Delibera del Senato

 

Senato Della Repubblica - XIV Legislatura
184ª Seduta Pubblica - Mercoledì 5 Giugno 2002


Presidenza del vice presidente Fisichella, indi del vice presidente Calderoli
Malabarba, Sodano, Malentacchi, Togni, Battaglia Giovanni, Battisti, Boco, Calvi, Flammia, Gaglione, Liguori, Longhi,  Passigli, Ripamonti, Zancan

 

Il Senato, premesso che

 

secondo quanto emerge dall'ultima inchiesta dell'Associazione Antigone sulle carceri italiane al 31 marzo 2002 erano detenute nelle carceri italiane 57.100 persone, mentre solo tre mesi prima erano detenute 55.275 persone;

dal maggio 2001 la popolazione detenuta ha scalato stabilmente il gradino dei 55.000 a detenuti, dopo qualche mese è scesa a quota 54.000 mentre per l'anno 2000 la popolazione detenuta si è aggirata intorno alle 53.000 unità;

per ritrovare dimensioni maggiori nelle presenze in carcere in Italia bisogna risalire fino agli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale;

i condannati definitivi costituiscono il 55,25% della popolazione detenuta. Il 2,30% è soggetto a misura di internamento, mentre il restante 42,45% è in attesa di giudizio. Caratteristica tipica del sistema penale italiano è questa grande incidenza della detenzione in attesa del processo;

nel rilevamento dell'Amministrazione penitenziaria del 31 dicembre 2001, relativo ai reati ascritti alla popolazione detenuta, la principale ragione di detenzione risultava essere la violazione delle norme contro il patrimonio che incideva nella misura del 25,13% sul totale dei reati ascritti alla popolazione detenuta. Seguono la violazione delle norme del testo unico sulle sostanze stupefacenti (20,91% sul totale dei reati ascritti) e la violazione delle norme a tutela dell'ordine pubblico (14,99% sul totale dei reati ascritti). Infine, i reati contro la persona ricorrono per una incidenza del 13,97% sul totale dei reati ascritti;

tra i condannati definitivi, al 1º luglio 2001 il 31,46% del totale risultava condannato a una pena uguale o inferiore a tre anni nonostante il residuo pena inferiore ai tre anni costituisca la precondizione generale per accedere alla più diffusa delle alternative al carcere, l'affidamento in prova al servizio sociale;

le caratteristiche socio-anagrafiche extra-giuridiche della popolazione detenuta evidenziano come il carcere sia oramai contenitore di marginalità sociali. I detenuti extracomunitari, insieme ai detenuti provenienti da sole quattro regioni del sud di Italia costituiscono il 75% della popolazione detenuta. I tossicodipendenti sono oramai oltre il 25%;

si legge nella ricerca effettuata dall'associazione "A Buon Diritto. Associazione per le libertà", pubblicata dal quotidiano "la Repubblica" in data 20 maggio 2002, che in carcere ci si suicida ben 19 volte in più che all'esterno; si sono verificati 70 suicidi nel 2001 e 65 nel 2000, oltre 6.000 sono gli atti di autolesionismo. Si legge sempre nella ricerca che "contrariamente a ciò che vorrebbe un diffuso luogo comune, non è affatto vero in genere che più si è disperati più ci si suicida. Non è così, come documentano tutte le ricerche in materia: tra i malati gravi, quelli irreversibili e quelli terminali, la percentuale di suicidi è assai ridotta e, più spesso, pressoché irrisoria. E su un altro piano, nei paesi dove è in vigore la pena capitale, il fenomeno dei suicidi tra i condannati a morte non ha alcuna rilevanza statistica". In carcere invece ci si suicida molto di più che in qualsiasi altro contesto;

in base ai dati che emergono dalla ricerca si legge che:

  1.  

