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"Morire di carcere": dossier giugno 2009 Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose
Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di giugno registra 11 nuovi casi: 6 suicidi, 3 decessi per malattia e 2 per cause da accertare.
Suicidio: 9 giugno 2008, Opg di Aversa (Ce)
Vincenzo Nappo, 43 anni, affetto da un male incurabile, si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa (Caserta). Il cadavere è stato scoperto dal personale medico, che hanno allertato le guardie e la direzione. Un paziente dell’ospedale psichiatrico è stato trovato morto nella sua cella, l’intervento dei sanitari locali si è rivelato inutile. Vincenzo Nappo, originario di Pompei, aveva già in passato tentato di suicidarsi. Sembra che il poveretto fosse affetto da un male incurabile, e per questo motivo dava anche segni di squilibrio. Questa mattina il 43enne aveva deciso di restare nel suo letto, dichiarando che non si sentiva bene. Ha aspettato che fosse solo per portare a termine quello che aveva in mente. Ha afferrato il lenzuolo, ha legato una estremità ad una parte della cella ed un’altra l’ha stretta al collo, così si è lasciato andare penzoloni. La morte per il poveretto è sopraggiunta in breve tempo, dopo un immenso dolore. Sono stati i sanitari a trovarlo, privo di vita. L’uomo è stato liberato dal cappio ed adagiato sul letto, ma era ormai troppo tardi. I medici del reparto che lo hanno visitato non hanno potuto fare nulla per il poveretto. Cosa lo abbia spinto a commettere l’insano gesto, resta un mistero. Tutta la vicenda sembra essere un mistero, all’interno dell’Opg non si sbilanciano su cosa sia potuto succedere all’interno della cella. Quindi per fare maggiore chiarezza sulla sua morte, la salma è stata trasferita all’ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta, dove, su disposizione del sostituto procuratore della Repubblica dott. Alessandro D’Alessio, è stata trasferita nel reparto di medicina legale per una visita autoptica. Si possono solo supporre le motivazioni del suicidio, pare che l’uomo stava per essere liberato, perché aveva scontato la pena e perché era affetto da una brutta malattia. Un male incurabile che lo stava portando via poco alla volta. È possibile che sia stata questa la causa della decisione di farla finita con la sofferenza. Non è la prima volta che un paziente dell’ospedale psichiatrico si toglie la vita, le condizioni del carcere, l’abbandono, le difficoltà a socializzare con altri detenuti. Tutte cause che possono scatenare nella psiche degli uomini rinchiusi, una forte emotività e Vincenzo in più, era malato. Tra qualche tempo sarebbe uscito, sarebbe stato libero. Ma non è stato così. (www.ecodicaserta.it, 10 giugno 2009)
Malattia: 9 giugno 2009, carcere di Secondigliano (Na)
Due morti in una sola giornata nelle carceri della Campania. Ne da notizia l’Osservatorio sulle condizioni di detenzione dell’Associazione Antigone Campania. "Nella giornata di ieri, registriamo due decessi - ha dichiarato Dario Stefano Dell’Aquila - che evidenziano il momento di crisi che vive il sistema penitenziario. Nel carcere di Secondigliano è deceduto, per cause naturali, un uomo di 79 anni. Mentre nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa un internato si è ucciso. "Si tratta di decessi - ha aggiunto il portavoce di Antigone Campania - che evidenziano la difficoltà del sistema penitenziario nel suo complesso e del difficile rapporto tra tutela del diritto alla salute e detenzione. La storia dell’internato ad Aversa ha poi dell’incredibile. Gravemente malato è stato ricoverato in una struttura sanitaria esterna, poi è rientrato in Opg per essere nuovamente ricoverato, ormai in fin di vita, solo poche ore prima della morte. Dal 2006 si trovava in regime di proroga delle misure di sicurezza". "Siamo preoccupati, conclude Dell’Aquila, perché temiamo che con l’avanzare dell’estate, il crescente sovraffollamento e le difficoltà del passaggio della sanità penitenziaria al sistema sanitario nazionale, si registrino ulteriori difficoltà per la popolazione detenuta e, di riflesso, per gli operatori penitenziari". (Ristretti Orizzonti, 10 giugno 2009)
Suicidio: 10 giugno 2009, carcere di Crotone
