A cura del Coordinamento "Liberiamoci dal carcere" di Napoli  

Da Sassari a Poggioreale... o viceversa?  

 

Il 3 aprile del 2000 un gruppo di agenti reclutati nelle carceri sarde entra nell’istituto di Sassari per eseguire una perquisizione straordinaria e trasferire una ventina di detenuti. 

 

Il 3 maggio del 2000 i magistrati di Sassari emettono 82 ordini di custodia cautelare contro 79 guardie, il Provveditore delle carceri della Sardegna, la direttrice e il comandante di Sassari. Scoppia il caso Sassari. Le polemiche scoppiate in seguito alle prime rivelazioni sui fatti di violenza investe  l’amministrazione penitenziaria, e soprattutto il corpo di polizia che governa le carceri. I racconti dei calci in faccia con gli anfibi, delle secchiate di acqua gelida, delle umiliazioni dei denudamenti e delle perquisizioni anali fanno il giro delle redazioni di giornali e televisioni. Si scopre la vergogna del carcere italiano, per tanti anni rimasto silente e nascosto.

Il 7 maggio la violenta reazione dei sindacati della polizia penitenziaria prende corpo nella prima manifestazione nazionale di protesta contro gli arresti operati dalla magistratura sarda. La piazza scelta è quella di Napoli; lo scenario le mura del carcere di Poggioreale. Perché proprio Napoli?  Perché per protestare contro 82 arresti avvenuti a Sassari si decide di indire una manifestazione di protesta fuori al carcere di Poggioreale? Perché il provveditore delle carceri della Sardegna, campano, per effettuare l’operazione di Sassari fa trasferire da Benevento il suo ex capo delle guardie?  E chi ha autorizzato il trasferimento dell’uomo duro che ha gestito lo sfollamento?

Il 19 maggio, dopo che il Governo ha risposto ai fatti di Sassari con un l’aumento degli organici della polizia penitenziaria e l’apertura di nuove prigioni, i centri sociali napoletani organizzano una manifestazione di solidarietà ai detenuti fuori al carcere di Poggioreale. Il "popolo dei dannati della terra" risponde con  una battitura delle stoviglie sulle sbarre che dura fino a tarda notte: è la prima iniziativa di protesta che parte da un carcere italiano. I detenuti chiedono che sia messo fine al clima di violenza e di intimidazione che impera nel penitenziario, mostrano cosa significa vivere 17 persone in una cella, chiedono assistenza medica, condizioni di vita dignitose. La storia della lotta dei detenuti per l’indulto e l’amnistia comincia da qui, dalla denuncia degli orrori del modello della massima deterrenza che è Poggioreale.     

 

Cosa rappresenta nel sistema penitenziario italiano di oggi il "modello Poggioreale"? Qual’è la classe dirigente che ha costruito questo modello, quale il ruolo che essa occupa nelle architetture del potere penitenziario e il mandato politico a cui obbedisce? Cosa accadrà nelle nostre prigioni quando l’operazione indulto/amnistia sarà conclusa? 

Dopo un decennio di emergenze criminali, di campagne di allarme e ideologie della sicurezza, di tolleranze zero e criminalizzazione della miseria, oggi scopriamo l’indecenza di un sistema carcerario rimasto troppo a lungo nascosto e silente. Napoli, e il suo carcere, hanno costituito probabilmente un importante laboratorio di sperimentazione delle forme del sorvegliare e punire negli scenari della crisi sociale contemporanea.

Alcune delle trasformazioni che hanno investito il carcere italiano in questo tempo   sono senza dubbio passate da questa città. Lavorando alla cronologia che vi proponiamo siamo partiti dai fatti di Sassari, per approdare, inevitabilmente,  a Poggioreale. Proprio quando credevamo di aver individuato un percorso, ci siamo resi conto che si trattava di un tragitto a doppia corsia di scorrimento: da Sassari a Poggioreale, e viceversa.

      

Buona lettura.

 

Napoli, 30 giugno 2000

 

Da Sassari a Poggioreale, o viceversa?

