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"Morire di carcere": dossier settembre 2008 Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose
Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di settembre registra 7 nuovi casi: 4 morti per cause da accertare, 2 per suicidio e 1 per malattia.
Malattia: 8 settembre 2008, Carcere di Taranto
Un detenuto di 39 anni, Michele Montervino, è morto ieri in ospedale. Soffriva di cirrosi epatica. L’uomo era stato trasportato dal 118 domenica notte dal carcere al Santissima Annunziata a seguito di un ennesimo malore. In carcere era nella sezione "precauzionale". Sulla sua morte sono in corso gli accertamenti e intanto spunta un giallo. Pare che il detenuto avesse più volte sollecitato adeguata assistenza, accusando di star male, così come sembrerebbe che i medici del carcere avessero più volte suggerito il suo ricovero in ospedale escluso invece dal personale del 118. Montervino avrebbe dovuto scontare la pena sino al 2012. Aveva fatto appello alla condanna di primo grado. (La Gazzetta del Mezzogiorno, 9 settembre 2008)
Cause da accertare: 9 settembre 2008, Carcere di Velletri (Roma)
Stefano Brunetti, 43 anni, muore a causa di alcune percosse subite il giorno precedente, ma è giallo sulle cause del decesso. Per l’associazione Antigone, che ha denunciato l’episodio, a provocarne la morte sarebbero state le violenze subite dopo l’arresto, ma il direttore del carcere di Velletri, Giuseppe Makovec, frena: "Non è possibile stabilire il nesso di causa-effetto tra le fratture riportate dalla vittima e il decesso e ancora meno se queste possano essere state provocate dalla colluttazione in cui l’uomo era coinvolto o dalle fasi concitate dell’arresto", ha affermato al Velino. Il detenuto, un tossicodipendente italiano di 41 anni con diversi precedenti per droga era arrivato in carcere lunedì sera dalla questura di Anzio, dove era stato condotto da una volante di polizia al termine di una rissa e in seguito era stato arrestato per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. L’uomo, affetto da cirrosi epatica, aveva diverse fratture e secondo quanto stabilito dal medico della casa circondariale presentava "un grave stato di sofferenza epatica". Martedì mattina, alla terza visita nel giro di poche, dopo un’ecografia l’uomo è stato ricoverato in ospedale per la gravità delle sue condizioni, ma durante gli accertamenti al pronto soccorso, verso le 15, è deceduto. Sarà il responso dell’autopsia, eseguita ieri mattina, a dover sciogliere i dubbi sul possibile nesso con le violenze subite e chiarire se queste possano essere state riportate durante la rissa o in un secondo momento. Non ha dubbi, invece, Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione che si batte per i diritti e le garanzie nel sistema penale, tanto da aver istituito un osservatorio sulle condizioni di detenzione nelle carceri italiane. "Abbiamo aspettato un paio di giorni in attesa che la notizia venisse diffusa dalle autorità: visto che non si è mosso nulla, lo abbiamo fatto noi - ha affermato -. Chiediamo un intervento delle autorità amministrative affinché facciano chiarezza sull’episodio e segnaleremo il caso agli organismi internazionali che si occupano di tortura". E l’intervento dei ministri della Giustizia Angelino Alfano e dell’Interno Roberto Maroni affinché avviino indagini sulla vicenda è stato chiesto da Pino Sogbio, della segreteria nazionale del Pdci. "I ministri dell’Interno e della Giustizia avviino un’indagine su quanto denunciato dall’associazione Antigone a Velletri - ha detto Sgobio in un comunicato - Sull’episodio è opportuno che chi di dovere faccia piena luce, nell’interesse della civiltà giuridica del nostro paese".