Antonio Chiaranza, 32 anni, si è tolto la vita impiccandosi nella cella della Casa Circondariale di Crotone nella quale era detenuto da qualche giorno dopo l’assassinio della moglie Raffaella Giuseppina Gentile, insegnante di 37 anni, nella loro abitazione di Pallagorio. L’uomo, che già il mattino successivo aveva confessato il delitto e per questo era stato sottoposto a fermo, era rinchiuso da solo in una delle celle del "transito", il settore nel quale i detenuti al loro arrivo in carcere rimangono per qualche tempo in attesa di essere trasferiti. Chiaranza, sempre sorvegliato a vista dagli agenti di polizia penitenziaria, questa notte ha approfittato del momento in cui le guardie controllavano gli altri reclusi, e si è impiccato con le lenzuola della sua branda. L’uomo, evidentemente, non ha retto al rimorso per quanto aveva fatto una settimana prima, quando aveva ucciso la moglie con dodici coltellate, una delle quali alla gola, mentre i due figlioletti, di 3 e 4 anni, dormivano nella stanza accanto. L’uomo, aveva raccontato agli inquirenti, era stato colto da un raptus sospettando un tradimento della moglie ma anche per alcune parole umilianti che la donna avrebbe proferito nei suoi confronti a causa dell’incapacità di trovarsi un lavoro. (Ansa, 11 giugno 2009)
Cause da accertare: 11 giugno 2009, carcere di Sollicciano (Fi)
Anna Nuvoloni è il nome della detenuta morta per soffocamento da cibo, ieri pomeriggio nel carcere di Sollicciano. La denuncia viene da Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti di Firenze. Era ospite dal febbraio 2008 presso il reparto "Casa di Cura e Custodia" e sarebbe uscita per fine pena tra un mese e mezzo. La donna, 40enne, si trovava in questo reparto che è destinato normalmente per le detenute dichiarate seminferme di mente, non per una misura di sicurezza, ma per una decisione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Da anni chiedo che la Casa di Cura e Custodia sia abolita e comunque trasferita dal carcere di Firenze. Recentemente ho riproposto la questione al Capo del Dap, Dott. Franco Ionta, sottolineando che delle 10 ospiti solo 2 donne sono toscane, che potrebbero quindi essere affidate in misura alternativa a strutture diverse dal carcere o affidate in cura ai servizi psichiatrici territoriali. Questo lutto conferma lo stato di difficoltà della vita in carcere per i detenuti e per chi vi lavora. Mi auguro che il suicidio avvenuto 15 giorni fa e questa morte "accidentale" spingano tutti a offrire maggiore attenzione al destino del carcere ridotto a contenitore di corpi. Comunicato di Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze. (Ristretti Orizzonti, 12 giugno 2009)
Malattia: 14 giugno 2009, carcere di Lanciano (Ch)
Charles Omofowan, di 32 anni, cittadino nigeriano, è deceduto nel carcere di Lanciano il 14 giugno 2009. Sembra sia morto per infarto. I detenuti, a seguito del suo decesso, hanno scritto una lettera di protesta al Magistrato di Sorveglianza. (Il Centro, 22 giugno 2009)
Detenuto nigeriano morto per attacco epilessia (Ansa, 23 giugno 2009)
Sarebbe morto in conseguenza di un edema polmonare acuto da soffocamento a seguito di epilessia il detenuto nigeriano Charles Omofowan, A questa conclusione è arrivato il medico legale, Ivan Melasessa, che ha effettuato l’autopsia su incarico del procuratore Moffa. Il detenuto era solo in cella quando è stato male, con irrigidimento degli arti e viso sul cuscino. Nell’esame necroscopico l’anatomopatologo ha escluso l’infarto e responsabilità di terzi. Ma nonostante questo, gli altri detenuti hanno inviato una lettera di protesta al magistrato di sorveglianza, nella quale si denunciano una serie di situazioni "stressanti" di cui l’extracomunitario sarebbe stato vittima. Se e in che misura la morte è correlabile alle condizioni di vita all’interno del carcere dovrà essere accertato dall’inchiesta avviata dalla Procura. Il fatto, tra l’altro, è stato reso noto quasi in contemporanea con la diffusione di voci sull’ampliamento del carcere e la dichiarazione dello stato di agitazione da parte del personale del carcere. La decisione è stata assunta dopo l’ennesimo fallimento del tentativo di aprire un confronto con la direzione, spiega una nota del sindacato. "Non è possibile che un agente che lavora a stretto contatto con persone private della libertà", si afferma nel documento dei sindacati della polizia penitenziaria, "debba lavorare sotto stress aggiuntivo imposto da un’amministrazione sorda a ogni sollecitazione sulle problematiche di lavoro". Tra le problematiche, "il piano ferie a rischio e l’organizzazione del lavoro, peraltro di fronte alla paventata apertura di una nuova sezione".