Cronaca di un pestaggio annunciato

 

 

Date

 

 

Fatti

 

Informazioni

16.1.2000

Rivolta nel carcere di Parma. Sette detenuti sequestrano per sei ore un agente e chiedono il trasferimento in altre strutture. I rivoltosi denunciano le pesanti condizioni di vita cui sono costretti i reclusi nel penitenziario emiliano. Polemica tra gli agenti di polizia penitenziaria e  le altre forze di polizia perla mancata comunicazione da parte delle autorità carcerarie a carabinieri e questura del tentativo di sommossa. “In realtà il merito è tutto nostro”, hanno detto due sindacati autonomi di polizia penitenziaria.

     In città si svolgono una serie di manifestazioni di solidarietà con le proteste interne al carcere seguite nei giorni successivi alla rivolta.

La  dichiarazione con cui i sindacati della polizia penitenziaria di Parma hanno rivendicato il pieno merito della soluzione della rivolta esprime un elemento importante della cultura professionale di questo corpo di polizia, tradizionalmente prigioniero di una sindrome di deprivazione relativa che nasce dal confronto con le altre forze di polizia.
     Il Corpo di Polizia Penitenziaria, nella sua sistemazione attuale, nasce con la legge 395 del 15.12.1990, dalle ceneri del Corpo degli Agenti di Custodia e quello delle Vigilatrici Penitenziarie.   

     Con questa legge il Corpo viene chiamato a far parte delle forze di Polizia ed assume nuovi compiti, quali quelli delle traduzioni dei detenuti ed internati ed il servizio di piantonamento dei detenuti ed internati ricoverati in luoghi esterni di cura, rendendosi in questo modo operativo anche all'esterno degli istituti penitenziari.

     La crescita esponenziale del peso (quantitativo e funzionale) dei poliziotti penitenziari ha inizia proprio a partire da questa legge. In poco più di dieci anni passano da 28.000  a 44.000 unità; conquistano un  assetto gerarchico che prevede circa 12 passaggi di carriera; all’ombra delle emergenze criminali di questi anni, ispirano diverse leggine di riassetto delle carriere che hanno di fatto comportato un generale processo di mobilità verticale, che ha fatto slittare verso l’alto la gran parte della massa dei poliziotti, senza alcuna forma di selezione e qualificazione professionale; hanno ottenuto recentemente l’istituzione di un proprio ruolo dirigenziale, che li sottrae di fatto al rapporto gerarchico con la dirigenza ‘civile’ del personale penitenziario.

22.1.2000

    Muore nel carcere di Nuoro Luigi Acquaviva, un detenuto che qualche giorno prima era stato protagonista di una protesta in cui aveva tenuto in ostaggio per 4 ore un agente di polizia penitenziaria. La versione ufficiale delle autorità penitenziarie parla di suicidio. I familiari di Acquaviva contestano la ricostruzione dei fatti proposta dalla direzione del carcere.  Tre agenti di Polizia penitenziaria indagati per lesioni e uno per omissione di soccorso.

     Nei giorni successivi a questo episodio  c’è stato uno sfollamento dal carcere di Nuoro;  alcuni detenuti sono stati trasferiti anche a Sassari.

19.3.2000

     Una delegazione di parlamentari visita il carcere di Sassari.

 

20.3.2000

   Il Provveditore per la Sardegna Giuseppe Della Vecchia relaziona al Dap sui risultati della visita dei parlamentari nel carcere di Sassari. Il funzionario descrive le gravi disfunzioni, la sporcizia ed il disordine in cui versa la struttura. Della Vecchia propone la sostituzione del comandante delle guardie, descritto come persona troppo morbida e demotivata, con Ettore Tomassi, un sottufficiale proveniente dal carcere di Benevento. L’Ufficio centrale del personale accoglie immediatamente la proposta.

     Ettore Tomassi

      Ettore Tomassi è stato per molti anni comandante delle guardie carcerarie nel carcere di Benevento, diretto per lungo tempo proprio da Della Vecchia. Tomassi  ha iniziato la sua carriera nel carcere di Poggioreale. (citare gli articoli di giornale).

