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Ecco la "colonia agricola" che ospiterà i detenuti
Corriere della Sera, 27 dicembre 2001
L’idea del ministro Giovanardi è già stata trasformata in realtà dal Guardasigilli Roberto Castelli. Mentre all’interno di governo e maggioranza si dibatte sull’opportunità di concedere alternative alla detenzione, il dicastero di via Arenula ha dato il via a un progetto di sperimentazione per far uscire dalle celle i detenuti tossicodipendenti. Una sorta di "comunità di recupero" che per la prima volta in Italia sarà gestita direttamente dallo Stato. Il programma sarà operativo entro qualche mese. E’ stata scelta la struttura, siglato l’accordo con la comunità di San Patrignano e sono state messe a punto regole e obiettivi della "colonia agricola" che consentirà il reinserimento nella realtà sociale e lavorativa di alcuni reclusi. Lo studio è stato avviato da Castelli poco dopo la sua nomina a ministro della Giustizia. L’idea era quella di trovare misure diverse dal carcere per chi fa uso di droga. Una strada con due finalità: consentire a queste persone una possibile riabilitazione e decongestionare i penitenziari, visto che secondo le ultime stime il 40 per cento dei detenuti è tossicodipendente. Il modello da seguire, secondo le indicazioni date da Castelli, era proprio quello studiato da Muccioli e così gli esperti del DAP, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, hanno preso contatto con i responsabili di San Patrignano. Ci sono state diverse riunioni - comprese quelle relative alla copertura finanziaria da parte del governo - e alla fine il progetto ha ottenuto il via libera. La "colonia" avrà sede in un carcere dismesso che si trova vicino a Castelfranco, in Emilia -Romagna. Qualche mese fa è cominciata la ristrutturazione dell’edificio che all’interno disporrà anche di un centro clinico. Si tratterà di una struttura "aperta", cioè senza controlli o limitazioni, se non quella di non poter uscire. Chi sarà ammesso al programma dovrà lavorare la terra e compiere tutte quelle attività agricole e artigianali che, così come avviene a San Patrignano, possanno essere poi legate a un progetto di distribuzione commerciale. Restano da stabilire i criteri di scelta dei detenuti che potranno accedere alla sperimentazione, ma è presumibile che saranno individuati tra coloro che hanno pene minime da scontare e che potrebbero già godere dei benefici concessi dalla legge. Una "selezione" che verrà fatta attraverso i tribunali di sorveglianza e con l’avallo delle direzioni delle carceri, così come avviene normalmente per chi chiede di poter beneficiare delle pene alternative. Al ministero spiegano che si tratta di un "esperimento", sottolineano che non c’è alcun provvedimento legislativo, ma non negano che, se ci saranno buoni risultati, saranno create altre strutture simili in diverse parti d’Italia. "Castelli - spiegano i suoi collaboratori - crede molto nell’opportunità di far lavorare i detenuti per ottenere il loro reinserimento e ritiene che sia proprio questa la strada da percorrere per la creazione di circuiti alternativi alla detenzione". E’ proprio la soluzione prospettata da Giovanardi che ha già provocato la netta opposizione di Alleanza Nazionale.
"Un errore parlare di carcere privato" (Intervista ad Andrea Muccioli)
La Nazione, 28 dicembre 2001
Maneggiare con cura. A San Patrignano avvertono di stare molto attenti con le etichette: termini come "comunità di stato" o peggio "carcere privato" restituiscono l’immagine sbagliata di un lavoro iniziato parecchi mesi fa e tutt’ora in corso. Al punto che dell’avvio della comunità di recupero da ricavare nell’ex colonia agricola di Castelfranco Emilia nulla è stato ancora comunicato a Sanpa. "Sto leggendo un sacco di sciocchezze — attacca Andrea Muccioli (nella foto) — su questa vicenda. Fra l’altro non uno, dico uno, di quelli che hanno esternato che abbiano chiamato per sapere come stanno effettivamente le cose".
E come stanno? "Tre mesi fa — spiega il figlio del fondatore di San Patrignano — ho incontrato il ministro Castelli: su sollecitazione del direttore del carcere di Rimini e dell’allora responsabile del dipartimento degli istituti di pena dell’Emilia Romagna avevo preparato un progetto di comunità di recupero all’interno di una struttura detentiva. E’ chiaro che un’idea di come dovrebbe essere un carcere per tossicodipendenti l’abbiamo: dal 1990, quando fu introdotta la legge che prevedeva misure alternative al carcere, la nostra comunità ha fatto risparmiare a giovani tossicodipendenti tremila anni di carcere e allo stato qualcosa come 270 miliardi".
Cosa serve oggi a questi detenuti? "Per prima cosa, spazio: oggi solo San Patrignano e Comunità Incontro rappresentano un’alternativa concreta al carcere: da soli non possiamo farcela. E poi serve un "filtro". Mi spiego: oggi molti tossicodipendenti chiedono di entrare in comunità perché credono che sia sempre meglio della galera, ma non hanno nessuna seria volontà di riscatto e prima o poi tornano da dove sono venuti. Noi pensiamo ad una struttura che prepari alla comunità, che permetta di selezionare, con un percorso di alcuni mesi, i ragazzi decisi a incominciare una nuova vita".
Quale sarebbe il ruolo di San Patrignano? "Un ruolo decisivo per quanto riguarda i principi, i metodi e le finalità. Non accetteremo situazioni pasticciate, non avalleremo scelte in contrasto con i principi di San Patrignano. Tanto per intenderci, non si uscirà da Castelfranco per finire imbottiti di metadone in qualche, si fa per dire, struttura di recupero. Occorrerà, secondo noi, formare le guardie penitenziarie che avranno un ruolo di educazione e non solo di contenimento. Pensiamo possa essere molto stimolante per loro e francamente certe accuse mi sembrano ingiuste. Poi, persone formate a San Patrignano potranno dar vita e sviluppare quelle attività che oggi sono la forza della nostra comunità: agricoltura, artigianato, laboratori. Credo che, alla fine, liberare dalla droga un ragazzo e insegnargli un mestiere costerà meno allo Stato che farlo marcire dietro le sbarre. Sapendo però una cosa: non basta essere tossicodipendenti per trovarsi spalancate le porte di questa o di quella comunità. Non c’è nulla di automatico nel riscatto di una persona".
E’ bastato parlare di San Patrignano per scatenare un vespaio... "Ho visto. Ma San Patrignano non c’entra nulla: sono altri gli interessi in gioco. Nessuno si è mai sognato di parlare di carcere privato o altre sciocchezze del genere. Lo Stato farà lo Stato, le guardie carcerarie continueranno a fare il loro lavoro e, se il progetto andrà in porto, gli operatori e i volontari di San Patrignano andranno a Castelfranco a insegnare informatica, fotolito, falegnameria, ma soprattutto per orientare i ragazzi verso scelte di cambiamento. Esperienze che avvengono già in altre città (nel carcere di Rimini per esempio) e con altre associazioni. Mi chiedo: dov’è lo scandalo? O San Patrignano è solo un pretesto perché rompe consolidate logiche politiche ed economiche?".
