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Suicidi in cella, record tra i giovani

 

Corriere della Sera, 27 marzo 2004


Hanno meno di 24 anni e condanne brevi: crollano soprattutto
i reclusi che potrebbero avere una speranza

 

La percentuale dei suicidi nelle nostre carceri è 17 volte superiore a quella che si registra nella società italiana. Questo dato, che riguarda il 2003, è uno dei più inquietanti nella ricerca che Luigi Manconi, Andrea Boraschi ed Elina Lo Voi hanno realizzato per l’associazione A buon diritto . Luigi Manconi, docente di sociologia, ex parlamentare verde, ha ricevuto dal Comune di Roma l’incarico di svolgere una funzione inedita, quella del "difensore civico per i carcerati". La sua ricerca, estesa su tutto il territorio italiano, mostra che la tragedia dei suicidi nel carcere si è sviluppata con andamento costante dall’inizio degli anni 90. Nel 2003 ci sono stati 65 suicidi, su una popolazione carceraria di poco superiore ai 56 mila detenuti. In quello stesso anno il tasso dei suicidi, calcolato su 10.000 detenuti, era 11,2. Nel 2002 era 10,1. Nel 2001 era 12,7, 11,4 nel 2000. Nel 1993 c’era stata una punta del 12. I dati della ricerca forniscono indicazioni su cause e responsabilità.

"Nelle carceri sovraffollate - denuncia Manconi - ci si uccide molto di più di quanto si faccia dove la presenza dei detenuti non eccede la capienza prevista". E infatti nel 2002, così come nel 2003, il 93% dei casi di suicidio si verifica in carceri sovraffollate. Più precisamente, nel 2002 il tasso di suicidio nelle carceri sovraffollate risulta di 4,6 punti percentuali più alto di quello rilevato negli istituti di pena non affollati. Un dato impressionante se si tiene conto che i tre quarti delle strutture penitenziarie italiane si trovano in condizione di sovraffollamento.
Altro dato che colpisce: "Nelle carceri italiane - spiega Manconi - sembra esistere un rapporto inversamente proporzionale tra la speranza di libertà e la propensione al suicidio. Si uccidono molto di più quelli che, per età e posizione giuridica, potrebbero sperare in una reclusione breve e in un ritorno alla società".
Esaminando i dati, scopriamo in effetti che tra i detenuti in attesa di giudizio si registra un tasso di suicidio quasi doppio rispetto a quanti sono reclusi con una condanna definitiva. Tra i primi (circa il 19% della popolazione penitenziaria) si è registrato nel 2002 il 38,2% dei casi di suicidio. Percentuale che scende al 31% nel 2003. "Il detenuto che sa di dover scontare una lunga pena - osserva Manconi - ha elaborato il suo destino e la sua tecnica di adattamento. Quelli in attesa di giudizio sono i più esposti a depressioni e crisi".
In carcere ci si uccide nel primo e nel primissimo periodo di permanenza. Nel 2002 il 61% dei casi di suicidio riguarda reclusi da meno di un anno. Percentuale che nel 2003 sale al 61,9%. Nello stesso anno il 51,6% dei suicidi si verifica nei primi sei mesi di reclusione e, dato ancora più allarmante, il 17,2% nella prima settimana di reclusione.
Al contrario di quanto accade fuori dalle sbarre, in carcere a uccidersi sono soprattutto i giovani: nella fascia tra i 18 e i 24 anni i suicidi sono quasi 50 volte più numerosi che tra la popolazione non reclusa.
"Il dramma - spiega Manconi - è nella necessità di apprendere rapidamente, appena entrati, le strategie di sopravvivenza. Non ci sono solo l’impatto claustrofobico e la perdita della libertà, c’è anche lo scontro traumatico con un universo sconosciuto, linguaggi, codici di comportamento, gerarchie. Proprio per offrire tutela e assistenza, in ogni carcere dovrebbe esistere un "presidio nuovi giunti", che però nella maggior parte dei casi non c’è o non svolge la sua funzione".
In Sardegna, dall’inizio del 2002 alla fine del 2003 si sono verificati 17 suicidi in carcere. Stesso record negativo si registra in Lombardia. "Il problema in Sardegna è l’abbandono in cui versano le strutture carcerarie - spiega Manconi -, mentre in Lombardia è il sovraffollamento. La situazione nell’isola è drammatica. Mancano gli agenti, gli straordinari non vengono pagati. Anche in Sardegna però esistono prigioni modello, come quelle di Alghero".
Che cosa le rende diversi? "Spesso le qualità umane e professionali del direttore, che però non bastano. Il numero degli agenti di polizia penitenziaria è decisivo. Se è insufficiente, vengono sacrificate tutte le attività ricreative e di recupero. Il carcere - avverte Manconi - è un sistema delicatissimo, costantemente affacciato sull’abisso. Al primo squilibrio, scattano i processi autodistruttivi".
La ricerca fa anche il conto dei suicidi che potevano essere evitati, quelli in cui il carcerato aveva già tentato di togliersi la vita, soffriva notoriamente di depressione e disturbi mentali o era stato in precedenza dichiarato incompatibile col sistema carcerario, come il detenuto paraplegico che ieri si è impiccato a Opera. Secondo la ricerca, nel 2003 i suicidi "annunciati" sono stati il 17,4% del totale. Nel 2002 il 37,2%.

 

 

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