21.3.2000

     Il sindacato dei direttori penitenziari (Sidipe) indice uno sciopero dei responsabili degli istituti. Previsto il blocco totale delle carceri per il 28 e 29 marzo. Al centro della protesta un decreto del Consiglio dei Ministri in cui si riconosce ai direttori la qualifica di dirigenti della Pubblica Amministrazione, previo il superamento di un concorso. I direttori chiedono al Governo l’inquadramento senza sostenere alcuna prova selettiva. Il segretario nazionale del Sidipe dichiara: “Noi non vogliamo danneggiare i detenuti, ma purtroppo non abbiamo scelt”.

     Guerra tra corporazioni

      All’origine del malumore dei dirigenti vi è la ennesima riforma del corpo di polizia penitenziaria, promossa dall’ex Ministro Diliberto, che ha concesso agli agenti una propria autonoma carriera dirigenziale. Si tratta della istituzione del ruolo ordinario e speciale dei dirigenti della polizia penitenziaria che dovrebbero assumere la responsabilità della direzione delle aree della sicurezza interne agli istituti (praticamente il controllo autarchico dei regimi disciplinari, dell’ordine e della sicurezza). I direttori penitenziari, attualmente titolari di un potere di comando assoluto su tutti gli aspetti della vita carceraria (dalla gestione dei detenuti a quella del personale, passando per l’amministrazione e la gestione economica), hanno opposto una strenua resistenza a queste trasformazioni degli assetti gerarchici del carcere. Ma ciò che essi veramente temono è la nascita di una nuova classe dirigente, non proveniente dai loro ruoli, che entrerà inevitabilmente in concorrenza negli sviluppi di carriera verso gli uffici centrali del ministero.

     I direttori si aspettavano un provvedimento che riconoscesse alla quasi totalità delle sedi penitenziarie lo status di “sede di prima dirigenza”, cioè l’opportunità di entrare da subito e tutti nella fascia alta della dirigenza pubblica, mettendosi così a riparo dalle mire carrieristiche dei nuovi arrivati. Si sono invece trovati con un riassetto della dirigenza modesto, e con un concorso da effettuare, mentre ai comandanti dei   poliziotti penitenziari veniva riconosciuta l’ottava qualifica dirigenziale in base al solo criterio dell’anzianità.

     In realtà dall’entrata in vigore della legge di riforma che nel 1990 ha smilitarizzato il vecchio corpo degli agenti di custodia, il sistema penitenziario è stato aggredito da una esplosione di lotte di potere, che hanno alimentato appetiti corporativi voracissimi che non esitano a colpire anche i detenuti pur di spingere verso decisioni politiche gradite. Il feroce scontro tra poliziotti e direttori ha però trovato un comune terreno di azione tattica negli attacchi sistematici che in questi anni sono stati portati ai magistrati che si sono alternati alla presidenza del Dap. Da Capriotti a Cianci; dall’ex procuratore di Roma Michele Coiro ad Alessandro Margara, tutti hanno dovuto fare i conti con l’aggressività delle lobby sindacali penitenziarie. Dopo aver divorato Margara, adesso è il turno di Caselli, che ha ricevuto la prima richiesta di dimissioni appena tre mesi dopo il suo insediamento, pur essendo arrivato al Dap in seguito alla rimozione di un ‘garantista’ ritenuto poco amante delle divise. In realtà ciò che vogliono gli interessi forti che si muovono nell’apparato è che alla sua direzione arrivi un uomo che proviene dalle carriere interne al Dap;  in questa ottica figure di magistrati forti e prestigiose rappresentano soltanto un intralcio al lento lavorio delle corporazioni.

28.3.2000

     Iniziano i due giorni di sciopero dei direttori delle carceri.

 

30.3.2000

     Il settimanale Panorama intervista il Generale della Polizia Penitenziaria Enrico Ragosa, Direttore dell’UGaP (intervista pubblicata sul numero del 30/03/2000.

d. “E cosa pensa del processo che si sta svolgendo a Reggio Calabria, in cui un direttore del carcere e un gruppo di agenti sono accusati dell’omicidio di un detenuto che è stato ucciso nel settembre del 1997?”

r. “All’epoca io non c’ero e comunque non credo proprio che fra i nostri ragazzi ci siano degli assassini. Rispetto il lavoro dei Magistrati, ma i poliziotti penitenziari, non dimentichiamolo, difendono quotidianamente la società dagli assassini.”

d. “C’è ancora in sospeso il caso Fabiani, un detenuto in carrozzella morto suicida a Parma. La moglie afferma che sia stato picchiato più volte.”

r. “Non ce li vedo dei padri di famiglia a mettere le mani addosso a un minorato.”