"Schiaffo al mondo delle comunità" (Intervista a Livia Turco)
La Nazione, 28.12.2002
Creare strutture alternative al carcere, ma affidandole a tutte le comunità e ai servizi sociali e non solo a S. Patrignano. Chiarire una volta per tutte qual è la politica del governo sulle droghe. Livia Turco (nella foto), ex ministro degli Affari Sociali, oggi responsabile welfare per i DS, ha parlato subito di "schizofrenia" del governo all’indomani delle recenti prese di posizione dei ministri Giovanardi e Gasparri.
Onorevole Turco, nella maggioranza tutti dicono che non c’è nessuno scontro... "Io sto ai fatti. Nella stessa giornata abbiamo avuto Giovanardi che plaude alle parole del cardinale Martini dicendo che per i tossicodipendenti bisogna trovare delle soluzioni alternative al carcere e che bisogna puntare all’integrazione tra Ser.T. e comunità. E abbiamo Gasparri che sostiene l’esatto opposto dicendo no alla riduzione del danno e bollando i Ser.T. come metadonifici. Si mettano d’accordo. E soprattutto, visto che si tratta di materia delicata, il governo ha il dovere di dire esattamente cosa intende fare. Su questo ci sarà una mia interpellanza".
Ma
la proposta di Giovanardi di evitare il carcere ai tossicodipendenti che abbiano
espresso la volontà di avviare un percorso di recupero non va nella direzione
da lei voluta?
Che
ne pensa?
Nel senso? "Nel senso che per un governo che fa della sussidiarietà il punto cardine della sua politica, realizzare una comunità di Stato sarebbe paradossale. Il massimo per un ministro leghista è finanziare con i soldi dello Stato quello che dovrebbe fare il privato sociale. Detto questo, applicano una legge dello Stato. Solo che l’applicano male".
E cioè? "La Jervolino - Vassalli prevede la creazione di circuiti differenziati, ma va applicata tenendo conto che nel mondo della droga ci sono tremila comunità, e non una, e che l’affidamento in prova può avvenire alle comunità come ai servizi sociali. E allora, perché il progetto riguarda solo S. Patrignano? Non è pensabile delegare ad un solo soggetto la realizzazione di strutture alternative al carcere. Dirò di più. Il fatto che il governo ostenti una scelta esclusiva per San Patrignano è uno schiaffo al mondo delle comunità e dei Ser.T.".
Non si privatizza un carcere
Il Resto del Carlino, 28.12.2001
L’idea del ministro Carlo Giovanardi è già sul tavolo del Guardasigilli Roberto Castelli. Forse è solo una questione di mesi, poi la Casa di Lavoro di Castelfranco Emilia dovrebbe trasformarsi in una "comunità terapeutica di Stato", gestita però da Andrea Muccioli, che attualmente dirige la comunità di San Patrignano. I miliardi stanziati per ristrutturare l’edificio sono 15, due padiglioni sono già stati risistemati. Attualmente i detenuti sono trenta, la capienza diventerebbe per 150 persone. Nei 23 ettari intorno al carcere sorgerebbe un’azienda agricola con stalle, serre, frutteti, vigne, alveari, dove i detenuti lavorerebbero. "Per ora si tratta di un progetto — ha detto il ministro Carlo Giovanardi — non c’è ancora niente di definitivo. E’ un’ipotesi che il guardasigilli ha avanzato insieme ad Andrea Muccioli di San Patrignano: allo studio c’è una formula intermedia tra carcere e comunità terapeutica, a Castelfranco potrebbe sorgere il primo progetto pilota. Troppe volte capita che un tossicodipendente processato per reati legati alla droga venga ospitato da comunità di recupero. Poi, quando la sentenza passa in giudicato, viene prelevato e rimesso in carcere, interrompendo il percorso di guarigione. Noi non vogliamo che ciò accada: ecco perché abbiamo pensato ad una struttura che ospiti il detenuto tossicodipendente e gli offra un percorso di recupero". Dello stesso parere Enrico Aimi di Alleanza Nazionale: "Sono favorevolissimo ad un’ipotesi del genere. Sappiamo bene che in carcere, purtroppo, il detenuto tossicodipendente non fa progressi. Spesso entra in contatto con altri criminali, e invece di intraprendere percorsi rieducativi quando esce riprende la strada del crimine, magari con anche maggior esperienza. Se invece scontasse la pena in una struttura predisposta che gli offrisse una via per uscire dal tunnel, allora potremmo veramente parlare di rieducazione del condannato". Non tutti sono d’accordo, però, soprattutto nell’affidare la gestione a San Patrignano. Tra questi Franco Corleone, ex sottosegretario alla Giustizia: "E’un fatto di una gravità inaudita, il primo caso di privatizzazione dell’esecuzione penale in Italia su cui tutti gli uffici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria hanno dato, per iscritto, parere contrario: dall’ufficio trattamentale, a quello dei beni e servizi, all’ufficio studi". Dello stesso parere monsignor Vinicio Albanesi, presidente del coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza: "Il fatto poi che come unica possibilità si offra quella della comunità di Muccioli — dichiara — ci porta indietro nel tempo, ai giorni del craxismo quando si privilegiavano solo gli amici degli amici".
