore non fa la guardia e viceversa. Ora, non penso che sia corretto liquidare la proposta parlando di "carcere privato" e dicendo che don Mazzi è in gara per gestire una prigione. Piuttosto, rilanciamo fortemente l'invito che la dottoressa Castellano, direttrice della struttura a custodia attenuata di Eboli, sollecitava nel suo intervento alla Conferenza di Genova: «La custodia attenuata non si deve porre come il premio per pochi o come l'élite della carcerazione» e siamo ancora in attesa che sia creata almeno una custodia attenuata per ogni Regione.

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