"Morire di carcere": dossier aprile 2007
Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose
Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di aprile registra 9 nuovi casi: 6 suicidi, 1 morte per malattia, 1 per overdose e 1 per omicidio.
Nome e cognome |
Età |
Data morte |
Causa morte |
Istituto |
35 anni |
07 aprile 2007 |
Suicidio |
Poggioreale (Napoli) |
|
33 anni |
10 aprile 2007 |
Suicidio |
Rebibbia (Roma) |
|
50 anni |
12 aprile 2007 |
Suicidio |
Opg di Aversa (CE) |
|
38 anni |
12 aprile 2007 |
Suicidio |
Vicenza |
|
40 anni |
16 aprile 2007 |
Malattia |
L’Aquila |
|
49 anni |
21 aprile 2007 |
Suicidio |
Padova (Casa Recl.) |
|
33 anni |
24 aprile 2007 |
Overdose |
Perugia (scarcerato) |
|
59 anni |
25 aprile 2007 |
Omicidio |
Bergamo (semilibero) |
|
31 anni |
29 aprile 2007 |
Suicidio |
Roma Rebibbia |
Suicidio: 7 aprile 2007, Carcere di Poggioreale (Napoli)
Un detenuto colombiano di 35 anni si suicida nell’istituto penitenziario di Poggioreale. L’uomo era in attesa di giudizio e da pochi giorni aveva fatto il suo ingresso in carcere, con l’accusa di traffico di stupefacenti. La notizia, diffusa dall’Associazione Antigone Napoli, è stata ricostruita attraverso più testimonianze. (Associazione Antigone Napoli, 25 aprile 2007)
Suicidio: 10 aprile 2007, Carcere di Rebibbia (Roma)
Detenuta italiana di 33 anni, tossicodipendente, muore suicida a Rebibbia. Il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi si è recato oggi al carcere femminile di Rebibbia a Roma dopo aver avuto notizia di un suicidio, avvenuto nella giornata di ieri. Si è appreso che a suicidarsi è stata una giovane tossicodipendente di 33 anni, detenuta per fatti di minima gravità, e in carcere da circa tre mesi. "Si tratta del secondo suicidio dall’inizio dell’anno negli istituti di pena italiani. Un numero - dichiara Luigi Manconi - sensibilmente più basso rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, che conferma una tendenza alla riduzione dei suicidi dell’ultimo periodo e, in particolare, dopo l’approvazione dell’indulto e la conseguente riduzione dell’affollamento penitenziario.
Il caso della donna suicidatasi a Rebibbia ci pone di fronte comunque alla necessità di affrontare con decisione almeno due ordini di questioni: innanzitutto la criminalizzazione dei tossicodipendenti e, quindi, la necessità di una radicale riforma delle leggi in materia; e il tema del disagio psicologico e della difficoltà ad affrontare la detenzione, in modo particolare nella prima fase. Per questo l’amministrazione penitenziaria ha deciso di avviare un percorso di riforma del trattamento dei nuovi giunti. La fase di ingresso in carcere è quella più delicata.
Durante la quale va assicurata la massima accoglienza e una grande attenzione ai problemi individuali. In questo modo sarà possibile ridurre ulteriormente gli episodi suicidari. Insieme agli enti territoriali e ai presidi Asl vanno assicurati trattamenti da parte di equipe polifunzionali specializzate nella prevenzione di eventi critici. L’ennesima e irreparabile sconfitta che un suicidio, tanto più in stato di reclusione, rappresenta dovrà essere una ragione di più per mobilitare il massimo possibile di energie e risorse". (Comunicato stampa, 11 aprile 2007)
Suicidio: 12 aprile 2007, Opg di Aversa (CE)
Gianluigi Frigerio, 50 anni, si impicca nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa: nell’Opg è il terzo suicidio in 6 mesi. Ne da notizia Dario Stefano Dell’Aquila, presidente dell’Associazione Antigone Napoli. Gianluigi era detenuto per oltraggio a pubblico ufficiale e da poco gli era stata prorogata la misura di sicurezza.