Il penitenziario di San Patrignano
Il Manifesto, 28.12.2001
Un carcere privato e per tossicodipendenti. Sarebbe questo in buona sostanza il progetto lanciato dal ministro per i Rapporti con il parlamento Carlo Giovanardi, che accoglierebbe, a sentire lui, l’appello lanciato il giorno di Natale dal cardinale di Milano Carlo Maria Martini. Giovanardi, ospite della comunità Incontro di don Pierino Gelmini, ad Amelia, rilancia: "E’ assurdo che debba scontare la pena chi ha accettato il percorso di recupero dopo aver commesso reati perché schiavo della logica della tossicodipendenza. E’ assurdo che debba farlo proprio mentre sta uscendo dal tunnel della droga". Fin qui nulla da dire, ma la particolarità del progetto potrebbe essere la gestione a carattere privatistico. La "comunità di recupero", infatti, potrebbe essere gestita dalla comunità di San Patrignano. L’idea sarebbe dello stesso ministro della Giustizia. La "colonia" avrà sede in un carcere dismesso che si trova a Castelfranco, in Emilia Romagna, un’imponente struttura che potrebbe ospitare più di cento persone, costituita da un’azienda agricola di 23 ettari, stalle, serre, frutteti, vigne, alveari e macchinari. Il fatto è che la vecchia gestione aveva lavorato a un progetto pilota sperimentale di ristrutturazione edilizia di Castelfranco ipotizzando la sua trasformazione in istituto a custodia attenuata prevalentemente, ma non solo, per i tossicodipendenti. Un progetto finalizzato al reinserimento sociale del detenuto attraverso attività di lavoro realmente remunerative legate al territorio e gestite esclusivamente dallo stato. Ma il vento di destra avrebbe modificato i programmi. Ieri sera è stato lo stesso ministro Castelli a intervenire per spiegare quello che, a suo dire, sarebbe ancora un progetto. "Non si tratta di promuovere comunità di stato o di privatizzare le carceri, ma di studiare misure che puntino in primo luogo al recupero del detenuto, a suo vantaggio ma soprattutto a vantaggio della società, con la diminuzione del rischio di recidiva". Per quanti riguarda San Patrignano, invece, Castelli spiega che la scelta sarebbe caduta sulla struttura di Muccioli "per i risultati raggiunti finora dalla comunità, risultati che parlano chiaro e mi assumo la responsabilità di questa scelta". Più cauto Giovanni Tinebra, nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: "La nostra amministrazione non può lasciare la gestione ai privati. Stiamo ancora studiando le modalità di organizzazione dell’ex casa di lavoro. Sicuramente potrà essere utilizzato un contributo di esperienze". Si potrebbe trattare di cogestione? "Assolutamente no, ma non posso essere più preciso". Pensa che potrebbe rimanere in piedi il progetto della vecchia amministrazione? "Noi lavoriamo in continuità con la vecchia amministrazione". E cosa dice delle voci che parlano di un accordo con San Patrignano? "Ci sono questioni politiche in cui io non entro". E se il ministero vi avesse scavalcati? "Che io sappia nessuno ci ha scavalcati". Quali i tempi di realizzazione? "Considerando anche i problemi economici penso a uno - due anni". Stessa musica per Sergio Segio, che con Sergio Cusani si è battuto nella scorsa legislatura per l’amnistia e l’indulto e oggi parla di vero e proprio business delle "carceri privatizzate". Ma in serata arriva anche una smentita molto parziale dello stesso Andrea Muccioli: "Nel concreto siamo ancora lontani dalle ipotesi di comunità di stato o di carcere privato". Da un lato un ministro che rilancia un progetto, dall’altro un dipartimento che ancora brancola nel buio, dunque. E, come era ovvio, la privatizzazione ha scatenato non poche reazioni. "Sarebbe il primo caso di devolution ai privati del trattamento penale", commenta l’ex sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone, che ricorda anche come il regolamento interno previsto da San Patrignano preveda regole estremamente rigide, quali ad esempio il divieto di contatti esterni per sei mesi, contrarie a leggi, regolamenti e finanche alla Costituzione. E proprio la regione Emilia Romagna resta sbigottita all’annuncio di Giovanardi. L’assessore alla Sanità Gianluca Borghi ricorda che "avevamo avviato un confronto istituzionale per la ridefinizione delle modalità di custodia della struttura, ma con il nuovo governo questo confronto si è interrotto. Spero che possa riprendere al più presto". L’accordo Castelli - Muccioli resta "fuori dal mondo" per molti. A cominciare dall’ex ministro Livia Turco, per la quale "sarebbe paradossale per un governo che fa della sussidiarietà il punto cardine della sua politica realizzare una comunità di Stato per tossicodipendenti", mentre punta sulla depenalizzazione Rosy Bindi, offrendo una sponda a sinistra al governo solo e soltanto su questa strada, e Vittorio Agnoletto, presidente della Lila, rilancia il ricorso a pene alternative, "purché il tutto sia inserito in un discorso di riduzione del danno". Si scagliano contro San Patrignano gli agenti di polizia penitenziaria e Leo Beneduci, del sindacato autonomo di polizia penitenziaria, avverte: "Se a gestire Castelfranco in Emilia viene la comunità di San Patrignano, allora escono gli agenti di polizia penitenziaria. Il ministro non ci ha minimamente informati riguardo al progetto di far diventare Castelfranco una colonia agricola per il recupero di tossicodipendenti gestita da Muccioli, ma sappia che siamo contrari alla gestione".
Andrea
Muccioli: "Mi dispiace per chi ci invidia ma l’idea l’abbiamo avuta noi"
Corriere della Sera, 28.12.2001
Così era fatto suo padre, Vincenzo Muccioli. Così è fatto lui, Andrea Muccioli. Prima lo sfogo. Contro chi (politici, responsabili di comunità, sindacati) ha attaccato il progetto, anzi "l’idea di progetto": una struttura che accolga i detenuti tossicodipendenti per motivarli ad affrontare la comunità. "Ho letto di comunità di stato, di carceri private. Ma che serietà è da parte degli operatori di esprimere dei giudizi senza sapere? Culturalmente e intellettualmente è disonesto". Poi passa ai numeri, per spiegare, dice: "San Patrignano ha sostituito 2500 anni di carcere, tanti quanti sono i ragazzi accolti dalle carceri negli ultimi quindici anni, con programmi alternativi di recupero e di reinserimento. E abbiamo fatto risparmiare allo Stato 272 miliardi di lire. Pochissimi in Italia sono stati capaci di fare questo: noi e la comunità Incontro". Eppure, racconta, i ragazzi delle carceri sono persone "difficili". Spesso "violente, provate". Che arrivano in comunità con una motivazione diversa, che non è quella del recupero, "ma di una soluzione più comoda rispetto al carcere". Dalle esperienze "l’idea": "Una struttura intermedia tra prigione e comunità" per preparare i ragazzi a intraprendere "motivati" il recupero in comunità. Non un luogo di selezione, ma di "valutazione" dove se il ragazzo non trova la "motivazione" torna in carcere, salvo riprendere il cammino dopo. "La patente del tossicodipendente non deve essere però una corsia preferenziale - continua Muccioli -. Sarà una struttura nuova ed estremamente originale. Mi dispiace per gli invidiosi, interessati solo alla spartizione delle vacche, se l’idea l’abbiamo avuta noi. Il nostro contributo ci è stato richiesto e in modo gratuito la primavera scorsa. Abbiamo impegnato le nostre risorse con l’unico obiettivo del recupero totale delle persone senza l’aiuto di stampelle farmacologiche. In una logica di collaborazione tra pubblico e privato. Ognuno con le sue competenze: la gestione sarà in mano dell’amministrazione penitenziaria". E si stupisce Muccioli dell’attacco del sindacato degli agenti penitenziari: "Ho incontrato, ovviamente, gli operatori carcerari, prima di buttar giù il progetto. Sarà un lavoro di squadra, un team con personale carcerario formato e con operatori della o, perché no, delle comunità. Nessun problema purché rispondano alle logiche del recupero totale dei ragazzi". Una struttura nella quale stare in quanti, per quanto e come? "Non ci possono essere tempi stabiliti. Un ragazzo potrebbe essere pronto per la comunità dopo un mese, un altro dopo vari. E sul come stare, anche lì si stanno dicendo un sacco di inesattezze: non si può dire che sarà una comunità "agricola". Sarà quello ed altro. Ai ragazzi bisogna offrire più alternative. Sul numero di detenuti non mi pronuncio: stiamo parlando di una bozza di progetto. Che ho personalmente portato al ministro Castelli a Roma, lui era entusiasta dell’idea. Poi ho visto la struttura di Castelfranco in Emilia, l’unica disponibile e adatta. E comunque a tutt’oggi sto aspettando serenamente una risposta".
