|
Non solo Previti: il giro di vite autoritario della Cirielli - Vitali
Fuoriluogo, 28 gennaio 2005
Finalmente il centrosinistra pare essersi accorto che la legge Cirielli-Vitali, approvata dalla Camera (279 voti a favore, 245 contro) il 16 dicembre, non è semplicemente o soprattutto "salva-Previti". Secondo Guido Calvi, capogruppo Ds in Commissione Giustizia, si tratta di "una proposta di legge schizofrenica che nasce da una cultura repressiva e autoritaria improntata a una visione tipica della destra. È un provvedimento che salva i potenti e infligge pene sempre più severe ai più deboli. Per un reato grave come l’usura la prescrizione del reato passa da quindici a otto anni, mentre per una contravvenzione aumenta da tre a quattro anni". Se si denuncia la visione autoritaria sottesa a tale legge, ne dovrebbe conseguire una posizione del centrosinistra esemplificativa di una opposta cultura, giuridica e sociale. Ma non si direbbe, a guardare le precedenti dichiarazioni, di tutt’altro tenore, venute anche da parte dei vertici Ds, segretario e responsabile Giustizia in testa, che paventavano invece un effetto amnistia. Ancora più esplicito Dario Franceschini, nelle sue dichiarazioni di voto. Ricordando che la prescrizione con la nuova legge passerà da quindici a otto anni per il furto e l’usura, da quindici a otto anni per la corruzione, da ventidue a vent’anni per l’associazione a delinquere armata, l’autorevole esponente della Margherita chiedeva ai suoi colleghi in procinto di votare: "Quanti delinquenti usciranno dal carcere? Dove finisce la certezza della pena? E, soprattutto, valeva la pena fare tutto questo per uno di voi?". Il giorno del voto finale alla Camera, l’effetto prevalente denunciato dal centrosinistra sembrava essere quello del "rendere più facile la vita ai delinquenti" (Fassino dixit), che non la salvezza di Previti. Mentre Moretti (Nanni) fuori Montecitorio arringava i suoi i girotondini, dentro l’Aula molti parlamentari di opposizione "avevano la voce roca a furia di denunciare i rischi di un’amnistia permanente voluta pur di salvare la "stella polare" di Forza Italia". Dopo il voto, gli stessi commentavano: "La legge non è uguale per tutti", seguendo la linea dettata dall’ex procuratore D’Ambrosio su "l’Unità". Perché invece prima e sempre lo era stata! L’eguaglianza dunque va fatta al ribasso, verso il peggio. Tutti uguali, purché tutti dannati. Il discorso di inaugurazione dell’Anno giudiziario ha rinvigorito questa lettura. Il procuratore generale Favara, ricordando che al 30 giugno 2004 risultavano pendenti ben 8.942.932 processi di cui 5.580.000 penali, ha rimarcato la lunghezza dei processi e le prescrizioni troppo brevi. Insomma: se la macchina giudiziaria funziona male, se la produttività dei magistrati è scarsa, bisogna estendere le scadenze dei termini e la carcerazione preventiva. Come se non fossimo, da sempre e ripetutamente, proprio per ciò censurati dalla Corte europea. Sulle 521 sentenze emesse da Strasburgo nel 2003, 103 hanno condannato l’Italia, soprattutto a causa dell’eccessiva durata dei processi e dell’esecuzione forzosa degli sfratti. Un record negativo nei 46 Paesi del Consiglio d’Europa. Ammesso e pure concesso che l’intento principe di molti nella maggioranza di governo sia quello di tutelare Previti o chiunque altro, purché ricco e potente, l’effetto reale e diffuso sarà però quello di affondare decine di migliaia di persone, povere e prive di qualsiasi potere, anche sulla propria vita. La verità è che la legge Cirielli-Vitali, ove sciaguratamente fosse confermata, aumenterà il numero dei detenuti e diminuirà le possibilità di accesso alle misure alternative. I sensibili aumenti di pena previsti per l’associazione di tipo mafioso, di cui all’art. 416 bis del codice penale (la semplice partecipazione all’associazione armata sarà punita sino a 15 anni, prima erano 10; la promozione o direzione prevederà una condanna sino a 24 anni, in luogo dei 15 precedenti), determineranno inevitabilmente un generalizzato trascinamento verso l’alto dell’entità delle condanne. Ciò che non produrrà l’aumento delle pene, lo farà l’innalzamento delle soglie per accedere alle misure alternative e ai permessi, che diventerà un vero e proprio sbarramento nei confronti dei recidivi ai sensi dell’art. 99 del codice penale. Giova ricordare che la gran parte dei detenuti rientra in questa categoria, stanti, in particolare, l’attuale legislazione sulle droghe e sull’immigrazione e la pressoché totale mancanza di opportunità e di sostegno al reinserimento socio-lavorativo (do you remember il piccolo piano Marshall per le carceri?). Ma soprattutto, seguendo le osservazioni del coordinatore di Antigone Patrizio Gonnella su "il manifesto" e di Giovanni Russo Spena su "Liberazione", il vero effetto di questa legge sarà quello di uccidere la Gozzini. Vale a dire che essa finirà di devastare l’impianto, la logica, la cultura e gli effetti risocializzanti della legge di riforma penitenziaria del 1975 e 1986, già seriamente incrinati dal decreto Scotti-Martelli del 1992 e dalla discrezionalità ultrarestrittiva di molti tribunali di sorveglianza. Un rischio, o meglio una certezza, sottolineata raramente nei commenti politici. Tra i pochi, Giuliano Pisapia e Katia Bellillo, che hanno rimarcato la contraddizione delle nuove norme con l’articolo 27 della Costituzione. Del resto, il ministro Castelli, magari incompetente ma esplicito, non ha avuto remore nel rivendicare gli effetti previsti e voluti di tale legge: aumentare la popolazione detenuta, introducendo un nuovo – e devastante – tassello nel percorso emulativo della zero tolerance statunitense e del paradigma securitario. Quello che prevede che, dopo tre reati, sei fuori definitivamente. I nuovi detenuti che questa legge produrrà sono stimati in ventimila. Il che finirà per sconquassare il sistema, già al tracollo. E per consegnare ulteriori e crescenti risorse al business dell’edilizia penitenziaria, distogliendole, al solito, da sanità, formazione, reinserimento. Ora la palla passa al Senato. E sarebbe bello se la cultura della sinistra fosse questa volta, per una volta, più attenta e pronta a salvare i sommersi che non a sommergere i salvati.
|