“In carcere ci sono 17mila detenuti extracomunitari. Non sappiamo chi sono e, soprattutto non sappiamo chi siano i Totò Riina fra i cinesi, gli albanesi o gli slavi (…) Non abbiamo carceri sovraffollate, ma solo sottostrutturate, infatti la nostra popolazione di detenuti è nella media europea. Faccio un esempio: se ci sono due topi in una gabbia grande, è probabile che non si azzanneranno. Perciò stiamo costruendo nuove carceri. (…) Non possiamo sottovalutare la forza della mafia. La sua capacità genetica di trasformarsi, simile a quella dei topi, fa sì che riemerga sempre. Perciò non possiamo abbassare la guardia. Dobbiamo (…) creare un cordone sanitario intorno ai detenuti pericolosi (…) con l’impiego permanente dei GOM, che non sono dei piccoli rambo ma solo operai specializzati nella sorveglianza dei mafiosi e in situazioni di emergenza.”

     Ugap  

  Questa scheda è tratta da due articoli apparsi sul quotidiano ‘Il Manifesto’ del 23.2.1999 e sul mensile ‘Il Diario’ del marzo 1999.   

 

      UGAP, Ufficio per la Garanzia Penitenziaria del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è una struttura di intelligence creata dall’ex Ministro Diliberto nel febbraio 1999 con il ‘compito’ ufficiale di vigilare sulla ‘sicurezza degli istituti penitenziari’.

    La decisione del Ministrò sollevò forti polemiche e sospetti. In una interrogazione parlamentare, una ventina di senatori – di uno schieramento trasversale che andava da Forza Italia a Rifondazione Comunista – chiesero chiarimenti sulla natura dell’operazione. Il timore dei senatori era che l’Ugap fosse solo una struttura di intelligence, negando così ogni tentativo di trasparenza all’interno dell’amministrazione penitenziaria. I senatori contestarono, poi, che a gestire l’Ugap fosse chiamato il generale Enrico Ragosa, allora dirigente del Sisde, fino al 1996 responsabile dei reparti speciali degli agenti di custodia protagonisti di pestaggi di detenuti, come accadde a Secondigliano nel 1993, e a Pianosa, nel 1992.

     Sulla nascita di questa struttura di intelligence l’associazione Antigone assunse allora una forte presa di posizione. “Creare l’Ugap – denunciò Stefano Anastasia, Presidente di Antigone – significa togliere attribuzioni e poteri al direttore del Dap (che allora era Alessandro Margara), e indica una strada pericolosa, quella della militarizzazione della polizia penitenziaria”. Inoltre, Ragosa non è una figura  delle migliori: “già a capo delle cosiddette squadrette interne dell’amministrazione penitenziaria che, negli anni ottanta gestivano le situazioni di crisi nelle carceri, poi allontanato dal precedente direttore del Dap, Michele Coiro, e finito al Sisde, oggi gestirebbe un vasto potere nel sistema carcerario.”

31.3.2000

     Si toglie la vita nel carcere milanese di S. Vittore un albanese di trent’anni, arrestato per sfruttamento della prostituzione. L’uomo, che era appena stato trasferito dal carcere di Brescia, da due giorni era solo in cella al centro di osservazione psichiatrica.

 

1.4.2000

     Della Vecchia comunica al Dap che provvederà ad una perquisizione straordinaria nel carcere di Sassari, vista la situazione di  ingovernabilità in cui versa la struttura.

     Le carceri sarde

 

Nell'isola sono aperti 12 istituti di reclusione, tre colonie penali all'aperto e un carcere minorile. Agenti (circa 1.400), detenuti (tra i 1.700 e i 2.000).

Carceri vecchie e malandate nelle quali la bassa qualità della vita rende difficile, anche per l'eccessivo affollamento, la convivenza tra detenuti e agenti.