Che
pena Il Manifesto, 29.12.2001
Facciamo
conto che la galera sia una branca dell’educazione e vedremo che non c’è
nessuno scandalo nel fatto che il governo abbia deciso di avvalersi della
collaborazione di un operatore privato (la comunità di San Patrignano) per
gestire un "carcere alternativo" destinato ai detenuti
tossicodipendenti (la vogliamo o no la libera concorrenza sul mercato
dell’istruzione?). D’altra parte, come Berlusconi insegna, il solo modo per uscire dalle difficoltà è rilanciare, e scegliere come partner privilegiato nel campo del privato sociale un soggetto come San Patrignano significa proprio questo. Senza inutili diplomazie si dimostra che la predilezione per il privato ha un senso politico molto preciso. L’immagine di San Patrignano, riportata sugli altari in modo scientifico negli ultimi mesi (fino alla santificazione televisiva), emana ordine e disciplina in nome di dio, azienda e famiglia, coerentemente con la scelta già fatta di ripristinare la guerra alla droga e alla morale permissiva sulla già quale scivolò Bettino Craxi. Quello stesso Bettino che con San Patrignano andava d’amore e d’accordo e ne aveva fatto un simbolo nazionale. Quella stagione, ci fanno sapere da palazzo Chigi, non è affatto finita. La sfida è piuttosto chiara. Se qualcuno ha qualcosa da dire faccia vedere di cosa è capace o (meglio ancora) taccia per sempre. Che nessuno, comunque, si azzardi a sostenere che il "metodo Muccioli" non è adatto per gestire un carcere, sia pure alternativo. Il tasso di arroganza è tale che rischia persino di sembrare un dettaglio di poco conto l’intenzione di "privatizzare" una funzione così tipicamente pubblica come la somministrazione della pena ai condannati. E’ un esperimento, si giustificano in un sussulto di timidezza dal ministero della giustizia. Magari vogliono vedere come va, perché se funziona si potrebbe perfezionare il sistema e non pensare solo agli sfigati. Se ci fossero carceri private a cinque stelle, per esempio, tanta gente dilapiderebbe patrimoni in avvocati per evitare la galera?
Gli agenti contro Muccioli
Il Resto del Carlino, 29.12.2001
Andrea Muccioli spiega dalla sua comunità di San Patrignano come dovrebbe essere, secondo lui, una struttura per detenuti tossicodipendenti: "Tre mesi fa — dice il figlio del fondatore di San Patrignano — ho incontrato il ministro Castelli: su sollecitazione del direttore del carcere di Rimini e dell’allora responsabile del dipartimento degli istituti di pena dell’Emilia Romagna avevo preparato un progetto di comunità di recupero all’interno di una struttura detentiva. Non accetteremo situazioni in contrasto con le regole di San Patrignano. Tanto per intenderci, non si uscirà da Castelfranco per finire imbottiti di metadone in qualche, si fa per dire, struttura di recupero. Occorrerà formare le guardie penitenziarie che avranno un ruolo di formazione e non solo di contenimento. Pensiamo possa essere molto stimolante per loro". Di diverse parere, però, è la maggior parte della guardie penitenziarie: "Se a gestire a Castelfranco Emilia viene la comunità di S. Patrignano, allora escono gli agenti di polizia penitenziaria", dice Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria che nella casa di lavoro di Castelfranco conta il maggior numero di iscritti (30 su 54). Contrario all’idea anche Alessandro Margara (foto a destra), ex direttore del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: "Pensare ora di cedere il carcere a San Patrignano è fuori dal mondo, è un’espropriazione dei ruoli che non va bene per nessuno: confondere San Patrignano con la galera può uccidere i lati positivi che questa esperienza indubbiamente porta con sé".
Sirchia: tossicodipendenti dal carcere alle comunità sorvegliate
Corriere del Sera, 28.12.2001
Il ministro della Salute Girolamo Sirchia è favorevole al recupero dei detenuti tossicodipendenti in comunità terapeutiche "vigilate" e considera "interessante" l’esperienza svizzera dei Centri pubblici per iniezioni. Dopo le polemiche seguite alle dichiarazioni del ministro dei Rapporti con il Parlamento Giovanardi sulla necessità di far uscire i tossicodipendenti dalle carceri, la maggioranza si è ricompattata e anche Alleanza nazionale ha ammorbidito i toni. Critiche arrivano invece sul progetto sperimentale voluto dal ministro della Giustizia Castelli: le proteste riguardano la scelta del partner, la comunità di San Patrignano, con cui è già stato firmato un accordo. Muccioli precisa che la gestione sarà dell’amministrazione penitenziaria.
