Dossier: "Morire di carcere"

 

"Morire di carcere": dossier marzo 2004

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose

 

1 omicidio, 5 morti per malattia, 1 sospetta overdose da farmaci, il suicidio di 1 detenuto paraplegico: continua il monitoraggio sulle "morti di carcere" e, nel mese di marzo, registra 8 nuovi casi

 

Nome e cognome

Età

Data morte

Causa morte

Istituto

Francesco Lo Presti

64 anni

1 marzo 2004

Omicidio

Gorgona (Li)

Detenuto marocchino

 

2 marzo 2004

Non accertate

Firenze

Giovanni Santospirito

48 anni

10 marzo 2004

Malattia

Ucciardone (Pa)

Detenuto italiano

 

16 marzo 2004

Malattia

Fossombrone

Michele Rutigliano

42 anni

22 marzo 2004

Malattia

Bari

Angelo Fioretti

44 anni

25 marzo 2004

Malattia

Regina Coeli (RM)

Andrea Mazzariello

50 anni

24 marzo 2004

Suicidio

Opera (Mi)

Rosina Marotta

56 anni

29 marzo 2004

Malattia

Salerno

 

Omicidio: 1 marzo 2004, Carcere della Gorgona (Li)

 

Francesco Lo Presti, 64 anni, viene trovato morto all’interno di una rimessa, in una zona vicino agli orti dell’isola - penitenziario. Presenta una ferita alla testa, che potrebbe essere stata provocata da un attrezzo agricolo. A scoprire il cadavere è un altro detenuto, che avverte immediatamente la polizia penitenziaria. (Repubblica, 1 marzo 2003)

Pietro Pischedda, 38 anni, originario di Oristano, confessa di avere ucciso Francesco Lo Presti colpendolo ripetutamente con un martello alla testa e ferendola anche alla gola con un coltello. Pischedda era detenuto alla Gorgona dal 1998 e doveva scontare una condanna a 24 anni di carcere per omicidio. L’uomo è stato trasferito nel carcere livornese delle Sughere, gli inquirenti ora vogliono capire quale sia stato il movente del delitto. (L’Unione Sarda, 4 marzo 2004)

Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sospende il direttore del carcere della Gorgona, Carlo Mazzerbo, e il comandante degli agenti di polizia penitenziaria Giovanni Fancellu. “Un provvedimento reso necessario affinché non si ripetano più in futuro tali gravissimi episodi”, è stato il commento del Ministro Castelli. Il Comitato Carceri di Montecitorio ha annunciato che anticiperà la visita, già prevista, all’isola della Gorgona. (Corriere della Sera, 3 marzo 2004)

Detenuti impiegati come operatori del terziario: camerieri, ristoratori, cuochi, addetti alle camere d’albergo, giardinieri, in un polo turistico di eccezione per le attrattive paesaggistiche incontaminate, l’isola di Gorgona. È questo il progetto che il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria della Toscana, Massimo De Pascalis, sta per tirare fuori dal cassetto per rilanciare l’esperienza del carcere aperto, avviata a Gorgona anni fa e recentemente offuscata dai due delitti che si sono consumati sull’isola. “Non solo i due delitti non interrompono l’esperienza del carcere aperto - spiega De Pascalis -, ma anzi stiamo pensando di dare una svolta e aprire un nuovo capitolo di questa esperienza. I due omicidi, infatti, chiudono una fase che si trascinava ormai più per forza di inerzia che con energie proprie. Per questo, ora vogliamo fissare nuovi obiettivi, di maggiore qualità. Ciò significa migliorare i processi di recupero e aggiungere ulteriore valore alle attività tradizionali che i detenuti svolgono sull’isola offrendo loro nuove occasioni di occupazione”. (Corriere della Sera, 10 marzo 2004)

 

Morte per cause non chiare: 2 marzo 2004, Carcere di Firenze

 

Detenuto marocchino viene ritrovato senza vita nella sua cella, steso nella branda, piegato di lato, con un rivolo di sangue alla bocca. La prima ipotesi che trapela dal carcere fiorentino è quella secondo cui l’uomo sarebbe morto per un’overdose di farmaci. Franco Corleone, garante dei diritti delle persone ristrette nelle libertà personali nel comune di Firenze, afferma: “È un fatto gravissimo, che mostra ancora di più la situazione critica delle carceri”. (Ansa, 3 marzo 2004)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 10 marzo 2004, Carcere dell’Ucciardone (Pa)

 

