Per
mantenere alto il livello d'attenzione sulle morti in carcere
Suicidi,
assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, overdose
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Attivare
un monitoraggio permanente sulle morti in carcere (per suicidio, malattia e
"altre cause") anche avvalendosi delle informazioni raccolte dalle
associazioni di volontariato e dai giornali carcerari, in modo da dare al
carcere quella "trasparenza" che gli organi istituzionali non
sembrano voler concedere di propria iniziativa. |
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Raccogliere
notizie su eventuali progetti per la prevenzione dei suicidi e degli
autolesionismi in ambito penitenziario, per quanto possibile verificare come
vengono attuati e quali risultati conseguono. In particolare, va accertato
in quali Istituti è attivo il "Presidio Nuovi Giunti" e se, alla
presenza di questo servizio, corrisponde un’effettiva diminuzione dei casi
di suicidio e autolesionismo (cfr. con Istituti dello stesso tipo, dove
però il Presidio Nuovi Giunti non esiste). |
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Far
circolare costantemente tutte le notizie raccolte, commentarle, passarle ai
giornali, locali e nazionali, stimolandoli a diffonderle e ad interessarsi
maggiormente ai problemi del carcere proprio a partire da queste situazioni
di estremo disagio. |
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Promuovere
momenti di confronto e dibattito sull’argomento, coinvolgendo anche
rappresentati politici e degli enti locali, operatori dell’amministrazione
penitenziaria, delle Asl, etc. |
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Riproporre
il tema più generale della tutela della salute in carcere, in particolare
chiedendo un resoconto della sperimentazione sul passaggio di competenze
alle Asl, ma anche dell’attività degli operatori sanitari su fronti
critici come quello della dipendenza da droghe, alcool e farmaci in carcere,
della malattia mentale, dell’HIV. |
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Spesso
gli psicofarmaci sono usati per tenere sotto controllo "l’esuberanza"
dei detenuti (quindi per mantenere la disciplina negli istituti), anziché
come strumenti terapeutici per il trattamento di specifiche malattie.
Sarebbe opportuno realizzare delle inchieste sul loro utilizzo: sui tipi
di farmaci e sui dosaggi somministrati, su quello che succede alle persone
che escono dal carcere e si ritrovano, dall’oggi al domani, senza
"terapia", etc.
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Negli
O.P.G. e nei Centri Clinici Penitenziari, dopo il taglio dei fondi
disposto dal Ministero, quale livello di cure può essere ancora
garantito?
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Il
Ser.T. si sta occupando (a pieno titolo e ormai da due anni), dei
tossicodipendenti detenuti: la qualità dei servizi forniti è cambiata?
Se è cambiata, com’è cambiata?
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La
presenza, sempre più numerosa, di detenuti stranieri, richiederebbe la
predisposizione di interventi appropriati: educazione sanitaria,
mediazione socio-culturale, etc.. Ci sono iniziative al riguardo? Per l’assistenza
agli stranieri gravemente ammalati, o invalidi, o tossicodipendenti,
esistono degli accordi, delle convenzioni, o almeno delle prassi operative
che ne consentono il ricovero all’esterno del carcere, anche dopo il
fine pena (come previsto dalle disposizioni in materia sanitaria contenute
nel Testo Unico sull’Immigrazione)?
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Verificare
la possibilità di stipulare convenzioni con l’amministrazione
penitenziaria per consentire l’accesso negli istituti di pena a operatori
sanitari volontari (medici e infermieri), che affianchino il personale
medico in servizio. Potrebbero occuparsi, per cominciare, di progetti di
prevenzione, oggi praticamente inesistenti, di assistenza ai malati cronici,
di riabilitazione da malattie invalidanti e da dipendenze. |
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Per
invio materiali e informazioni
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E-mail: redazione@ristretti.it |
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