L’uomo si è impiccato ed è arrivato al pronto soccorso quando ormai non si poteva far altro che costatarne il decesso. "Questa morte, la quinta dell’ultimo semestre - ha detto Dario Stefano Dell’Aquila -, tre suicidi e due morti per malattia, genera un profondo senso di amarezza e impotenza. Appena una settimana fa abbiamo dato notizia di un internato affetto da Hiv deceduto che già ci troviamo a rinnovare questa triste contabilità.
Sappiamo che questo nostra amarezza è condivisa da molti operatori sociali, da esponenti del mondo delle associazioni e del volontariato e da quella parte di operatori penitenziari che trova ogni giorno più difficile lavorare negli Opg visto lo stato di generale disattenzione in cui stanno scivolando queste strutture.
Basti pensare che la quota retta che si spende per un internato è di un euro e sessantanove centesimi al giorno. Riteniamo - ha proseguito Dell’Aquila - che vadano chiarite le ragioni di questa morte, ma riteniamo indispensabile e non più rinviabile una iniziativa politico-istituzionale per la chiusura e il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. Il meccanismo della proroga della misura di sicurezza, l’incompiuta riforma della sanità penitenziaria e l’esiguità delle risorse disponibili rendono critico l’intero sistema Opg. Un sistema che a nostro avviso va profondamente modificato e superato per giungere ad una rapida chiusura di queste strutture. È questa una esigenza comune che deve però trovare concretezza in sede parlamentare. Valuteremo in questi giorni le iniziative da intraprendere.
Noi dal canto nostro - ha aggiunto Susanna Marietti, coordinatrice dell’Osservatorio Nazionale sulla detenzione di Antigone, il 4 maggio cominceremo la nostra attività effettuando visite in tutti e sei gli Ospedali psichiatrici giudiziari di Italia per monitorare le condizioni di detenzione dei circa 1.200 internati, perché la tematica degli Opg costituisce uno dei temi centrali del nostro lavoro di questo anno". (Antigone Napoli, 13 aprile 2007)
Aversa: il detenuto suicida era affetto da schizofrenia cronica
Un suicidio che ha sconvolto gli operatori del penitenziario di Aversa, quello di Gianluigi Frigerio, che avrebbe compiuto cinquanta anni l’11 ottobre prossimo. Una storia che a dir poco fa rabbrividire, che in fondo incute pena per un disperato che ha scontato una pena esagerata, per un crimine di non troppa importanza. Alla fine la storia è terminata in questa tragica maniera. Il malcapitato non ha visto via d’uscita e si è suicidato, si è impiccato nella sua cella dove poi è stato trovato ieri mattina dalle guardie. La sua morte risale a circa alle 5,40 del mattino. Per il caso Frigerio anche il direttore del penitenziario è rimasto sconvolto dall’accaduto, tanto che ha chiesto una riunione con i rappresentanti delle istituzioni competenti per parlare appunto dei problemi dei tanti malati mentali che una volta scontata la loro pena, non trovano strutture adeguate ad accoglierli e spesso, purtroppo, finiscono come Gianluigi.
