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Pentito
suicida in cella. Maurizio Blancato
Gazzetta del Sud, 31 ottobre 2002
Le indagini dei carabinieri avevano sgominato la cosca e con l’operazione "Vurpitta" era finito in galera anche Maurizio Blancato, di Giarre. Unitamente a Orazio Cateno, Maurizio Blancato era riuscito a sottrarsi a quell’operazione antimafia scatta il 15 maggio 2000, ma due settimane dopo entrambi si sono costituiti ai carabinieri di Giarre che gli contestavano il provvedimento di cattura per associazione mafiosa, estorsioni e traffico di stupefacenti. Quell’inchiesta sul clan Cintorino (da anni in contrasto con il clan dei "Carrapipani"), operante a Calatabiano, aveva permesso agli investigatori di arrestare pure il sindaco, Giuseppe Intelisano, per concorso esterno all’associazione mafiosa, e il consigliere provinciale di Catania, Alfio Lizzio, per voto di scambio. Proprio qualche giorno prima, il primo cittadino aveva polemizzato con l’Arma per uno scarso impegno in paese. Maurizio Blancato dal mese di aprile scorso, aveva deciso di saltare il fosso. Aveva chiesto di parlare con il sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia, Francesco Puleio, che ha coordinato le indagini contro la mafia della zona di Calatabiano, e ha così cominciato la sua collaborazione. Era stato più volte preso a verbale, ma ancora la sua collaborazione non era considerata del tutto convinta. Forse il giovane ancora doveva raccontare altro, forse doveva alzare il tiro per narrare le conoscenze che aveva in seno al sodalizio criminale dove era considerato "picciotto" di rilevo. Ma da qualche mese Maurizio Blancato era caduto in depressione. Era rimasto in un carcere del Piemonte, mentre ai suoi parenti era stata data la protezione affidata ai carabinieri. Ha avuto un crollo psicologico e non parlava più con nessuno. Si sentiva abbandonato ed era in crisi poiché era ancora ristretto in carcere, pare lo stesso dove qualche anno addietro si è suicidato – sempre impiccandosi– un altro collaboratore di giustizia catanese. E così ieri Maurizio Blancato ha deciso di porre fine alla sua giovane esistenza. E quando lo hanno chiamato per presenziare in un processo, il suo nome è stato depennato. In gergo si dice "per morte del reo". Aveva 26 anni e ha vissuto inseguendo ricchezza e potere. Aveva due possibilità, come tutti i "picciotti": essere ammazzato dalla mafia o restare in carcere. Si è ucciso e no ha conosciuto la vita. A 26 anni soltanto. |