Castelli nel segno di San Patrignano
Repubblica, 28 dicembre 2001
C’è un filo sottile, non importa qui stabilire di quale colore, che collega la riforma scolastica proposta recentemente dal governo e il progetto sperimentale sulla prima comunità di Stato per il recupero dei tossicodipendenti. E non è solo la firma in trasparenza di Letizia Moratti, ministro della Pubblica Istruzione e nume tutelare della comunità di San Patrignano che dovrebbe gestire la "colonia agricola", com’è stata eufemisticamente ribattezzata, nell’ex carcere di Castelfranco in Emilia riservato ai drogati. E’ piuttosto una cultura della cosa pubblica, perfettamente incarnata dalla signora Moratti e dai suoi colleghi, che il centrodestra pretende di applicare senza differenze alla scuola, alla sanità o appunto alla lotta contro la droga, in una visione privatistica della società. All’indomani dell’appello lanciato il giorno di Natale dal cardinale di Milano, Carlo Maria Martini, a favore delle pene alternative al carcere per i tossicomani, si viene così improvvisamente ad apprendere per vie traverse che il ministro della Giustizia Castelli, reduce dall’infausta battaglia contro il mandato di cattura europeo, ha già stipulato un accordo con la comunità di San Patrignano per la creazione di una struttura "ad hoc", finanziata dallo Stato. A dare l’annuncio è il ministro cattolico per i Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, dichiarando subito il proprio consenso e quello della propria parte politica. Apriti cielo. Nella Casa delle libertà scoppia una lite da condominio. Ed è in particolare Alleanza nazionale, per bocca del ministro delle Comunicazioni Gasparri, tra una telefonata in diretta tv e una pausa dei lavori per la preparazione del "libro bianco" sulla Rai, che censura i "metadonifici" di Stato. Di rincalzo, un suo focoso compagno di partito come Ignazio La Russa non esita a definire la sortita di Giovanardi "una sciocchezza natalizia" o meglio, chissà perché, "un pensiero dal film americano". E’ la mitica coesione del centrodestra. Ora si potrebbe anche liquidare la vicenda come un nuovo "vaudeville" messo in scena da questa maggioranza, se non fosse per l’importanza e per la delicatezza dell’argomento. E soprattutto, se la questione non coinvolgesse l’uso dei beni e delle risorse dello Stato, sul doppio fronte della lotta alla criminalità e della lotta contro la droga. Tanto più che in questo caso tutto sembra ruotare intorno alla comunità di San Patrignano, già più volte in passato al centro di numerose polemiche, assurta a modello di struttura repressiva per i metodi quantomeno controversi adottati dal suo fondatore, Lorenzo Muccioli. Intendiamoci: in un terreno minato come questo, nessuno può dire di avere la soluzione in tasca, la ricetta sicura per debellare la piaga della droga. Il confronto resta aperto. Possiamo e dobbiamo discutere se contro la tossicodipendenza sia meglio un approccio piuttosto che un altro. E il tentativo avviato da Muccioli, insieme a quelli di segno opposto che privilegiano invece il recupero attraverso l’autocoscienza e l’autodeterminazione, meritano comunque rispetto. Sta di fatto, però, che questa maggioranza tende ad accreditare la comunità di San Patrignano come l’unico modello possibile, la strada obbligata nella battaglia contro la droga. Al punto da tributarle una serata speciale sulla tv pubblica alla vigilia di Natale per la raccolta di fondi, come se fosse un’istituzione benefica internazionale. E tanto da affidarle in gestione un carcere dello Stato, stipulando una convenzione ed espropriando al di là delle regole anche l’amministrazione penitenziaria, per il recupero dei detenuti tossicodipendenti a spese di tutti gli altri cittadini che non si drogano e non delinquono. Se c’è una certezza in questo campo, dettata innanzitutto dall’esperienza, riguarda proprio il carcere. Qui, nel luogo istituzionalmente deputato alla detenzione, dove lo Stato può controllare il cittadino - detenuto ventiquattro ore su ventiquattro, la droga infatti circola, viene spacciata e consumata liberamente, a riprova del suo altissimo potere di penetrazione e corruzione. Per quanto si possa essere rispettosi dei metodi e degli operatori di San Patrignano, si fa fatica a immaginare una capacità di sorveglianza maggiore, a meno di non pensare a sistemi correttivi contrari alla dignità della persona umana. Sarebbe davvero paradossale e inaccettabile se, per applicare – come pure è giusto — pene alternative ai detenuti drogati, questi fossero sottoposti a un carcere peggiore del carcere, alla coercizione fisica o addirittura a forme di tortura. Da una parte, la stessa detenzione perderebbe evidentemente il suo valore rieducativo. E dall’altra, il recupero rischierebbe di essere artificiale, apparente, provvisorio, comunque estraneo a un percorso effettivo di disintossicazione e di scelta. In ogni caso, aumenterebbe il pericolo della recidiva. Appena qualche mese fa, del resto, nella conferenza di Genova sulla droga, era stato per primo il centrosinistra a proporre l’adozione di pene alternative. Ma fu subissato di critiche e reazioni negative. Ha ragione perciò l’ex ministro Livia Turco a chiedersi: che cosa è cambiato? E’ una domanda tanto legittima che viene da rispondere: è cambiato che ora c’è il "modello San Patrignano", il carcere – non – carcere, sostenuto e protetto dalla signora Moratti con le risorse e i beni pubblici. Nella logica controproducente del proibizionismo, la lotta alla droga finisce per diventare fatalmente un tabù e il tossicomane un mostro da rinchiudere dietro le sbarre, anziché un malato da assistere e da curare. Eppure, dall’alcol alla prostituzione, possiamo constatare in ogni momento che la repressione da sola non basta e non serve: quello che occorre, innanzitutto, è una grande opera di informazione, educazione e dissuasione che prepari i giovani a esercitare responsabilmente la propria libertà. Attraverso il regime dell’illegalità, il narcotraffico clandestino alimenta invece la spirale perversa dello spaccio, dello sfruttamento, della criminalità. E purtroppo, come dimostrano le statistiche più recenti, insieme al fenomeno della dipendenza aumenta anche il numero delle vittime.
DROGA, di Bruno Vespa
La Nazione, 29 dicembre 2001
Ogni volta che si pronuncia il nome di Muccioli, il pubblico si divide in due. Come se si assistesse a Milan - Inter, Fiorentina - Bologna, Verona - Chievo. Tanto accadde per il padre, quanto accade per il figlio, che se non ha avuto tempo per conquistarsi il carisma di Vincenzo, certo ne ha ereditato il carattere scontroso e determinato. La decisione del Guardasigilli Castelli (nella foto) di affidare a San Patrignano il recupero dei tossicodipendenti detenuti da trasferire alla casa di lavoro di Castelfranco Emilia ha trovato, com’era prevedibile, un muro compatto di oppositori, dalla sinistra parlamentare ai Ser.T., dalle guardie carcerarie alla gran parte delle comunità gestite da sacerdoti. E’ stato sempre così: i Muccioli hanno salvato migliaia di giovani dalla droga con il lavoro e con un regime di vita severo, gli altri hanno spesso ottenuto buoni risultati percorrendo strade diverse e al loro interno talvolta opposte.