Sembra infatti, che sono già quattro i detenuti che hanno scelto il suicidio come unica soluzione ai loro problemi, e fu lo stesso direttore a parlare di questo problema nei convegni che si organizzarono in merito, ma fino ad oggi non ci sono stati interventi adeguati da parte delle forze politiche interessate. Nei prossimi giorni il direttore Ferraro, incontrerà i diretti interessati per sollecitare ancora interventi adeguati, "Affinché i politici si prendano le loro responsabilità e soprattutto si creino strutture adeguate ad ospitare ex detenuti con problemi" ha commentato il direttore ancora sconvolto per quanto è accaduto. La salma del povero Gianluigi è stato trasportato nel reparto di medicina legale dell’ospedale civile di Caserta in attesa di autopsia. Gianluigi era nato a Milano ed era residente a Brescia, in via degli Abruzzi, ex elettricista, celibe, fu arrestato nel 2000 per oltraggio al pubblico ufficiale e condannato dal tribunale di Brescia ad un anno di reclusione. Pena che è stata in seguito prorogata, forse per i suoi comportamenti violenti anche con i compagni di cella. (Caserta Oggi, 14 aprile 2007)
Suicidio: 12 aprile 2007, Carcere di Vicenza
Carlo Maruzzo, 38 anni, si uccide inalando il gas del fornellino. Quando viene dato l’allarme il suo cuore ormai aveva smesso di battere. Carlo Maruzzo giaceva immobile nella sua cella al San Pio X con attorno gli agenti di polizia penitenziaria e i sanitari che cercavano di rianimarlo.
Per l’uomo di Torri di Quartesolo che aveva 38 anni, e che si trovava in carcere dall’inizio di febbraio per detenzione di mezzo chilo di hashish, tutto si è purtroppo rivelato inutile. Il referto di morte parla di arresto cardiorespiratorio per probabile avvelenamento da gas. Attorno alla sua testa i soccorritori hanno trovato un sacchetto di plastica. Il magistrato di turno Marco Peraro, anche su sollecitazione della famiglia e dell’avvocato Paolo Mele senior, che assisteva la vittima, ha ordinato l’autopsia. L’indagine della polizia penitenziaria oscilla tra queste due ipotesi, senza per adesso privilegiare una delle due.
"Faccio fatica a pensare al suicidio - spiega addolorato l’avv. Mele -, per me è stato un incidente. Avevamo in programma una serie di attività difensive ed era molto partecipe. Non era depresso e stava lavorando su se stesso per guardare al futuro con determinazione". La notizia della tragedia in breve ha fatto il giro del penitenziario e ieri è rimbalzata negli ambienti giudiziari.
"Non voglio entrare nel merito dell’inchiesta - afferma Claudio Stella, presidente vicentino dell’associazione "Utopie Fattibili" che coopera nell’universo carcerario -, ma la droga del detenuto è rappresentata proprio dal gas dei fornelli usati per riscaldare le vivande e usato per provocare lo sballo. Conoscevo Maruzzo perché aveva lavorato per alcuni mesi nella nostra cooperativa. Non credo al fatto autolesionistico".
Carlo Maruzzo era stato preso dai carabinieri del reparto operativo di Vicenza assieme alla convivente ungherese Klotild Solymne. Nel corso del sopralluogo nel loro appartamento di Torri di Quartesolo erano stati sequestrati oltre a mezzo chilo di "fumo" anche 40 mila euro in contanti nascosti nella canna fumaria. Non era la prima volta che Maruzzo rimaneva implicato in un’inchiesta per detenzione di droga al fine di spacciarla.
Anche per questo, nonostante il quantitativo rinvenuto non fosse particolarmente elevato visto lo stupefacente in circolazione, si trovava in regime di detenzione perché l’indulto che aveva sanato una precedente condanna gli era stato revocato. La tragedia è avvenuta mentre una parte dei detenuti era all’aperto per l’ora d’aria. Maruzzo sarebbe rimasto da solo nella cella ed è avvenuto quello che per la famiglia è stato un incidente. Anche se spetterà all’inchiesta della procura stabilire che cos’è effettivamente successo.
"In questi casi conviene a molti ritenere che sia stato un suicidio - analizza Stella -, ma la realtà carceraria è molto più complessa. Partendo dal presupposto che non voglio entrare nell’ambito dell’inchiesta, notiamo in giro per il Paese che gli ambienti carcerari si stanno di nuovo deteriorando". L’avvocato Paolo Mele senior assieme al collega Alberto Pellizzari, su indicazione della camera penale vicentina, fa parte dell’osservatorio sul carcere voluto dagli avvocati del foro. "Una morte in carcere ci angoscia molto - aggiunge Stella, che da anni coopera come volontario nel mondo penitenziario - e non dovrebbe mai succedere.
