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Il detenuto picchiato chiede il trasferimento Anche il magistrato ritiene che qualcuno abbia esagerato Il consigliere regionale dei Verdi Bettin visita il Due Palazzi: «E' troppo affollato»
Il Mattino di Padova, 10 novembre 2001
Il detenuto Cono Garone, 33 anni, di Salerno, dopo l'episodio, ha chiesto di essere trasferito in un altro istituto. Probabilmente la sua richiesta sarà accolta. In casi del genere, l'attrito tra il detenuto e le guardie carcerarie può innescare meccanismi di ripicche e vendette incrociate che minerebbero l'equilibrio dell'istituto di pena. Il
suo legale, Marco Crimi, non ha dubbi: «Ha un occhio nero, dei segni addosso
vistosi, è stato malmenato in modo sistematico. Intendo procedere nei confronti
dei responsabili». «Il problema è che l'istituzione carcere, in Italia, sta diventando una sorta di discarica di tensioni sociali che non si riescono ad affrontare», aggiunge il consigliere regionale dei Verdi. «La struttura padovana è un'ottima struttura, migliore di molte altre. Abbiamo visitato i nuovi capannoni in cui i detenuti possono lavorare, iniziare un percorso di recupero. Eppure qui a Padova c'è il doppio dei detenuti che dovrebbero essere ospitati. Ce ne sono 700, troppi. E, come se non bastasse, le guardie carcerarie sono poche, meno di quelle che servirebbero per affrontare senza ulteriori difficoltà un mestiere che è già di per sé molto difficile» continua Bettin. «L'episodio di violenza accaduto lunedì sarà valutato dalla magistratura, e ci auguriamo che rimanga un episodio. Tuttavia non possiamo che pensare alla depenalizzazione di alcuni reati, penso soprattutto a quelli legati alle droghe e all'immigrazione. Credo che anche le guardie carcerarie siano d'accordo. Non possiamo inasprire le pene e aprire nuovi carceri come fossero supermercati».
Un primo commento fatto in redazione
Il Direttore della Casa di Reclusione, a proposito del pestaggio di Cono Garone, ci ha detto: “C’è un’inchiesta aperta dal Magistrato di Sorveglianza, che deve accertare i fatti. Mi preme però dire che questo episodio non appartiene alla “storia” di questo carcere”. E’ vero, diciamo noi, a Padova fatti così non ne succedono spesso, il clima non è di questo tipo, si tratta di un carcere definito “vivibile”, ma che un pestaggio sia avvenuto anche qui significa che, comunque, la violenza è latente dentro il carcere, e per non cadere in questa “trappola” di reagire violentemente e non controllare i propri comportamenti, a volte un detenuto deve fare veri e propri “contorsionismi” mentali. Ma questo fatto significa anche che non si deve avere la tentazione di tacere e non scandalizzarsi, perché “tanto, qui si sta meglio che altrove”. Tutto è successo al Casellario, un luogo dove si va a ritirare i pacchi dall’esterno: un luogo dove, in qualche modo, viene esercitato un forte potere, quello dell’agente di proibire o permettere al detenuto di ricevere delle cose da fuori. O meglio, non essendoci spesso regole chiare e, se ci sono, non essendo messe a conoscenza dei detenuti, si tratta di un potere più sottile, di decidere se un paio di scarpe, una giacca, un walkman sono “regolamentari” o no. Di fronte a rifiuti non sempre comprensibili, a tensioni, al fastidio di dipendere come bambini da un sì o da un no a volte del tutto casuali, ci sono detenuti che, dopo anni di galera, si sono costruiti un modello di comportamento e di sopportazione “stoico”, ma ce ne sono che non sanno come sopravvivere al carcere e ai suoi piccoli assurdi senza farsi troppo male. Meglio, allora, che ci siano regole certe e “rifiuti” altrettanto certi e documentati: un pezzo di carta che ti dica che quella merce non la puoi avere perché non ha quelle particolari caratteristiche è almeno una forma di tutela dai rifiuti “gratuiti” e vessatori. Detto questo, per spiegare che il carcere è prima di tutto un luogo che logora il corpo e la mente, non ci dimentichiamo però che, a partire da un paio di scarpe, una persona è stata pestata. Proprio a Padova? Sì, proprio a Padova, e proprio in un carcere ritenuto tra quelli più “decenti”. Qualcuno immagina allora cosa può succedere in quelli, tanti, definiti “indecenti”?
Ornella Favero e Paola Soligon
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