Nieri (Lazio): chiarezza sul detenuto morto a Velletri
"La notizia segnalata dall’associazione Antigone, se corrisponde al vero, è di gravità inaudita". Così l’assessore al Bilancio della Regione Lazio, Luigi Nieri commenta la notizia diffusa dall’associazione secondo la quale, qualche giorno fa, un detenuto tossicodipendente sarebbe stato picchiato dalla polizia municipale di Velletri, e poi condotto in carcere, con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. Le sue condizioni in cella si sarebbero aggravate e trasportato in ospedale, l’uomo è morto. "È dovere di chiunque abbia un ruolo istituzionale - afferma l’assessore - fornire chiarimenti sulla vicenda. Se i fatti corrispondessero a verità sarebbe evidente il nesso con un clima di violenza e di intolleranza che si respira nell’aria a causa di irresponsabili opzioni politiche della destra al governo. Auspico, pertanto, che si faccia luce sull’episodio, tanto più che, come sempre - conclude Nieri - la vittima non pare essere un pericoloso criminale bensì una persona rispetto alla quale era prioritaria un’azione di sostegno sociale". (Il Velino, 12 settembre 2008)
Velletri: Marroni; morte detenuto, giudici facciano piena luce
"Auspico che la magistratura, che ha già avviato un’inchiesta, faccia piena luce sulle circostanze della morte di un detenuto del carcere di Velletri. L’uomo, poco prima di morire, ha esplicitamente accusato le guardie di averlo ridotto in gravi condizioni". È quanto dichiara il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. A quanto risulta al Garante, infatti il detenuto deceduto - Stefano Brunetti, 43 anni - era stato arrestato dopo il tentato furto di bicicletta, e la colluttazione con il proprietario, e portato al Commissariato di Anzio. Qui ha dato in escandescenza distruggendo alcune suppellettili della camera di sicurezza e, per questo motivo, è stato sedato e poi trasferito, sempre sedato, al carcere di Velletri, dove è arrivato in precarie condizioni di salute. La mattina seguente l’uomo - con il torace gonfio probabilmente per lesioni interne - è stato trasferito all’ospedale di Velletri dove è morto mentre era sottoposto a Tac. Poco prima di morire, ad un medico che gli chiedeva chi lo avesse ridotto in quelle condizioni, Stefano ha risposto: "le guardie". "Non si può accettare che si muoia in questo modo, neanche quando si commettono crimini - ha aggiunto il Garante dei diritti dei Detenuti - In Italia la pena di morte ancora non è stata introdotta. Ora tocca ai magistrati fare piena luce per individuare le responsabilità e per punire chi si è abbandonato ad un comportamento che getta discredito su tutte le forze dell’ordine". (Comunicato stampa, 13 settembre 2008)
Cause da accertare: 10 settembre 2008, Carcere di Nuoro
Quasi certamente ha inalato una dose letale di gas dalla bomboletta del fornellino in dotazione per stordirsi, ma senza l’intenzione di uccidersi: così sarebbe morto due sere fa, verso le 21,15, un detenuto marocchino (del quale non sono state rese note le generalità) nel bagno della sua stanza nel carcere di Badu ‘e Carros. I compagni (siamo in periodo di Ramadan, pare che dopo cena avessero anch’essi assunto gas e fossero alterati) non si sarebbero subito resi conto del fatto, se non quando non c’era più nulla da fare. Indaga la magistratura e si attendono maggior certezze dall’esito dell’autopsia. Carlo Murgia, il sociologo garante dei detenuti, commenta: "È l’ulteriore conferma di quanto all’interno del carcere sia diffusa l’abitudine dell’uso di sostanze nel tentativo di alleviare lo stato di sofferenza." Si apre una finestra su un mondo del quale si ha spesso una percezione sbagliata: "L’opinione pubblica è convinta che questo non sia un luogo di pena, ma una specie di ostello dove si guarda la tv o si studia. Invece non si socializza affatto, l’ingranaggio più oscuro dello Stato, l’immagine opaca della società" dice amaramente Murgia. E gli stranieri stanno peggio: "Soffrono di certo più di altri - risponde - per la lingua, per le difficoltà di socializzazione e per la provenienza da culture differenti". Murgia ricorda come la legge preveda che l’Asl acquisisca il reparto sanitario degli istituti di pena, ma ciò non accade per le lentezze della burocrazia regionale e la mancanza di fondi: "Significa che i detenuti andrebbero curati esattamente come tutti gli altri cittadini - spiega - ma non è così. Così il carcere diviene valvola di sfogo delle aggressività individuali e collettive, e le patologie sadomaso di realizzano con totalità e quotidianamente". Il sindacalista Cisl Giorgio Mustaro: "Incide il problema delle strutture non adeguate nonostante i rattoppi, la mancanza di un numero adeguato di educatori (due per 300 detenuti). Tra le esigenze c’è anche quella di avere un direttore da non dividere con Sassari, come accade ora". (La Nuova Sardegna, 12 settembre 2008)