La lettera: *Don Vinicio Albanesi "Basta con le comunità anti-droga sponsorizzate"
Corriere della Sera, 30.12.2001
Gentile direttore, ho notato che il Corriere ha decisamente messo in evidenza le "nuove politiche" governative sulla droga. Tanto vale, per amore di completezza, aggiungere qualcosa di utile. Prima di tutto lo stile: cinque ministri e mezzo, in ordine sparso, vanno alla comunità di San Patrignano a dire "bravi ragazzi"; un altro paio vanno da don Gelmini a dire un po’ più sommessamente "bravo"; aggiungendo che le strutture statali dedite alla tossicodipendenza (leggi Ser.T.) sono da distruggere, tant’è che creano il nuovo Dipartimento nazionale antidroga; sulle altre comunità che accolgono il 90 per cento di tossicodipendenti silenzio ostile. La sostanza: quando le attuali forze di governo erano all’opposizione si distinguevano per "rigore" e "inflessibilità": pene sicure, bando a forme di connivenza; tolleranza zero; il tutto spiegato per ragioni di salute e di sicurezza. Ora, al governo, dicono rivediamo il carcere; l’esperienza svizzera sull’eroina controllata è interessante. Il progetto di recupero auspica la strada americana delle colonie penali a gestione mista, domani probabilmente privata. In realtà dietro ai grandi spot mediatici si nota una sponsorizzazione di alcune comunità, vicine ideologicamente, in difficoltà economiche e di "utenti". Sulla nota enfatica della "Colonia agricola" di Castelfranco Emiliano c’è da dire che il finanziamento era stato approvato dal vecchio governo, per un miliardo e mezzo in tre anni, in un carcere "a custodia attenuata". La novità è che il ministro Castelli ha ignorato tutti i servizi del territorio, privilegiando San Patrignano che dovrà inserirsi all’interno di un carcere. Al di là della raccolta fondi, pure comprensibile e anche solidale, attendiamo con pazienza quale sarà il "nuovo progetto" sulla droga in Italia, proposto dal governo, anche per capire che cosa significa il nuovo Dipartimento sulla droga; che fine faranno i servizi pubblici che hanno in carico 160 mila tossicodipendenti, quale funzione per le comunità di recupero, quale politica di prevenzione e di lotta al traffico. Non è serio lo stile improvvisato e in ordine sparso (sulla droga hanno parlato, a ruota libera negli ultimi due mesi, almeno sette ministri) di affrontare un problema drammatico, quale quello della droga. Da non sottovalutare l’oblio nel quale questo fenomeno in Italia è caduto, con vittime, sofferenze familiari e morti. Scegliere la strada della sponsorizzazione non è invidia, come si è detto, ma mancanza di rispetto per quanti vivono il dramma della dipendenza; significa non svolgere la funzione di servizio che, nella libertà delle scelte dell’esecutivo, le istituzioni debbono offrire per i fenomeni nel loro complesso. Ci spiace che componenti governative che si dichiarano sociali non abbiano nemmeno accennato a quali linee per i problemi della marginalità, primo fra tutti della droga, ma non solo. Un silenzio doloroso e presto colpevole.
*Presidente C.N.C.A. (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza)
Castelfranco si divide. No ai tossici. Sì, togliamoli dal carcere Casa di Lavoro: la struttura passa a San Patrignano
Gazzetta di Modena, 30.12.2001
Il capogruppo dei DS, Giorgio Fruggeri, conferma invece quanto affermato da Graziosi: "E’ vero, abbiamo appreso la notizia dai giornali. Credo che questa sia una questione sulla quale è necessario discutere, perché può avere effetti importanti sul nostro territorio. Sarebbe inoltre opportuno parlarne con le istituzioni locali, coinvolgendo anche chi ha esperienza in questo settore". Anche Giampaolo Zerri dei Popolari si è lamentato per la scarsa informazione: "Tanti nostri concittadini sembrano saperne molto di più di noi, che siamo chiamati ad amministrare. Sono contrariato e preoccupato dal fatto che il governo nazionale ed il Ministero competente non si siano rapportati col Comune per la definizione di un progetto che, per la sua riuscita migliore, deve ben inserirsi fin dall’inizio nel nostro territorio, ed al fianco della nostra comunità". Il PDCI esprime invece forti preoccupazioni. In un comunicato congiunto, il Segretario Provinciale Monica Macchioni e l’assessore Sergio Palazzini dichiarano che "molti sono i punti oscuri di tale vicenda, che ci auguriamo non vada in porto. Perché lo Stato si deve convenzionare con una comunità in particolare? Perché il Sindaco e il Presidente della Provincia non sono stati informati?". Ma la notizia ovviamente non è rimasta all’interno del Consiglio. Al contrario, ha già provocato diverse reazioni tra gli abitanti di Castelfranco, che dovranno presto convivere con una nuova realtà. Le opinioni sono naturalmente contrastanti. Alla contrarietà di chi guarda con sospetto questo progetto, sostenendo che "i detenuti tossicodipendenti devono restare in galera, poiché possono costituire un pericolo per la collettività", si oppongono opinioni favorevoli. "Ritengo positivo che la struttura venga utilizzata non solo per la detenzione, ma anche per il recupero dei detenuti tossici", afferma una cittadina. "Già da tempo c’erano detenuti tossici - ricorda un cittadino - ma con questa nuova struttura, non saranno più a contatto con altri detenuti che potrebbero deviarli. Se si lavora bene, si può creare una struttura molto utile".
Opposizione interessata al piano Muccioli
Corriere della Sera, 2.01.2002
Il vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini ha annunciato l’istituzione di un dipartimento per le politiche contro la droga a palazzo Chigi. Mentre il governo sta lavorando, insieme alla comunità di San Patrignano, che nell’esecutivo conta diversi sostenitori, prima fra tutti il ministro dell’Istruzione Letizia Moratti, a un progetto di strutture "intermedie" fra prigione e comunità gestite dallo stato per il recupero dei detenuti tossicodipendenti. La proposta, elaborata da Andrea Muccioli , patron di San Patrignano, insieme all’amministrazione penitenziaria, raccoglie i consensi di Forza Italia, Lega e CCD - CDU. AN non nasconde le sue perplessità e rilancia il vecchio progetto della "dose media giornaliera" per i tossicodipendenti. Ma l’idea riscuote qualche interesse anche nel centrosinistra, che in passato aveva puntato sulle pene alternative.