  2. si uccide chi conosce il proprio destino e ne teme l'ineluttabilità;

  3. si ammazza, in misura appena meno rilevante, chi non ha la minima idea del proprio destino e ne teme l'imprevedibilità. Dunque il maggior numero di suicidi si concentra tra i detenuti che scontano condanne
    definitive (57) e tra coloro che si trovano in custodia cautelare, in attesa di rinvio a giudizio o, se rinviati, in attesa della sentenza di primo grado (48). Questi ultimi, pertanto, sono sotto tutti i profili presunti innocenti, all'atto del suicidio. Si può dire, allora, che tra i "nuovi giunti" il rischio di suicidio è particolarmente elevato. Se consideriamo la durata della permanenza in carcere precedente il suicidio, troviamo che quasi il 55% dei detenuti si toglie la vita nei primi 6 mesi di reclusione e quasi il 64% nel corso del primo anno. E ancora: sul complesso dei suicidi avvenuti in carcere negli ultimi due anni, una percentuale significativa riguarda detenuti per reati legati alla tossicodipendenza; un certo numero di suicidi (circa un quinto) riguarda persone recluse per reati di ridotto rilievo penale e sociale (ricettazione e concorso in ricettazione, rissa aggravata, danneggiamenti, diserzione, maltrattamenti in famiglia, furto, guida senza patente, evasione fiscale, inosservanza degli obblighi di pubblica sicurezza, eccetera); e appena più di un terzo dei suicidi riguarda detenuti per reati di particolare allarme sociale (omicidio, tentato omicidio, rapina aggravata, associazione mafiosa, stupro e violenza sessuale, eccetera);

 

si legge nel Rapporto di Antigone 2002 che molte sono le inchieste in corso per episodi di aggressioni e violenze all'interno delle carceri. Fra le più rilevanti quelle che riguardano le carceri di Sassari (inchiesta che ha coinvolto oltre 80 agenti e funzionari), Bolzano (episodio della cosiddetta cella "x"), Potenza (suicidio di un detenuto che aveva denunciato alcuni agenti di violenze ripetute);

il Governo italiano non ha mai dato consenso alla pubblicazione del rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura relativamente alla visita ispettiva del febbraio del 2000, nonostante le reiterate richieste provenienti dal Consiglio di Europa;

fra il 1999 e il 2000 sono state approvate una serie di leggi che hanno riguardato il carcere: la riforma della sanità penitenziaria, la legge sul lavoro penitenziario, la legge sulle detenute madri, il nuovo regolamento di esecuzione. Il complesso di queste norme era diretto a umanizzare le condizioni di detenzione. Purtroppo molte di queste norme sono ancora inattuate. In particolare per quanto riguarda il regolamento di esecuzione entrato in vigore il 20 settembre del 2000 che prevedeva fra l'altro modifiche strutturali dirette a aumentare gli standard di qualità di vita interna (celle areate, docce in cella, bidet per le donne, asili nido per i bambini, luce naturale, una cucina per ogni 200 detenuti), in molte carceri non sono neanche iniziati i lavori di adeguamento e per quanto concerne la sanità l'avvenuto passaggio della medicina penitenziaria al Servizio sanitario nazionale non è al momento stato completato, mentre molti sono gli episodi segnalati di malasanità.

 

Il carcere deve per mandato costituzionale tendere
alla rieducazione del condannato, impegna il Governo

 

a dare piena attuazione a quanto previsto nella legge 193/2000 sul lavoro in carcere, nel decreto legislativo n. 230/99 sulla sanità penitenziaria, nella legge 8 marzo del 2001, n. 40, intitolata "Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori", nel decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30/06/2000, "Nuovo regolamento di esecuzione";

ad attivare meccanismi di formazione e sensibilizzazione del personale di polizia penitenziaria sulle tematiche dei diritti umani che possano essere di contrasto a comportamenti violenti o indifferenti;

ad incentivare le attività di trattamento e aumentare il numero degli operatori dell'area pedagogica;

a favorire il rapporto fra istituzioni penali e enti locali territoriali e accrescere il numero di volontari in carcere;

ad aumentare il numero delle ore di aria e di socialità in carcere;

ad intraprendere ogni iniziativa utile perché l'isolamento sia utilizzato in casi assolutamente eccezionali;

a sostenere le politiche di decarcerizzazione e di accesso alle misure alternative;

a dare il consenso alla pubblicazione del rapporto del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura relativamente alla visita ispettiva del febbraio del 2000.

 

 

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