Suicidio: 11 settembre 2008, Carcere di Opera (Milano)
Jonny Montenegrini, 32 anni, viene trovato morto carcere di Opera a Milano. I familiari e l’avvocato Benvegnù sollevano perplessità sul decesso e chiedono sia fatta chiarezza. Per oggi è stata disposta l’autopsia. Per i familiari e l’avvocato la sua morte è un giallo. Non credono all’ipotesi del suo suicidio. Lo hanno trovato impiccato in una cella del carcere di Opera a Milano. Il giostraio bassanese Jonny Montenegrini, 32 anni, era stato arrestato il 20 giugno dai carabinieri di Vicenza per una rapina avvenuta l’11 maggio a Camisano. Era paraplegico e perciò non aveva l’uso delle gambe. Era ritenuto l’autista del commando che aveva alleggerito la biglietteria degli autoscontri di Renzo Rizzi. "I familiari sono sconvolti e non credono alla tesi del suicidio - spiega l’avvocato Riccardo Benvegnù di Padova, difensore della vittima -. Del resto, io stesso nutro delle perplessità. Ci sono circostanze che non mi quadrano. L’avevo visto di recente ed era fiducioso sull’esito dell’inchiesta della procura di Vicenza perché mi ripeteva di non essere stato lui a guidare l’auto della fuga. Per capirci, non lasciava certo intendere che fosse in una critica situazione psicologica". Quest’oggi la procura di Milano, che ha aperto un’inchiesta per capire cos’è realmente accaduto, incaricherà il medico legale di eseguire l’autopsia. Lo stesso avvocato Benvegnù ha incaricato il dott. Massimo Aleo di Milano di seguire come consulente di parte l’esame autoptico. Montenegrini è stato rinvenuto privo di vita ieri all’alba. La morte risaliva a qualche ora prima. Nessuna delle guardie presenti si è accorta di nulla. Viste le sue condizioni di salute dopo l’emissione dell’ordine di custodia firmato dal gip Agatella Giuffrida su richiesta del pm Claudia Dal Martello, titolare dell’inchiesta, era stato trasferito al carcere di Opera perché ci sono delle celle attrezzate per i disabili. Montenegrini, gravato da qualche precedente, era accusato di avere guidato la Fiat Tipo bianca dalla quale la sera del 11 maggio scesero due individui che, incappucciati, aggredirono un componente della famiglia Rizzi e arraffarono 500 euro. Il colpo avvenne alle 22.30 in centro a Camisano e a quell’ora di gente in giro ce n’era parecchia. Per questo i carabinieri del luogotenente Sartori raccolsero testimonianze per individuare come presunto autista della banda proprio Montenegrini. Il pm Dal Martello di recente aveva chiesto al gip un confronto all’americana (la cosiddetta ricognizione di persona) in tribunale a Vicenza nella forma dell’incidente probatorio. "Montenegrini era tranquillo - aggiunge l’avv. Benvegnù - ed era un soggetto tutt’altro che depresso. Tra l’altro, le modalità di quello che dagli inquirenti è ritenuto come un suicidio sono complicate, tenuto conto che era invalido. Pesava oltre 80 chili ed aveva degli obiettivi problemi per architettare un suicidio di quel tipo. Sono davvero molto perplesso". Ma quali elementi hanno i familiari, che risiedono a Bassano in via Boito 26, per ritenere che le probabilità che il congiunto sia stato vittima di un suicidio sono poche? E se fosse vero, chi mai avrebbe potuto volere la morte di un invalido in carcere? Tra l’altro, era sempre stato coinvolto in fatti di cronaca nera non particolarmente eclatanti. Chi mai poteva volerlo ucciso? "La sua morte per noi è un mistero e presenta comunque molti punti oscuri - conclude Benvegnù. C’erano stati degli sgarbi in carcere e ne aveva parlato. Ci attendiamo già dall’autopsia le prime risposte importanti". (Giornale di Vicenza, 12 settembre 2008)
Opera: polemiche sul caso del detenuto paraplegico impiccato