Don
Benzi: nelle comunità tutti i tossicodipendenti
La Gazzetta di Modena, 4.01.2002
Droga, la legalizzazione unica soluzione possibile
La Gazzetta di Modena, 7.01.2002
"Legalizzare ed istituzionalizzare la distribuzione delle droghe, dalle più leggere alle più pesanti e vincolare tale distribuzione a progetti individuali e di gruppo per il recupero". Armando Garavaldi, consigliere comunale della lista Fare Politica, non molla e ripropone le ragioni che lo avevano indotto nel settembre scorso a presentare una mozione in consiglio che fu poi respinta. Oggi ne è più convinto che mai, soprattutto dopo l’annuncio che a Castelfranco sorgerà il primo centro "di Stato" per il recupero dei tossicodipendenti in carcere. "Non sto ponendo un problema morale - afferma Garavaldi - ma dal momento che la grande maggioranza dei cittadini ritiene che la tossicodipendenza debba essere combattuta, io mi chiedo come fare. L’attuale normativa ha fallito. Con la legalizzazione si fa sì che la società si faccia carico della distribuzione delle droghe, ma anche dell’impostazione di progetti di recupero e attività di prevenzione. In questo modo i tossicodipendenti non saranno più costretti a vivere nell’illegalità e nell’emarginazione, senza contare che verrebbe tolta alla delinquenza una grossa fetta dei guadagni legati allo spaccio. Purtroppo la società rischia di accettare il problema, e questo non è tollerabile". Ma Garavaldi, già nel consiglio del settembre scorso, aveva ricevuto molte critiche. Primo fra tutti il Popolare Gianpaolo Zerri. "Garavaldi afferma che i modi e i mezzi fino ad ora usati si sono rivelati controproducenti o quantomeno inefficaci - aveva detto Zerri - questa affermazione dimostra ingratitudine verso lo sforzo quotidiano delle forze dell’ordine, delle associazioni di volontariato, dei centri di recupero. Non esistono soluzioni facili e per essere efficaci bisogna continuare sulla strada del dialogo con esperti del settore e col volontariato". D’accordo con Garavaldi è Francesco Esposito di RC: "La normativa attuale ha fallito tutti gli obiettivi ed ha acuito ancora di più i problemi. La legalizzazione porterebbe un risparmio di risorse che potrebbero essere investite in settori più utili per la società. Inoltre, verrebbero a mancare notevoli capitali alla malavita organizzata". "La discussione è comunque un momento di crescita, anche del consiglio - dichiara Luca Sabattini dei DS - E’ importante parlare di questo problema, che apparentemente non ci tocca, ma che in realtà è intorno a noi". Dello stesso avviso l’assessore ai servizi sociali, Franco Maestri: "Abbiamo il dovere di parlare di droga, anche per creare conoscenza attorno al problema". A questo proposito, Fausta Valdiserra del Polo, già qualche tempo fa, aveva suggerito l’organizzazione di dibattiti e incontri aperti a tutta la popolazione per "sensibilizzare i cittadini e coinvolgere anche loro nel confronto delle idee su un argomento tanto delicato e controverso".
Casa di lavoro, parola alla Regione
Il Resto del Carlino, 10 gennaio 2002
Il
consigliere regionale Leonardo Masella (Prc), in un'interrogazione presentata
alla giunta, chiede se è a conoscenza e come giudica la notizia secondo la
quale il ministro per i rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi,
intenderebbe trasformare la colonia penale agricola di Castelfranco in una
struttura penitenziaria per il recupero dei tossicodipendenti. Come noto, alla fine dello scorso anno il ministro Giovanardi aveva affermato: «E' allo studio una formula intermedia fra carcere e comunità terapeutica, per i detenuti con problemi di tossicodipendenza». Fra le strutture da utilizzare Giovanardi aveva inserito pure la casa di lavoro di Castelfranco. Se il progetto andrà in porto, la comunità dovrebbe essere gestita da Andrea Muccioli, che ora dirige San Patrignano. I miliardi stanziati per ristrutturare l'edificio sono 15; due padiglioni sono già stati risistemati. Nei 23 ettari attorno al carcere sorgerebbe un'azienda agricola con stalle, serre, frutteti, alveari, dove i detenuti lavorerebbero.
Un impegno per tutti: trattarli come fossero malati di MASSIMO BARRA, Direttore della fondazione Villa Maraini
Il Messaggero, 5 gennaio 2002
AVERE un tossicomane in casa è sempre una tragedia che coinvolge tutta la famiglia le continue richieste di denaro, le bugie, la minacce, la violenza, la capacità di strumentalizzare tutto e tutti per raggiungere, costi quel che costi, la sostanza di cui si ha bisogno per sedare un’angoscia insopportabile. sono tutte tappe di una quotidiana via crucis che chi ha un figlio drogato ben conosce. Ciò premesso, non è lecito fare di tutta l’erba un fascio e dividere in modo manicheo torti e ragioni. Conosco drogati gentili e miti, incapaci di fare del male ad alcuno Conosco anche genitori che forse malconsigliati, si sono trasformati in aguzzini per obbligare i figli a "guarire" E troppi ancora ritengono che cacciarli di casa, denunciarli ai Carabinieri, non dargli più da mangiare, fargli "toccare il fondo" sia il modo migliore di agire, senza pensare a quanti dal fondo in cui erano stati spinti sono passati direttamente al cimitero. La violenza chiama sempre violenza, e non fa bene a nessuno E’ violenza titolare a 9 colonne sul metodo capace di sdrogare in 24 ore; è violenza chiudere i Sert i giorni di festa e la notte; è violenza far credere che ci siano scorciatoie e ricette miracolistiche valide per tutti; è violenza anche la strumentalizzazione politica che utilizza per fini di parte le sofferenze dei più vulnerabili. Curare i drogati non è di destra ne di sinistra ma un impegno in cui tutti possono e debbono dare il loro contributo, rispettando le persone dipendenti per quello che sono. ammalati che, come tutti gli ammalati, hanno bisogno di aiuto e di cure. Chi si cura è meno pericoloso per se e per gli altri di chi non si cura: per questo è interesse dello Stato conoscere tutti i drogati, andando anche a cercarli nei luoghi dove si consuma la loro quotidiana odissea. Se è giusto potenziare le comunità terapeutiche, l’esperienza dei centri a bassa soglia, delle unità di strada e delle terapie farmacologiche è indispensabile per abbassare il livello di violenza in una città come Roma Molto si è fatto in Italia ma molto resta ancora da fare: come sperimentare la terapia di eroina su quei 500 o 1.000 dei 30.000 tossicomani romani che sono incapaci di fare altro se non drogarsi e delinquere; ma anche rendere possibile ricovero coatto in ambiente idoneo per brevi periodi per quanti sono così assatanati da non essere in grado, temporaneamente, di intendere e di volere.