Cause da accertare: 16 giugno 2009, carcere di Venezia
Un altro morto nel carcere di Santa Maria Maggiore. Dopo il giovane marocchino trovato impiccato il 4 marzo scorso, questa volta è deceduto un veneziano, Rino Gerardi, 38 anni ambulante di Castello. Lo hanno trovato senza vita i due compagni con cui divideva la cella del carcere veneziano. Stava scontando una pena per traffico di sostanze stupefacenti e, stando ad una prima ricostruzione, si sarebbe ucciso inalando il gas della bomboletta che tutti i detenuti usano per farsi il caffè o la pastasciutta in cella. Il pubblico ministero Stefano Buccini ha già disposto l’autopsia, che sarà eseguita dal medico legale Silvia Tambuscio. Senza ombra di dubbio quello del giovane extracomunitario era stato un suicidio, mentre per Gerardi questa certezza non c’è. Sono molti, infatti, i detenuti che utilizzano il gas come si trattasse di una droga, respirando il propano gelido che esce dalle bombole per stordirsi, per diventare euforici. Ma naturalmente rovina le vie respiratorie e soprattutto è pericoloso se utilizzato con un sacchetto di nylon attorno alla testa in modo che non si disperda. E Gerardi, presumibilmente, è stato avvelenato dal gas che aveva inalato per stordirsi. Insomma, non voleva uccidersi, quindi potrebbe essere stato un incidente di percorso. Il medico legale Silvia Tambuscio dovrà stabilire se davvero è stato il gas ad ucciderlo, intanto il pubblico ministero Buccini, già domenica pomeriggio, ha interrogato i due compagni di cella e gli agenti della Polizia penitenziaria che sono intervenuti immediatamente dopo l’allarme dato da uno dei detenuti. E sono proprio queste prime testimonianze a far escludere, per il momento, l’ipotesi del suicidio. Non aveva manifestato questa intenzione neppure poco prima di mettersi quel sacchetto in testa e aprire la bomboletta. In tre mesi è il secondo morto in un carcere che scoppia: in questi giorni i detenuti sono 325, quando al massimo le celle potrebbero ospitarne 180, siamo quasi al doppio della capienza. Nelle celle, ormai, ci sono i letti a tre piani e c’è chi dorme col materasso gettato a terra. Inoltre, vista la carenza d’organico tra gli agenti di custodia, molte attività sono praticamente bloccate. Dunque, è doppia la pena per chi è rinchiuso a Santa Maria Maggiore: c’è la limitazione della libertà, decisa dai giudici di Tribunali e Corti, e il sovraffollamento, la promiscuità, l’assenza di diritti, imposta dalle condizioni disumane di molte carceri italiane. Per il detenuto marocchino deceduto tre mesi fa, intanto, è giunta agli sgoccioli l’inchiesta del pubblico ministero Massimo Michelozzi. Inizialmente erano due le persone indagate per concorso in omicidio colposo, il comandante della Polizia penitenziaria veneziana e l’ispettore di turno quel