Giovanni Santospirito, 48 anni, muore in cella, probabilmente ucciso da un infarto. Un gruppo di detenuti dell’Ucciardone, a seguito della morte di Santospirito, scrive una lettera di protesta ai giornali, per dire basta alle “dure condizioni” carcerarie, definite “ai limiti della vivibilità”, e per denunciare che i soccorsi al loro compagno sarebbero arrivati tardi: “siamo stati noi, insieme con un agente penitenziario a portarlo in infermeria”. Il direttore dell’Ucciardone, Maurizio Veneziano getta acqua sul fuoco: “Nessuna negligenza da parte nostra”, dice. “Il detenuto era affetto da problemi cardiaci, e dal giorno del suo arrivo in carcere è stato sottoposto a ben sette visite mediche, di cui due cardiologiche”. Per quanto riguarda i presunti ritardi sui soccorsi, dice che “saranno i magistrati ad accertarlo”, anche se ritiene che siano stati “veloci”.

Nella lettera-manifesto, inviata anche al Magistrato di Sorveglianza e alle autorità carcerarie, i detenuti dell’Ucciardone denunciano numerose disfunzioni: mancanza di farmaci, l’assenza di un reparto di degenza, ritardi nei colloqui con gli assistenti sociali, l’assenza di una sala-colloqui attrezzata, il cattivo funzionamento di docce e servizi sanitari, i prezzi eccessivi del “sopravitto”.

Veneziano ribatte: “Sappiamo tutti che la spesa sanitaria per i farmaci è stata contenuta, ma gli standard necessari vengono, sempre e comunque, garantiti. Per quanto riguarda la degenza, è vero che nel centro clinico dell’Ucciardone non sono previsti i ricoveri. Nei casi in cui è necessario viene disposto il trasferimento del detenuto, che riceve tutta l’assistenza necessaria. (Il Giornale di Sicilia, 23 marzo 2004)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 16 marzo 2004, Carcere di Fossombrone (Ps)

 

Detenuto italiano, già sofferente per problemi cardiaci, muore stroncato da un infarto. (Corriere Adriatico – Redazione di Pesaro, 24 marzo 2004).

 

Assistenza sanitaria disastrata: 22 marzo 2004, Carcere di Bari

 

Michele Rutigliano, 42 anni, tossicodipendente, viene ritrovato morto nella sua cella. L’uomo era stato al centro di un appello umanitario rivolto dalla famiglia all’amministrazione carceraria, attraverso le pagine dei giornali, perché venisse ricoverato in una struttura adeguata alle condizioni di salute precaria, nelle quali era precipitato improvvisamente, alla fine del mese di gennaio. Rutigliano era detenuto nel penitenziario di Foggia, le sue condizioni erano peggiorate tanto da suscitare l’allarme  e da far correre ai ripari. Anche il parlamentare di Rifondazione comunista e componente della commissione Antimafia Nichi Vendola era intervenuto in difesa del diritto alla salute del detenuto, intervenendo presso il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria: “Il carcere - disse in quell’occasione - ti priva della libertà, ma non della dignità. Non dobbiamo permettere che l’inossidabile burocrazia carceraria divori un’altra vita umana”.  Ma tant’è.

Michele Rutigliano era stato trasferito circa un mese fa da Foggia a Bari; qui, a quanto pare, la situazione detentiva sarebbe migliorata decisamente. Il detenuto era visitato, seguito dal personale dei servizi sociali, insomma, non lasciato più nella condizione di “larva umana” denunciate dalle due sorelle dell’uomo all’inizio del mese di febbraio.

Le donne, raggianti di felicità per l’ultima speranza concessa ad una persona che aveva sbagliato tanto nella vita, avevano preso anche contatto con una comunità terapeutica nel leccese. Ma i loro sogni si sono infranti all’improvviso. Ieri mattina. Il cadavere di Michele è stato trovato nel suo letto, come se dormisse. La salma è stata trasportata al Policlinico di Bari, per tutti gli accertamenti medico - legali. E, contestualmente, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari ha aperto un’inchiesta, coordinata dal sostituto Renato Nitti. Il magistrato ha disposto l’autopsia, che verrà effettuata domani mattina nell’istituto di medicina legale.

Senza parole l’onorevole Vendola, che ha appreso nel pomeriggio la notizia: “Sono sconvolto, una vita è andata perduta e abbiamo perso tutti. Aspettiamo con ansia di conoscere i risultati dell’azione intrapresa dalla magistratura per esprimere un giudizio completo dei fatti che conosciamo in parte.