Lettera di Franco Corleone, ex sottosegretario alla Giustizia
Corriere della Sera, 7 gennaio 2002
Guido Vergani sul Corriere del 29 dicembre ha stigmatizzato la polemica sul progetto di affidare alla Comunità di San Patrignano la gestione dei!a struttura penitenziaria di Castelfranco Emilia poiché, a suo avviso, i detrattori non ne conoscerebbero il contenuto preciso. Per quanto mi riguarda, io conosco in tutti i risvolti la questione e per primo ho denunciato sul mensile Fuoriluogo un’operazione ambigua, portata avanti senza trasparenza, che annullava senza alcuna giustificazione un progetto sperimentale nel trattamento dei detenuti tossicodipendenti, elaborato dal precedente governo d’intesa con la Regione Emilia Romagna. A tal fine la Casa di Lavoro di Castelfranco Emilia è stata ristrutturata con una spesa di 15 miliardi per trasformarla in un carcere a custodia attenuata o meglio, a trattamento rafforzato, per detenuti tossicodipendenti ma non solo con l’obiettivo di favorire il reinserimento sociale attraverso il lavoro e uno stretto legame con la realtà del territorio. Un progetto cioè di integrazione sociale e non di separatezza, che scommetteva sulla risocializzazione e non sulla segregazione, Che cosa c’è che non va nell’ipotesi alternativa di San Patrignano? In primo luogo la mancanza di chiarezza sul carattere della struttura. Questa rimane un carcere con le sue regole, la sua direzione, il suo personale di polizia penitenziaria, i suoi educatori e con la presenza, voluta dalla legge, del Sert? Se così è, quale sarebbe la funzione degli operatori di San Patrignano? Quella di volontari o di gestori tramite convenzione dell’azienda agricola? Oppure si vuole sperimentare un carcere affidandone la gestione a un soggetto privato? E si sceglie la Comunità di Muccioli perché, come dice l’ineffabile ing. Castelli, avrebbe il know how? E’ questa confusione che alimenta la preoccupazione di un’operazione di puro potere. Tutt’altro problema è quello delle ragioni per cui tanti tossicodipendenti sono in carcere. Il motivo è semplice: i reati compiuti sono o di violazione della legge sulla droga (piccolo spaccio) o furti, scippi, rapine per procurarsi denaro per acquistare la sostanza, ma anche per semplice cessione gratuita. Qui si giunge al nodo su cui ci si è incagliati nella scorsa legislatura" occorre cambiare la legge, iniziando dall’abbassamento delle pene che sono tra le più alte d’Europa e che in molti casi impediscono di accedere alle pene alternative, presso i Sert o presso le comunità terapeutiche. Si dice: i tossicodipendenti non devono stare in carcere. D’accordo. Ma oggi non vanno in carcere perché tossicodipendenti, visto che il consumo personale è depenalizzato, ma per altri reati. Il rischio di proposte equivoche quali quelle della Comunità - carcere è di rinchiudere le persone in quanto tossicodipendenti (e non in quanto autori di reato), esattamente come ieri avveniva per i matti in manicomio.
Franco Corleone, ex sottosegretario alla Giustizia
C'è già un progetto con il Sert che verrebbe annullato. San Patrignano a Castelfranco.
La Gazzetta di Modena, 11 gennaio 2002
Il
protocollo è l'esito del lavoro congiunto dell'Amministrazione penitenziaria e
della Regione Emilia Romagna, che hanno coinvolto nella progettazione gli Enti
locali e le Ausl. Inoltre sono state già definite anche le modalità, che individuano nelle Asl, in particolare nei Sert, le funzioni di cura e riabilitazione dei tossicodipendenti detenuti come viene ribadito esplicitamente nel Testo Unico 309/90, all'articolo 96. Gli amministratori di Regione e Comuni - conclude la nota - rilevano come in ogni caso risulti grave inosservanza istituzionale da parte dei ministro della Giustizia, Roberto Castelli, divulgare attraverso pubbliche esternazioni ipotesi di progetti non discussi né concordati con gli Enti locali interessati, per giunta in presenza di consolidati accordi di diverso tenore.
Castelfranco. Consorzio di solidarietà Sul futuro progetto della Casa di Lavoro un litigio desolante
La Gazzetta di Modena, 15 gennaio 2002
Sul futuro della Casa di lavoro interviene oggi Massimo Giusti presidente del Consorzio di Solidarietà Sociale di Modena: "Sono molto preoccupato per come è affrontato in questi giorni il delicato tema della gestione della Casa di lavoro di Castelfranco Emilia. Desolante vedere ministri, parlamentari, presidenti di Regione e Provincia, sindaci che, dopo aver litigato per anni su cosa fare con i tossicodipendenti in carcere, ora litigano su come gestire un intervento innovativo tenendo gli occhi rivolti al passato. Vorrei ricordare che a Modena esiste da anni un Consorzio che raggruppa la quasi totalità della cooperazione sociale di inserimento lavorativo presente nella nostra provincia. Dopo un lungo cammino il Consorzio di solidarietà sociale ha aderito alle due maggiori centrali cooperative (Confcooperative e Legacoop) e ha tra i soci anche cooperative aderenti ad altre centrali minori. Sul tema lavoro e tossicodipendenze le istituzioni di tutti i livelli (Unione europea, Stato, Regione, Provincia, Comuni, Sert) e il mondo imprenditoriale privato da anni trovano a Modena nel Consorzio un interlocutore affidabile e intraprendente. Ci piacerebbe che qualcuno ci chiedesse cosa si potrebbe realizzare a Castelfranco Emilia, così come siamo curiosi di vedere, se possibile, quale progetto hanno presentato le cooperative sociali legate a San Patrignano. Non per criticarle a priori, ma per confrontarci sul merito. Per fare ciò - conclude Giusti - penso sia imprescindibile un rapporto con il territorio e la realtà locale. Allora perché non fare un bando, aperto a tutti i soggetti del privato sociale?".
Casa lavoro: meglio un bando
Il Resto del Carlino, 15 gennaio 2002
Per la gestione della casa - lavoro per il recupero dei tossicodipendenti in carcere anche il Consorzio della solidarietà sociale di Modena avanza la propria candidatura. «Ci piacerebbe che qualcuno ci chiedesse cosa si potrebbe realizzare a Castelfranco — fa notare Massimo Giusti, presidente del consorzio che raggruppa molte cooperative sociali della provincia —, così come siamo curiosi di vedere, se possibile, quale progetto hanno presentato le cooperative sociali legate a San Patrignano». Giusti si chiede perché, per la gestione di questa casa sperimentale, non si ricorra «a un bando di concorso aperto a tutti i soggetti del privato sociale, che valuti l'offerta economicamente più vantaggiosa, ma tengo conto anche del progetto, del legame con il territorio, delle esperienze acquisite in questo settore e delle idee concrete da realizzare». Intanto, prosegue il botta e risposta fra Legacoop e il ministro Giovanardi. «Alla cultura del sospetto politico e dell'ostilità preconcetta — fa sapere Legacoop — risponderemo solo con la cultura del dialogo, dei risultati e del rispetto delle regole».
I
radicali: "Casa di lavoro Una struttura in degrado"
La Gazzetta di Modena, 22 marzo 2002
"Si chiama Casa di lavoro - prosegue - ma il lavoro non c’è, ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte ad un tipo di detenzione con una forma di degrado in più, in un luogo abbandonato da Dio e dagli uomini". "Non sono contrario all’ipotesi di una convenzione con Muccioli - dice ancora - gli edifici e l’annessa azienda agricola si prestano ad un’operazione del genere, ma la gestione di detenuti fatta da privati pone questioni serie, non ultima la scelta dei gestori. Gli Usa li scelgono tramite gare, non capisco perché con tanta rapidità ci si è rivolti a Muccioli e non ad altri".
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