giorno. Adesso sono diventati cinque, ai primi due si sono aggiunti altri agenti di custodia, ma sarà necessario attendere il deposito degli atti per saperne di più. Gerardi era entrato per la prima volta in carcere sette anni fa nell’ambito di un’indagine del pubblico ministero Francesco Saverio Pavone alla quale aveva collaborato anche la Dea statunitense. Il veneziano aveva avuto un ruolo marginale, ma l’operazione aveva fatto finire in manette Besnik Mukataj, un pizzaiolo che da Jesolo gestiva addirittura un traffico di droga con gli Stati Uniti, scambiando eroina e hascisc per cocaina. Altri spacciatori erano stati bloccati a Castelfranco Veneto, a Parma, a Bologna e ad Imperia. (La Nuova Venezia, 17 giugno 2009)
Detenuto trovato morto, ritorna l’ipotesi del suicidio (La Nuova Venezia, 19 giugno 2009)
In attesa del risultati, soprattutto quelli tossicologici che dovrebbero dare la conferma che Rino Gerardi è morto in carcere a causa del gas che ha inalato dalla bomboletta, si riaffaccia l’ipotesi del suicidio a causa di una grave delusione che il detenuto avrebbe provato. Il veneziano - era in carcere per scontare una condanna per traffico di droga - era una persona tranquilla, sia la direzione e gli agenti di custodia di Santa Maria Maggiore sia gli altri detenuti lo apprezzavano anche per questo. Ma, come in altre carceri, anche in quello lagunare la situazione sta diventando esplosiva: gli "ospiti" sono ormai diventati 325, ben 145 in più della capienza che potrebbe sopportare, quindi nelle celle c’è il sovraffollamento, a questo inoltre si aggiunge la carenza del personale della Polizia penitenziaria e così anche alcun i diritti acquisiti da anni vengono messi in discussione, come quello delle ore d’aria, che la direzione avrebbe dovuto limitare. In questa situazione di grave disagio generale, la speranza delusa di poter ottenere un beneficio dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia può averlo depresso talmente da fargli ritenere l’unica via quella del suicidio. Gerardi era in cura al Sert in qualità di tossicodipendente e avendo già espiato una parte della pena, aveva avanzato la richiesta di uscire da Santa Maria Maggiore chiedendo l’affidamento ad una struttura o comunità terapeutica per proseguire in modo più agevole la disintossicazione. Resta, comunque, più accreditata, almeno per quanto riguarda gli inquirenti, l’ipotesi che non si sia trattato di un gesto volontario, ma di un incidente. Sono molti, infatti, i detenuti che utilizzano il gas delle bombolette, solitamente usate per prepararsi caffè e pastasciutta in cella, per stordirsi, per trovare euforia. Lo avrebbero riferito i due detenuti che erano in cella con lui e che il pm Stefano Buccini ha sentito lo stesso giorno del decesso. Nessuna indicazione ancora, intanto, dall’autopsia.
