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L’Unità,
11 gennaio 2003 L’hanno trovato vicino all’ovile, il cranio fracassato sotto i colpi di un’ascia e forse anche di altri oggetti contundenti, con ogni probabilità una roncola o ulteriori oggetti da lavoro. Vincenzo Martino Zoroddu, 54 anni, è stato ucciso barbaramente sull’isola-carcere di Gorgona, dov’era detenuto da circa otto mesi. Indagini e ricerche sono subito scattate, coordinate dal nucleo dei carabinieri sotto la direzione del sostituto procuratore di Livorno Roberto Pennisi. La scoperta del cadavere è avvenuta nella tarda serata di venerdì, ma la notizia è trapelata da Gorgona soltanto ieri. Il primo interrogativo, oltre a quello, più generale e più importante, sull’identità dell’omicida, riguarda dunque l’ora del delitto. Tutto si è svolto durante l’orario di lavoro dei detenuti, e quindi nessuno si sarebbe accorto, al momento del rientro all’interno della sezione penale dove trascorrono la notte, dell’assenza dello Zoroddu? Oppure la vittima godeva di una particolare deroga sull’ora del rientro nel carcere vero e proprio perché doveva assolvere a compiti ben specifici che rendevano necessaria la sua permanenza nella zona dove vengono allevate capre e pecore più a lungo rispetto agli altri? È solo la prima di una lunga serie di domande, che è naturale porsi nel giorno in cui la quiete dell’isoletta separata da Livorno da un braccio di mare strettissimo, un’ora appena di navigazione in traghetto o in motovedetta, viene sconvolta da un fatto di sangue di cui non si ha memoria. È un carcere particolare, quello di Gorgona. Un penitenziario “aperto”, per i suoi aspetti morfologici e per le caratteristiche delle attività che vi si svolgono: a Gorgona, nelle ore del giorno, i detenuti lavorano nei campi, oppure seguendo pecore, capre e galline. Producono pane e formaggi, curano un allevamento di pesce che è balzato più volte agli onori delle cronache come esempio di lavoro “di qualità” offerto dal contesto in cui s’inserisce il carcere. Che attualmente conta meno di cento detenuti (nei periodi di maggiore affollamento si è arrivati a 130 unità), quasi tutti definiti “a bassa pericolosità sociale”, Gorgona è un autentico laboratorio, in tema di amministrazione penitenziaria. O forse uno dei pochi che applica lo spirito della Costituzione, in tema di reinserimento dei detenuti. Carlo Mazzerbo, un catanese di 46 anni, guida il carcere da oltre dieci anni, durante i quali si è costruito la fama, per niente immotivata, di direttore “progressista” ed ha allacciato rapporti assai stretti con la città (è l’unica isola dell’arcipelago toscano che fa parte del territorio del Comune di Livorno), che hanno fruttato l’apertura di una ludoteca per i figli degli agenti di polizia penitenziaria e una serie di iniziative tese a rendere Gorgona meno lontana dalla terraferma. La più curiosa di queste è forse la realizzazione del “Tg galeotto”, una serie di trasmissioni televisive nate e costruite dentro il carcere nell’ambito di un progetto dell’Arci di Livorno. Un telegiornale tutto speciale, che durante il suo ciclo ha raccontato lo scorrere della vita sull’isola. E che se andasse in onda in questi giorni non avrebbe potuto fare a meno di “aprire” con la notizia di quest’omicidio, ancora totalmente avvolto nel mistero. Omicidio in carcere: gli assassini di Zoroddu sono due detenuti sardi
L’Unione Sarda, 20 gennaio 2004
Risolto il giallo dell’omicidio di Martino Zoroddu, il detenuto di Nule ucciso a colpi di roncola il dieci gennaio scorso nella colonia penale di Gorgona. I responsabili, secondo i carabinieri, sono due sardi: Francesco Corrias, nuorese di trent’anni, e Gianni Cabitta, oristanese, di 27, anche loro reclusi nell’isola dell’arcipelago toscano. Sul movente, da chiarire ancora con esattezza, gli investigatori mantengono il riserbo. Avrebbe comunque giocato un ruolo importante il carattere spigoloso della vittima. Il litigio sarebbe scoppiato per questioni legate alla pastorizia. Zoroddu infatti, come tanti altri detenuti, si occupava di allevamento. Nei confronti di Francesco Corrias e di Gianni Cabitta non sarebbe stata ancora emessa alcuna ordinanza di custodia cautelare. È possibile che il provvedimento venga richiesto formalmente nelle prossime ore al gip dal Pm titolare dell’inchiesta. Corrias sconta una condanna a sedici anni per l’omicidio di Mario Massaiu, commesso sei anni fa ad Oliena. Cabitta invece è stato condannato ad otto anni di reclusione per una violenza sessuale di gruppo su un giovane omosessuale.
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