Il carcere è una realtà dura, le autorità dovrebbero fare di tutto perché sia comunque a dimensione d’uomo. Lo sballo col gas delle bombolette dei fornelli per i tossicodipendenti è un fenomeno noto. Non dobbiamo dimenticare, se le parole hanno un significato, che la pena mira alla rieducazione in vista del reinserimento degli individui nella società. Noi crediamo che non sia un’utopia. Tragedie come quella di Maruzzo ci colpiscono e ci interrogano". (Giornale di Vicenza, 14 aprile 2007)
Malattia: 16 aprile 2007, Carcere di L’Aquila
Salvatore Pescione, 40 anni, di Napoli, muore nella cella del carcere "Costarelle" di Preturo per un arresto cardiocircolatorio. Il detenuto, ristretto nell’ala di quelli "comuni", ha avuto un malore intorno alle 3 di ieri mattina. Quando il suo compagno di cella si è accorto del malore di Pescione ha avvisato la guardia penitenziaria ma per il lui non c’è stato nulla da fare. La salma è stata trasferita all’obitorio dell’ospedale, luogo in cui avverrà una ricognizione cadaverica prima del nulla-osta del magistrato. (Il Messaggero, 17 aprile 2007)
Suicidio: 23 aprile 2007, Casa di Reclusione di Padova
Pietro Mongiovì, 48 anni, s’impicca in cella con un lenzuolo. Uno dei tanti morti dietro le sbarre, ma non uno qualsiasi: figura di spicco della mafia agrigentina, era stato arrestato un anno fa con l’accusa di essere stato tra gli esecutori materiali di un duplice omicidio. Assieme a lui erano finite in manette altre undici persone tra le quali Giuseppe Salvatore Vaccaro, trentasettenne imprenditore edile domiciliato a Piove di Sacco.
Mongiovì si era pentito e aveva deciso di collaborare con la giustizia. Ieri mattina, però, si è tolto la vita nel carcere di via Due Palazzi. Il blitz era scattato all’alba del 10 maggio dello scorso anno e vi avevano partecipato i carabinieri di Padova, Agrigento e Pisa, nonché i reparti speciali dell’Arma di Palermo e i militari del Genio Guastatori. Tra i reati contestati, oltre all’associazione di stampo mafioso, il concorso in omicidio, il traffico di droga, l’estorsione, il favoreggiamento della latitanza di affiliati all’organizzazione criminale, la turbativa di gare d’appalto legate ad opere pubbliche con imposizione di subappalti e mano d’opera.
Tra gli arrestati c’era, appunto, anche Giuseppe Salvatore Vaccaro, trentasettenne di Sant’Angelo Muxaro, domiciliato a Piove di Sacco in via Ugo Foscolo 14/4, imprenditore edile. L’operazione, battezzata "Sicania", era la conclusione di una lunga e laboriosa indagine coordinata dai pubblici ministeri Annamaria Palma e Costantino De Robbio della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. I provvedimenti di custodia cautelare in carcere portavano la firma del giudice Gioacchino Scaduto.
Quel giorno era stato colpito il cuore delle cosche che operavano nell’hinterland agrigentino - tra Sant’Angelo Muxaro, Santa Elisabetta, Casteltermini, Aragona e Porto Empedocle - che avevano come punto di riferimento Salvatore Fragapane, già capo della commissione provinciale di Cosa Nostra, condannato all’ergastolo. Tutto era partito nel gennaio 1999, dalle indagini sull’omicidio dell’imprenditore Vincenzo Vaccaro Notte. Un anno dopo anche al fratello Salvatore era toccata la stessa sorte. I due delitti, secondo gli investigatori, andavano inquadrati nell’ambito degli "assestamenti" dei clan mafiosi agrigentini pesantemente colpiti dalle inchieste giudiziarie su Cosa Nostra.
