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Detenute – madri senza via d’uscita
Avvenire, 2 dicembre 2001
"Secondo me non cambierà nulla, o quasi", aveva pronosticato la direttrice del carcere della Giudecca, intervistata dalle detenute per "Ristretti Orizzonti", il periodico realizzato all’interno del carcere Due Palazzi di Padova. Parlava della nuova legge per le madri dietro le sbarre, quella che prevede la possibilità di scontare la pena a casa, o di uscire tutti i giorni per accudire i figli fino a dieci anni. E aveva visto giusto. Perché, a quasi nove mesi dal varo, per le recluse - mamme è cambiato ben poco. A fine 2000 erano una sessantina e altrettanti i bambini. Ma quasi nessuna finora ha potuto usufruire dei benefici, confermano le responsabili degli istituti di Venezia e Roma: "È ancora lettera morta", ammette Gabriella Straffi. "Io invece mi aspettavo di più", riconosce Lucia Zainaghi addirittura costretta, cosa che non era mai accaduta in passato, a ricorrere allo sfollamento del nido, dove c’erano trenta bambini quando ne poteva ospitare solo dodici. E così, mamme e figli piccoli di troppo, sono stati trasferiti in altri istituti. Un’operazione rispetto alla quale la nuova legge non ha potuto nulla. Innanzitutto perché riguarda solo le donne che stanno scontando una condanna definitiva e quindi appena la metà sul totale delle recluse. Poi c’è il problema della casa: sia le straniere che le nomadi, che rappresentano la maggioranza delle detenute - madri, difficilmente hanno un posto dove andare. Se inoltre si guarda alla pericolosità, gli spazi di manovra dei giudici di sorveglianza si restringono ancora di più: sono molte infatti le donne che hanno commesso più volte lo stesso reato, mentre altre sono state condannate per traffico di stupefacenti e quindi sono considerate o poco affidabili o pericolose. E allora non resta che tenersi i figli accanto, utilizzando uno dei 13 nidi disponibili e ricordando che, anche se piccoli, ammonisce Svetlana, "i bambini sanno più di quello che vorremmo".
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