Certo è che la violenza intrinseca del carcere è stata più forte di qualsiasi impegno messo in campo in favore di Michele, alla cui famiglia io mi stringo in un abbraccio di solidarietà. Fa male sentire che la segnalazione fatta ai massimi livelli dell’amministrazione carceraria non abbia sortito gli effetti che speravamo, e cioè la cura del paziente. Devo concludere, a questo punto, che la vita di un poveraccio non ha proprio nessun valore. E mi auguro, allo stesso tempo, che la giustizia faccia il suo corso fino all’accertamento della verità”. (La Gazzetta del Mezzogiorno, 23 marzo 2004)

 

Suicidio: 24 marzo 2004, carcere di Opera (Mi)

 

Andrea Mazzariello, 50 anni, paraplegico e costretto su una sedia rotelle si impicca usando come cappio il cordone di un accappatoio, che usava come vestaglia. Era in carcere dal 10 febbraio scorso, quando gli era sopraggiunto un definitivo di pena. Vivendo su una sedia a rotelle era stato assegnato al Centro Clinico del Carcere di Opera, ma per motivi ignoti non gli veniva somministrata la morfina, che gli aveva prescritto il suo medico di base prima della carcerazione. Racconta l’avvocato Giuseppe Rapone: “Otto giorni fa sono andato a trovarlo e mi ha raccontato che non gli davano la morfina da quando era stato arrestato, ossia da 42 giorni. La morfina gli era stata prescritta dal suo medico quando era a piede libero, per calmare i dolori lancinanti alla schiena che lo costringevano sulla sedia, per questo si è tolto la vita”.

L’uomo stava scontando una condanna, a 11 anni di reclusione, per violenza sulla propria figlia, per la quale lui si professava innocente e per questo era stata chiesta la revisione del processo. Vista la sua condizione fisica, i suoi difensori di fiducia, Manuela Marcassoli e Giuseppe Rapone, avevano chiesto che fosse trasferito in una struttura sanitaria adeguata. Ma il Tribunale di Sorveglianza non aveva ancora deciso sull’istanza presentata dai legali di Mazzariello che, in relazione ad un altro residuo di pena di quattro mesi, erano invece riusciti ad ottenere un provvedimento che confermava il precario stato di salute, incompatibile con il regime carcerario.

Al termine dell’autopsia, che ha confermato la morte per strangolamento causata dalla cintura, la salma è stata riconosciuta dai genitori. Andrea Pazzariello, nonostante la sua invalidità ha messo a punto il suicidio con una apparente freddezza non comune: ha legato la cintura dell’accappatoio alle inferriate della finestra, l’altro capo lo ha stretto al collo e quindi ha spinto la sedia a rotelle, facendola ribaltare. (Avvenire 27 marzo 2004)

 

Il detenuto ridotto a fascicolo, di Patrizio Gonnella (Associazione Antigone)

 

Un paraplegico che si impicca in carcere dovrebbe fare notizia, dovrebbe indignare l’opinione pubblica, dovrebbe far scattare una inchiesta sulle responsabilità di chi non lo ha curato e non lo ha scarcerato. Un uomo costretto alla sedia a rotelle, e chiuso in galera, pone una quantità di domande. Come ha fatto a impiccarsi? Perché non era assistito o piantonato? Come mai era in carcere? Perché non era in ospedale o a casa? Come mai la Magistratura di Sorveglianza non ha deciso più rapidamente se sospendergli la pena? A chi può far paura un invalido totale?

Se il sistema penitenziario non riesce a trattare i casi limite, ci si può immaginare cosa farà della vita di coloro che possono essere (mal) trattati senza troppe delicatezze, in quanto sani, immigrati, tossicodipendenti. La vita nelle galere italiane è sempre più difficile. Le carceri sono sprofondate, dopo il dibattito estenuante sulla clemenza che ha partorito il ben poco efficace indultino, in una opacità pericolosa. In una situazione di sovraffollamento grave - 55 mila detenuti per 42 mila posti letto - la condizione di salute psicofisica del singolo detenuto viene completamente dimenticata. Non vi è più traccia del trattamento individualizzato, non ci si può più occupare di uno solo, le pratiche sono troppe, i detenuti diventano fascicoli. La magistratura di sorveglianza, per difetto di interesse e per eccesso di lavoro burocratizzato, ha rimosso la questione dei diritti fondamentali. Per cui può accadere che un detenuto cinquantenne, malato grave, rinchiuso indebitamente in un centro clinico dell’amministrazione penitenziaria, non se la senta più di attendere un piccolo atto di giustizia che gli consentirebbe di andarsi a curare fuori dal carcere, e decida di ammazzarsi. (Il Manifesto, 27 marzo 2004)

 

Augusto Battaglia e Luigi Giacco (DS) interrogano i ministri Castelli e Sirchia

 

“Il 24 marzo 2004 nel carcere di Opera - Milano si è tolto la vita un detenuto paraplegico costretto su una sedia a rotelle, Andrea Mazzariello”. Inizia così l’interrogazione che i parlamentari Augusto Battaglia, Capogruppo DS in Commissione Affari Sociali, e Luigi Giacco, Responsabile Nazionale DS Area Disabili, hanno presentato ai Ministri Castelli e Sirchia.