Dopo quasi cinque anni di intercettazioni telefoniche e ambientali, arricchite dalle dichiarazioni di sei collaboratori di giustizia, gli inquirenti erano riusciti a ricostruire il nuovo organigramma delle cosche, attribuendo a ciascun affiliato responsabilità specifiche in ordine ad una miriade di reati contro la persona e il patrimonio. Tra i latitanti che avevano goduto della protezione degli "amici" figuravano anche Gerlandino Messina, considerato tra i killer più feroci dei clan agrigentini, e Luigi Putrone, catturato quattro anni fa a Praga, coinvolto nel sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, il bimbo di 11 anni figlio del pentito Santino, strangolato da Giovanni Brusca e poi sciolto nell’acido. Di quella "famiglia" di Sant’Angelo Muxaro, Pietro Mongiovì era ritenuto uno dei capi ma dopo essersi pentito da pochi mesi. (Il Gazzettino, 24 aprile 2007)
Overdose: 24 aprile 2007, Perugia (appena scarcerato)
33enne originario di Benevento esce dal carcere e muore nei bagni della stazione: la sua libertà è durata poche ore, quelle che hanno separato la sua uscita dal carcere dalla sua uscita dalla vita. Secondo i primi accertamenti della polizia è probabile che alla causa della morte ci possa essere la droga. L’uomo era stato inquisito in passato per reati legati agli stupefacenti ed era noto agli investigatori come assuntore. Aveva lasciato il carcere verso le 17.30-18 con l’obbligo di presentarsi subito alla questura di Benevento, ma intorno alla mezzanotte il suo cadavere è stato ritrovato nei bagni della stazione. Sul luogo il personale della questura ha recuperato una siringa usata da poco. Gli accertamenti sono ancora in corso ma la polizia ritiene che la morte sia con ogni probabilità legata alla droga. Alla stazione sono intervenuti squadra volante, mobile e polizia scientifica. (www.quotidiano.net, 25 aprile 2007)
Omicidio: 25 aprile 2007, Carcere di Bergamo (in semilibertà)
Leone Signorelli, 59 anni, detenuto semilibero, viene ucciso in un agguato mentre sta tornando in carcere, colpito all’addome da tre proiettili sparati da due killer in sella a uno scooter.
La vittima stava salendo su un’auto guidata da un amico per raggiungere il carcere di via Gleno a Bergamo: si trovava infatti in condizione di semilibertà e - hanno spiegato i familiari - ogni sera si faceva riaccompagnare in via Gleno, da quando, un mese fa, qualcuno aveva già attentato alla sua vita, senza riuscire nell’intento.
Ieri sera il tentativo è andato a segno: poco prima delle 22 i killer l’hanno ferito a morte. Leone Signorelli, che tutti chiamavano Nello, è giunto privo di vita all’ospedale dove l’amico lo ha trasportato dopo l’agguato. Dell’omicidio si stanno occupando i carabinieri della compagnia di Bergamo, che mantengono il più stretto riserbo sulla vicenda. Potrebbe trattarsi di un regolamento di conti. (L’Eco di Bergamo, 26 aprile 2007)
Suicidio: 29 aprile 2007, Carcere di Roma Rebibbia
Jon Giorgiu Veanu, detenuto rumeno di 31 anni, si è suicida tagliandosi la carotide con una lametta nella sua cella nel braccio G11 del carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso. Lo rende noto il Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni. L’episodio è avvenuto nel pomeriggio di domenica scorsa, ma solo oggi se ne è avuta notizia. A quanto si è appreso l’uomo era stato trasferito a Roma da circa un mese, proveniente dal carcere di Rieti.