Suicidio: 18 giugno 2009, Brindisi (Caserma Carabinieri)
Ieri sera nella caserma dei Carabinieri di San Michele Salentino (Brindisi) un extracomunitario si è tolto la vita utilizzando un lungo lembo della fodera del materasso per impiccarsi. La tragedia è avvenuta intorno alle ore 20. L’uomo, un marocchino sprovvisto di documenti e presunto clandestino, dell’età apparente di 30 anni, era stato condotto all’interno della caserma e richiuso nella stanza di sicurezza della stessa, perché accusato del furto di una bicicletta, e di aver interrotto una funzione funebre, importunando una suora. L’uomo, giudicato dai carabinieri "psicolabile", è stato tratto in arresto dagli stessi militari dopo la chiamata al 112 effettuata da alcuni partecipanti al funerale che si stava tenendo ieri pomeriggio in città. Individuato all’uomo, oltre alla denuncia per "interruzione di funzione religiosa" è stata contestata anche la violazione di domicilio e il furto di una bicicletta. Reati questi ultimi che gli sono costati l’arresto. Terminate le prime procedure e gli accertamenti, l’uomo è stato rinchiuso dai militari all’interno della camera di sicurezza presente nella caserma e dotata di un lettino. Lasciato da solo tra i pochi metri quadri della cella, stando alla ricostruzione realizzata dai carabinieri, l’uomo è riuscito a togliersi la vita, utilizzando i pochi materiali a sua disposizione. Strappa un lunga striscia di stoffa dalla fodera del materasso di un lettino presente all’interno della stanza, l’arrestato ha legato un’estremità del lembo al collo e l’altra a una conduttura dell’impianto di areazione. Tesa così la corda, si è lasciato andare al proprio peso, cadendo con le ginocchia a pochi centimetri dal suolo. In quella posizione, vi è rimasto per diversi minuti: difficile quantificare esattamente quanti, fino a che non è sopraggiunta la morte per soffocamento. (Ansa, 19 giugno 2009)
Suicidio: 21 giugno 2009, carcere di Civitavecchia (Rm)
Una detenuta italiana di 35 anni si è impiccata stamane nella sua cella in carcere. La donna, con un passato di tossicodipendenza, avrebbe dato recentemente segni di disturbi psichici. A Civitavecchia era stata trasferita la settimana scorsa dal carcere romano di Rebibbia, in vista di un successivo trasferimento in un ospedale psichiatrico giudiziario. La detenuta già in passato avrebbe tentato il suicidio, pertanto erano state adottate nei suoi confronti tutte le misure opportune: cella singola, senza oggetti che avrebbero potuta indurla ad atti di autolesionismo, sorveglianza da parte degli agenti penitenziari ogni 10 minuti. La donna - a quanto si è appreso - avrebbe approfittato del lasso di tempo che intercorreva tra un controllo da parte degli agenti e l’altro per mettere in atto l’intento suicida, utilizzando indumenti intimi annodati alle barre della cella. Mentre ciò avveniva, la madre della detenuta era in arrivo a Civitavecchia per far visita alla figlia. (Ansa, 21 giugno 2009)
Suicidio: 21 giugno 2009, carcere di Vercelli
Un detenuto del carcere di Biliemme è stato trovato morto ieri mattina nella sua cella. L’uomo, un 30enne di nazionalità indiana, è deceduto durante la notte tra venerdì e sabato. Da fonti giudiziarie si apprende che con ogni probabilità si tratta di un suicidio. Il detenuto si trovava in carcere per furto. (Agi, 22 giugno 2009)
Suicidio: 21 giugno 2009, carcere di Santa Maria Capua Vetere (Ce)
Si è tolto la vita impiccandosi nella sua camera. G.Z., 43enne assistente di polizia penitenziaria presso la Casa Circondariale di San Tammaro - Santa Maria Capua Vetere, ieri mattina ha deciso di farla finita. Ha preso un cavo elettrico e lo ha stretto intorno al collo collegando l’altro capo ad una delle finestre presenti nella stanza. Alla base del gesto pare vi sia stato un forte stato depressivo in cui il 43enne sarebbe caduto da tempo. (Ansa, 22 giugno 2009)
Malattia: 21 giugno 2009, carcere di Benevento