“Da informazioni assunte dalla stampa, il Mazzariello, pochi giorni prima, aveva manifestato al suo legale la sua disperazione per l’abbandono in una cella e per non essere curato adeguatamente per la malattia di cui soffriva, una stenosi del canale midollare che gli procurava forti dolori. Non gli veniva somministrata la morfina e cercavano di sostituirla con altri farmaci contro il dolore, che gli provocavano ulteriori forti sofferenze. Il Mazzariello, prima di rientrare in carcere per la condanna definitiva, aveva chiesto gli arresti domiciliari per motivi di salute, ma gli erano stati negati. Quando il Mazzariello già si trovava  ad Opera aveva presentato, tramite i suoi avvocati, un’istanza di differimento della pena per motivi di salute”.

Illustrando il caso, i Parlamentari Diessini, chiedono ai Ministri di conoscere “se i fatti corrispondono al vero e se sono state avviate le indagini amministrative e giudiziarie sul caso; se le autorità erano a conoscenza del disagio psicologico con una conseguente depressione acuta e se erano state avviate tutte le procedure di precauzione per prevenire l’atto suicidale e per quale motivo il detenuto non era stato trasferito in ricovero esterno”. Infine Battaglia e Giacco chiedono di sapere “quanti sono i detenuti in condizione di disabilità ed in quali condizioni vengano garantiti i trattamenti necessari per la loro salute.”

“È incredibile che un disabile grave fosse tenuto in certe situazioni all’interno di un carcere,” - dichiarano in conclusione i parlamentari - e qui sorgono dei forti dubbi sulle condizioni dei detenuti e sulle responsabilità del caso e i Ministri ci dovranno spiegare se il diritto alla salute e alla vita in carcere sono realtà o sono diventati dei diritti invisibili”. (Ufficio Stampa dell’On. Luigi Giacco, 31 marzo 2004)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 25 marzo 2004, Carcere di Regina Coeli (Roma)

 

Angelo Fioretti, 44 anni, sofferente da tempo di una grave patologia cardiaca, muore in cella. Era stato arrestato il 28 novembre 2003: il Gip dispone che deve restare in carcere, nonostante la malattia. Solo nel marzo 2004 viene in ospedale e operato. Cinque giorni dopo l’operazione, avvenuta il 18 marzo, il Gip dispone il suo rientro al carcere. Il 25 marzo Angelo Fioretti muore. (Liberazione, 6 aprile 2004)

 

Assistenza sanitaria disastrata: 29 marzo 2004, Carcere di Salerno

 

Rosina Marotta, 56 anni, durante la notte ha un malore e viene trasportata d’urgenza al Pronto soccorso dell’ospedale “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona”, ma quando vi arriva, dopo l’una e 45, è già morta. Morte per arresto cardiocircolatorio (probabile infarto), si legge nel primo referto, ma sarà l’autopsia a stabilire le cause del decesso della donna, arrestata il mese scorso con l’accusa di detenzione di cocaina. Il magistrato di turno, il dottor Lo Mastro, ha ordinato il sequestro del cadavere ed aperto un fascicolo d’inchiesta. Per il momento non ci sono iscrizioni nel registro degli indagati: il medico legale, incaricato dalla Procura, dovrà verificare attraverso l’autopsia cosa abbia condotto alla morte la detenuta, mentre un’altra indagine interna al carcere di Fuorni dovrà stabilire l’esatta dinamica dei fatti e se l’assistenza prestata alla Marotta sia stata conforme al suo stato di salute.

Dell’accaduto sono stati informati i familiari della donna ed il suo avvocato di fiducia, il penalista salernitano Massimo Ancarola. Lo stesso legale che qualche settimana fa aveva presentato ai giudici del locale Tribunale del Riesame una richiesta di concessione dei domiciliari alla propria assistita, finita in carcere alla fine del febbraio scorso con l’accusa di detenzione di sostanze stupefacenti. L’avvocato aveva allegato al suo ricorso una serie di documenti (per lo più certificati medici) che riguardavano anche lo stato di salute della detenuta che da tempo soffriva di patologie ipertensive. I giudici, però, non accolsero l’istanza del legale, ritenendo ancora sussistenti le ragioni cautelari messe a base dell’ordinanza di arresto chiesta dal PM Cassaniello e convalidata dal GIP. Così la Marotta era rimasta in cella e, probabilmente, nessuno poteva prevedere che le sue condizioni si potessero aggravare a tal punto da arrivare all’improvviso decesso. (La Città di Salerno, 30 marzo 2004)

 

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