Era stato condannato in primo grado per tentato omicidio, aveva un fine pena previsto nel 2013 ed era in attesa dell’appello. In questo mese al G11 di Rebibbia Giorgiu era in cella con altre due persone. Qualche giorno prima di togliersi la vita aveva sostenuto un colloquio con lo psicologo, il medico di reparto e con l’assistenza di una mediatrice culturale perché non sapeva esprimersi bene in italiano. Domenica scorsa, 29 aprile, Giorgiu ha tentato una prima volta di ferirsi ed è stato portato in infermeria poi, intorno alle 14.00 quando i suoi compagni di cella erano fuori per l’ora d’aria, si è chiuso in bagno e con la lametta si è reciso la carotide.
Gli agenti di polizia penitenziaria lo hanno trovato in bagno ed hanno tentato di rianimarlo, ma è stato tutto inutile. La morte dell’uomo è stata comunicata al consolato Romeno. A cinque giorni di distanza, tuttavia, il corpo è ancora all’obitorio perché in Italia non si trovano né parenti né familiari. La morte di questo ragazzo colpisce perché è figlia della solitudine - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni -.
Non possiamo imputare nulla, nell’emergenza, agli agenti e al personale del carcere, ma occorre che non si abbassi la guardia sulle problematiche della salute e sulla salute psichiatrica in particolare. Questo è un altro episodio di come vive la popolazione straniera nelle nostre carceri, quasi sempre abbandonata anche dalle proprie istituzioni diplomatiche. Purtroppo gesti di questo genere si ripetono troppo frequentemente. (Ansa, 4 maggio 2007)
Roma: rumeno suicida; colletta detenuti per rimpatrio del corpo
Tornerà a casa, in Romania, la salma di Giorgiu, il detenuto di 31 anni suicidatosi il mese scorso a Rebibbia. I detenuti del carcere romano lanciano una colletta per tentare di esaudire il desiderio della mamma di Giorgiu, giunta in Italia per ritirare gli effetti del figlio.
Il Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni: "La popolazione del carcere di Rebibbia ha deciso di autotassarsi per consentire a questa madre di poter piangere in pace le spoglie di suo figlio. Un gesto di straordinaria sensibilità che dimostra che il carcere è anche luogo di umanità e di rispetto".
Il 29 aprile Giorgiu si era suicidato tagliandosi la carotide con una lametta. Era stato condannato in primo grado per tentato omicidio ed era in attesa dell’appello. Della morte era stato avvisato il consolato romeno che aveva tentato di rintracciare i parenti. In assenza di notizie, Giorgiu è stato poi sepolto con rito ortodosso al Cimitero di Prima Porta.
Ieri alla porta di Rebibbia ha bussato una donna di 55 anni, Veronica, chiedendo di poter riavere gli effetti personali del figlio. A chi l’ha accompagnata la donna ha raccontato di aver saputo della tragedia dalle lettere che spediva al figlio, tornate indietro con la dicitura "Deceduto." Per arrivare in Italia dal villaggio romeno di Suceava (al confine con la Moldavia) la donna ha sostenuto un viaggio in pullman di due giorni e due notti.
La donna ha raccontato anche un’altra tragica notizia: quella di essere rimasta vedova sei mesi fa. Per questo ha espresso il desiderio di vedere il figlio sepolto accanto al padre. Dopo aver ritirato gli effetti Veronica è stata accompagnata a Prima Porta, dove ha pregato sulla tomba del figlio portando via un pugno di terra. Ha quindi dormito in una Casa della Caritas e questa mattina è ripartita per la Romania. E proprio oggi i detenuti hanno deciso di tentare di accontentare la donna, lanciando una colletta cui sono coinvolti i circoli interni, gli agenti e le maestranze del carcere. "La morte di questo ragazzo ha colpito tutti perché figlia della solitudine - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - Un esempio emblematico di come vive la popolazione straniera in carcere, quasi sempre abbandonata anche dalle proprie istituzioni diplomatiche. Oggi la popolazione di Rebibbia ha deciso di autotassarsi per consentire a questa madre di poter piangere in pace le spoglie del figlio. Un gesto di straordinaria sensibilità, che dimostra che il carcere è anche luogo di umanità e di rispetto". (Ansa, 1 giugno 2007)