È deceduto la scorsa notte nella Casa Circondariale di Benevento Khalid Husayn di 73 anni, coinvolto nel 1985 nel dirottamento di una nave da crociera italiana, l’Achille Lauro, al largo delle coste egiziane di Bur Said. L’uomo è stato trovato cadavere questa mattina, intorno alle 6, nella sua cella dagli agenti della Polizia Penitenziaria. A causare la morte, secondo quanto riferisce la direzione del carcere e il medico del 118 giunto sul posto, un arresto cardio-circolatorio. Si attende ora l’arrivo del medico legale per ulteriori accertamenti. Conosciuto in Italia con il nome di Kaled Abdul Rahim, di nascita yemenita, Khalid Husayn era stato trasferito nel carcere di Benevento nell’agosto del 2008 e stava scontando la condanna in una sezione di "Alta Sicurezza 2" riservata ai terroristi di matrice islamica (ex regime elevato indice di vigilanza fino a un mese fa, quando il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha rivisto in toto il sistema). La condanna all’ergastolo per il dirottamento dell’Achille Lauro gli era stata inflitta in contumacia dal tribunale di Genova nel 1987. Arrestato in Grecia nel 1991 per traffico d’armi, era stato estradato cinque anno dopo in Italia, dove è stato detenuto per 13 anni in diversi penitenziari italiani. Secondo l’accusa Khalid Husayn non aveva preso parte all’azione terroristica sull’Achille Lauro, ma aveva tenuto contatti con il commando palestinese e si era occupato dei dettagli logistici dell’operazione, compiendo anche sopralluoghi a bordo della nave. In una lettera del maggio scorso, l’uomo parlava positivamente della struttura beneventana: "Starò qui per poco tempo, per un processo. Mi hanno messo in una cella isolata, vicino all’infermeria, comunque riesco pregare con i miei paesani e esco con loro al passeggio. Da quello che vedo le guardie qui sono educate e ci rispettano". (Ansa, 21 giugno 2009)
Polemiche sulle cure al detenuto palestinese morto (Ansa, 23 giugno 2009)
Soffriva da anni di problemi al cuore non si era potuto curare Khalid Husayn, uno dei componenti del commando terroristico palestinese che sequestrò la motonave Achille Lauro nel 1985, morto la notte scorsa nel carcere di Benevento, dove stava scontando l’ergastolo. Lo sostiene Francesco Caruso, ex deputato Prc, secondo il quale "il torrido caldo di questi giorni deve essere stato fatale per il cuore già malandato di Khaled: da anni sofferente, come certificato clinicamente, di disturbi cardiaci, non gli è mai stato permesso di curarsi adeguatamente". "Per questo - continua Caruso che aveva incontrato Husayn in carcere qualche mese fa - è opportuno parlare di un assassinio di stato, perché Khaled è morto per la lentezza della burocrazia penitenziaria e la cecità del Tribunale di Sorveglianza: da mesi il suo legale aveva chiesto un permesso di pochi giorni per motivi di salute, per permettergli di poter usufruire delle cure mediche di cui necessitava. È morto in attesa di questo permesso". Secondo Caruso, il braccio del carcere di Benevento in cui si trovava la cella di Husayn è "una sorta di piccola Guantanamo nella quale sono reclusi tutti i detenuti in Italia per il reati di matrice islamica. In questo reparto Eiv (Elevato Indice di Vigilanza), i detenuti hanno le finestre sigillate da lastre di plexiglass che impediscono non solo di guardare all’esterno, ma anche il necessario ricambio di aria".
Sarno (Uil-Pa): da Caruso falsità, Husayn assistito
Sono "incomprensibili e inopportune le polemiche che Francesco Caruso ha voluto sollevare parlando di assassinio di Stato" dopo la morte di Khalid Husayn. Così Eugenio Sarno, segretario della Uil-penitenziari, replica all’ex parlamentare del Prc, sottolineando che il decesso del terrorista che partecipò al dirottamento della nave Achille Lauro è avvenuto per cause naturali. "D’altro canto Caruso ben dovrebbe sapere che Husayn non poteva essere operato per espresso parere dei medici che avevano in cura il detenuto di origine yemenita. Intanto, per essere precisi - aggiunge Sarno - l’operazione riguardava la schiena e non il cuore. Dire che non è mai stato permesso al detenuto di essere curato, quindi, è affermare il falso sapendo di farlo" La Uil rileva invece che Husayn "ha avuto puntuale assistenza sanitaria nel carcere beneventano. Non solo. Caruso si è attivato, insieme alla Direzione del carcere sannita, per l’acquisto di un busto. Per questo - continua Sarno - è quanto meno ingeneroso, oltre che non veritiero, additare anche a presunte lentezze burocratiche le ragioni del decesso. D’altro canto non abbiamo traccia nell’ attività parlamentare di Francesco Caruso di proposte atte a migliorare il sistema penitenziario e le condizioni di detenzione. Tantomeno di proposte atte a velocizzare l’iter burocratico dalle istanze presentate dai detenuti".
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