È polemica sul caso di Jonny Montenegrini, il 33enne detenuto trovato impiccato ieri mattina nella sua cella del carcere di Opera. Il 33enne era finito in carcere a giugno ed era in attesa di giudizio. Gli inquirenti stanno accertando se si sia trattato di omicidio o suicidio (ipotesi per cui si propende). A destare però la perplessità di Francesca Corso, assessore provinciale con delega all’integrazione sociale delle persone in carcere, è il fatto stesso che Montenegrini si trovasse in carcere nonostante la disabilità: "È francamente sconcertante - scrive Francesca Corso - scoprire, dopo la sua morte, che è detenuto in un carcere un uomo così gravemente menomato. A questo punto e con la massima urgenza occorre ripensare all’uso delle pene alternative, assicurandosi che, a cominciare dai casi più clamorosi come quelli dei detenuti paraplegici, esse vengano davvero concesse, o che comunque la persona detenuta in quella condizione fisica possa scontare la pena in strutture a custodia attenuata". Dello stesso parere Franco Bomprezzi, portavoce della Lega per i diritti delle persone con disabilità: "Non è ammissibile che un fatto simile accada nel 2008. C’è chi ottiene la scarcerazione esibendo certificati per patologie difficilmente dimostrabili, e questo non avviene invece per un fatto così evidente come la paraplegia". Per Bomprezzi "non c’è alcuna certezza che nelle carceri esistano le condizioni minime per i disabili. Eppure non sono pochi, data la presenza di molte persone rimaste invalide per episodi legati alla precedente attività criminosa e per la presenza di molti detenuti stranieri, spesso con patologie che portano alla disabilità. Solo i parlamentari, che hanno libero accesso al carcere, potrebbero impegnarsi ad affrontare seriamente la questione. Certo è che l’essere paraplegici non può essere una pena aggiuntiva". Respinge le accuse il direttore di Opera, Giacinto Siciliano. "La presenza di una disabilità non è di per sé un motivo per escludere la detenzione. Di persone con disabilità di vario grado, in carcere, ce ne sono molte. La valutazione del tipo di pena, così come del grado di assistenza di cui necessitano, varia a seconda dell’autonomia del detenuto, della sua capacità di pensare per sé. Nel caso in questione, questo grado di autonomia c’era". "Nei prossimi giorni - dice Giorgio Bertazzini, Garante dei detenuti della Provincia di Milano - incontrerò il direttore del carcere per verificare quanto accaduto. È necessario mettere a fuoco la vicenda, anche dal punto di vista umano, prima di dare qualche giudizio". (Redattore Sociale - Dire, 13 settembre 2008)
Suicidio:
15 settembre 2008, Viterbo (arresti) Un
uomo di 42 anni, S.R., detenuto agli arresti domiciliari, si è impiccato nella
casa di cura psichiatrica Villa Rosa di Viterbo, dove era ricoverato. Era stato
arrestato nell’aprile scorso dai carabinieri per aver rubato oggetti sacri nel
duomo di Civita Castellana. L’uomo,
con diversi precedenti, soffriva da tempo di problemi psichici. Il cadavere è
stato scoperto dal personale della casa di cura, entrato nella sua stanza per le
pulizie. Sono poi intervenuti i carabinieri incaricati di controllare più volte
al giorno il detenuto. L’allarme
del Garante dei diritti dei detenuti. “La morte del detenuto nella casa di
cura di Viterbo ripropone, con drammatica urgenza, il problema dei detenuti con
problemi psichici in carcere”: lo afferma il Garante dei diritti dei detenuti
del Lazio Angiolo Marroni. “Nei mesi scorsi - prosegue - due detenuti con
problemi psichici erano morti nelle carceri di Frosinone e a Regina Coeli. Lo
scorso luglio, inoltre, un agente di polizia penitenziaria di Rebibbia Nuovo
Complesso si era ucciso sparandosi un colpo di pistola. Purtroppo in carcere e
nel mondo che ruota attorno al carcere si continua a morire”. “È evidente
che la patologia psichiatrica non può essere gestita solo con il carcere o
l’uso massiccio di farmaci. In un momento in cui si parla sempre più di reati
da punire con il carcere e di certezze delle pene, non vorrei passasse in
secondo piano il fatto che chi è in carcere è pur sempre un cittadino di
questa società con diritti fondamentali, come quello alla salute, che non
possono essere sospesi”, conclude Marroni. (Tuscia
Web, 17 settembre 2008) La
patologia psichiatrica non può essere gestita con il carcere Il
Garante dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni: è evidente che la patologia
psichiatrica non può essere gestita con il carcere e l’uso massiccio di
farmaci. “La
morte del detenuto 42enne in una casa di cura di Viterbo ripropone, con
drammatica urgenza, il problema dei detenuti con problemi psichici in
