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Introduzione
Questo studio si propone di affrontare il tema della detenzione domiciliare speciale: "speciale" perché si rivolge a una speciale categoria di persone in una condizione che necessita di una disciplina singolare: ci riferiamo alle detenute madri in carcere che hanno figli piccoli e che, prima delle innovazioni legislative che sono intervenute da poco, erano costrette o a tenerli con sé e a crescerli in un istituto penitenziario (solo fino ai tre anni del figlio, però) oppure ad affidarli alla propria famiglia (se esistente) o ad un istituto, privandosi della possibilità di svolgere il ruolo di madre. Il dramma delle madri e dei figli che si sono trovati in questa situazione, ha suscitato l’attenzione di chi vive nell’ambiente carcerario (direttori di istituti penitenziari, operatori, volontari), delle associazioni che si occupano di problematiche sociali, di alcune forze politiche e infine del nostro legislatore che, prima con le leggi 663/1986 e 165/1998 e poi con la legge 40/2001, è intervenuto a modificare la normativa esistente. Quest’ultima legge, detta Legge Finocchiaro (dal nome del Ministro che la presentò in Parlamento nel 1997), ha portato significative modifiche, introducendo soprattutto due nuove misure alternative, la detenzione domiciliare speciale e l’assistenza all’esterno dei figli minori, con il chiaro obiettivo di facilitare la relazione madre detenuta-figlio (ma anche padre detenuto-figlio), che ha sempre incontrato molte difficoltà, creando danni irreparabili per il genitore e per il figlio, soggetto estraneo alle "colpe" del proprio genitore ma totalmente coinvolto dalla situazione che ne deriva. Oggi, quindi, in presenza di particolari condizioni che vedremo in seguito, la madre detenuta può scontare la propria pena (o residuo di pena) a casa coi propri figli e svolgere in modo "naturale" il ruolo di madre, ruolo che fino a poco tempo fa era, per le madri in carcere, quasi totalmente negato, o perché crescevano i figli in un ambiente che non è adatto a un bambino, quale è il carcere, o perché costrette ad affidarli ad altri. Se diamo uno sguardo alle norme in tema di provvedimenti restrittivi della libertà che si riferiscono alla condizione della detenuta madre o della donna incinta, troviamo nel Codice Penale gli articoli 146 e 147, che prevedono, per questi soggetti, il rinvio (obbligatorio e facoltativo) dell’esecuzione: anche questi due articoli sono stati modificati dalla legge 40/2001. Anche il nostro Codice di Procedura Penale prevede delle norme in relazione a provvedimenti restrittivi della libertà nei confronti di donne incinte o di madri con figli piccoli. È prevista fra le misure cautelari, come "estrema ratio", la custodia in carcere, da applicarsi soltanto quando le esigenze cautelari, esistenti in concreto, non possono essere soddisfatte con nessuna delle altre misure. L’art. 275 c.p.p., comma 3, recita infatti: "La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata". Il legislatore ha però previsto l’eventualità che, anche qualora la custodia in carcere sia l’unico rimedio utilizzabile, essa non possa essere disposta, nei confronti di particolari soggetti; dispone infatti l’art. 275, comma 4, c.p.p.: "Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole…". Il legislatore, pertanto, si dimostra restio all’applicazione della custodia in carcere per esigenze cautelari nei confronti di donna incinta o madre di figli piccoli, poiché la tutela del rapporto madre-figlio ha il sopravvento e necessita di un’attenzione e, quindi, di una disciplina, particolare. La disciplina della custodia cautelare in carcere non è stata oggetto delle recenti modifiche portate dalla Legge Finocchiaro e quindi, purtroppo, ci sono ancora bambini che vivono in carcere, i figli delle madri in attesa di giudizio. La nuova legge, infatti, è rivolta e viene applicata solo nei confronti di donne condannate e non di donne in attesa di giudizio, che purtroppo continuano ad essere numerose come numerosi sono i figli che vivono con loro in carcere.
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