carcere”. Lo ha detto il Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio Angiolo
Marroni commentando la notizia del suicidio di un detenuto agli arresti
domiciliari nella clinica psichiatrica Villa Rosa di Viterbo. Nei
mesi scorsi due detenuti con problemi psichici erano morti nelle carceri di
Frosinone e a Regina Coeli. Lo scorso luglio, inoltre, un agente di polizia
penitenziaria di Rebibbia Nuovo Complesso si era ucciso sparandosi un colpo di
pistola. “Purtroppo in carcere e nel mondo che ruota attorno al carcere si continua a morire - ha aggiunto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - Il carcere è una realtà dura che, a volte, fa apparire insuperabili i problemi quotidiani soprattutto per chi ha già problemi psichici con cui convivere. È evidente che la patologia psichiatrica non può essere gestita solo con il carcere o l’uso massiccio di farmaci. Per ogni tipo di malattia è importante intervenire con tempestività garantendo le cure adeguate. In un momento in cui si parla sempre più di reati da punire con il carcere e di certezze delle pene, non vorrei passasse in secondo piano il fatto che chi è in carcere è pur sempre un cittadino di questa società con diritti fondamentali, come quello alla salute, che non possono essere sospesi”. (Ufficio del Garante dei detenuti del Lazio)
Morte per cause da accertare: 16 settembre 2008, Opg di Aversa (CE) Massimo
Morgia, 37enne, muore all’Opg. È il 12° decesso dall’inizio 2007 nella
struttura. L’uomo era ricoverato nell’ospedale giudiziario di Aversa ed
inaspettatamente ieri notte tarda, è stato trovato morto nel suo letto. Sono
stati inutili i tentativi del personale sanitario impegnati sul posto, per
rianimarlo, il poveretto purtroppo era deceduto, non si sa da quanto tempo
prima. È l’ennesimo episodio di decesso in circostanze misteriose avvenuto
all’interno del carcere, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro.
Stavolta lo sfortunato si chiamava Massimo Morgia, originario di Roma, nato il 1
novembre del 1971. Si trovava nella struttura per scontare la sua pena
detentiva, ma per un motivo tutto da accertare, l’uomo è deceduto, con lui
nella stanza c’erano altri pazienti che pare non si siano accorti di quello
che succedeva al povero Morgia. Il corpo senza vita di Massimo riverso nel letto
è stato scoperto dal personale infermieristico della struttura ospedaliera.
L’uomo in vita, aveva difficoltà a socializzare con altri detenuti, era in
collisione costantemente con altri detenuti e creava problemi di natura
caratteriale, creando conflitti anche con le guardie. Un uomo di non facile
carattere, introverso, difficile. Inoltre, come spesso accade in questi casi, il
poveretto era stato abbandonato a sé stesso, dalla famiglia che viveva fuori e
dalle amicizie che non si ricordavano neppure che fosse esistito. Purtroppo non
è il primo episodio di morte improvvisa ed inspiegabile quella che è avvenuta
ieri notte, altri episodi, e nemmeno tanto tempo fa, hanno scosso le guardie del
penitenziario. L’ultima morte avvenuta fu il suicidio di un pregiudicato che,
rimasto solo ed abbandonato da tutti, aveva deciso di togliersi la vita. Massimo
era un ragazzo di quasi 37 anni, una volta scontata la sua pena, qualunque essa
sia stata, avrebbe potuto recuperare il resto della propria vita. Invece il
destino ha voluto che la sua vita terminasse in quel posto, senza nessuno che
avesse potuto fare qualcosa per evitare il tragico finale della sua pur breve e
tumultuosa vita. In tarda notte il suo corpo è stato trasportato nel reparto di
medicina legale dell’ospedale San Sebastiano e Sant’Anna di Caserta dove si
attende la visita autoptica disposta dal sostituto procuratore della Repubblica
di Santa Maria Capua Vetere, il dott. Giuliano Caputo. Sarà l’autopsia
infatti, a chiarire le reali cause del misterioso decesso. (Ansa,
17 settembre 2008) Morte per cause da accertare: 17 settembre 2008, Carcere di Pisa Un detenuto 30enne, originario di Frosinone, è stato ritrovato senza vita nel carcere di Pisa, città in cui risiedeva da tempo e dove era detenuto dallo scorso 25 aprile, per un furto d’auto. Sembra che la morte sia stata provocata dal gas del fornello da camping, ma non è ancora stato chiarito se si tratta di suicidio o di un tentativo di “sballo” finito in tragedia. Sulla salma sarà eseguita l’autopsia. (Ristretti Orizzonti, 18 settembre 2008)
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