Da tre anni al governo dell'amministrazione penitenziaria in Sardegna, il dottor Della Vecchia aveva un sogno, anzi due: riuscire a utilizzare le carceri minorili di Quartucciu per i detenuti di Buoncammino (Il carcere di Cagliari), mettere ordine delle colonie all'aperto di Mamone e Isili. "Dalle case di reclusione all'aperto - sosteneva - andrebbero allontanati i detenuti che scontano brevi pene (come tossicodipendenti ed extracomunitari) per sostituirli con quelli che scontano pene più lunghe".

Il suo modello di carcere era diventato quello di Alghero - dove sono stati "rinchiusi" gli agenti coinvolti nel pestaggio - che voleva trasformare in un lucroso centro clinico carcerario polivalente, adeguandosi, da napoletano, al suo collega Giuseppe Brunetti, Provveditore per la Campania, che nella sola città di Napoli gestisce ben due centri clinici, Poggioreale e Secondigliano).

3.4.2000

     La perquisizione si svolge il 3 aprile e si conclude con il trasferimento di 21 detenuti, ritenuti i fomentatori dei disordini nell’istituto sardo. Della Vecchia comunica che l’operazione è andata a buon fine e che si segnalano soltanto tre agenti contusi, poiché “si sono verificati scontri fisici senza uso della violenza”.     

 

4.4.2000

     Muore per infarto nel carcere di Cosenza Giuanluca Seta, un ragazzo di 24 anni arrestato per un tentativo di furto

 

7.4.2000

     La Procura di Sassari apre un’inchiesta sui pestaggi al San Sebastiano su denuncia dei familiari dei detenuti.

     Dopo che l’Ansa diramava una prima notizia sul pestaggio, il direttore Generale delle carceri Giancarlo Caselli invia un ispettore a Sassari che conferma i sospetti del pestaggio. Caselli ordina all’Ufficio del personale di prendere “provvedimenti conseguenti”. Vengono sospesi il provveditore regionale, la direttrice del carcere e Tomassi.

 

12.4.2000

Alcuni organi di stampa rilanciano la notizia dell’ansa sul presunto pestaggio avvenuto nel carcere di Sassari agli inizi di aprile. Autori dell’impresa un centinaio di agenti penitenziaria reclutati nei diversi istituti dell’isola. Le violenze sarebbero accadute nel corso del trasferimento di una ventina di detenuti ritenuti responsabili delle proteste di quei giorni contro i disagi provocati dallo sciopero dei direttori.

 

     I titolari dell’inchiesta giudiziaria hanno interrogato ieri i detenuti vittime delle violenze. Il pestaggio è confermato anche da fotografie fatte scattare dai magistrati, che documenterebbero le tumefazioni e i lividi sui corpi dei prigionieri.

 

     Alcuni familiari dei detenuti picchiati e gli avvocati del Foro di Sassari denunciano pubblicamente il pestaggio. Giancarlo Caselli apre un’inchiesta amministrativa. Giuliano Pisapia presenta un’interrogazione parlamentare al Ministro Diliberto.

 

13.4.2000

      L’ispettore inviato da Caselli a Sassari per verificare la fondatezza delle denunce di violenze è Nello Buongiorno, direttore centrale dell’ispettorato delle carceri. Cinque giorni dopo il suo arrivo a Sassari Buongiorno consegna una relazione ispettiva che conferma i sospetti sui pestaggi avvenuti nel carcere sardo. Un’altra relazione, redatta dall’ispettore sanitario Francesco Di Girolamo, contiene le prove  che i detenuti sono stati presi a calci con gli anfibi e ridotti in condizioni impresentabili tra denti e costole rotte. Nel rapporto di Buongiorno, tra l’altro, si dice che l’avvicendamento del vecchio comandante del carcere con Ettore Tomassi è stato “ratificato dagli organi centrali del Dap, cioè da dal direttore del personale Emilio Di Somma.

 

14.4.2000

     Diliberto, in visita all’Università di Sassari, viene ‘accolto’ da un drappello di  familiari dei detenuti pestati nel carcere di Sassari. Il Ministro comunica che è oggi in corso un’ispezione nel carcere di San Sebastiano. La delegazione dei parenti delle vittime chiede la rimozione del nuovo comandante delle guardie, Ettore Tomassi.  

 

15.4.2000

     Un detenuto di 36 anni, condannato a due ergastoli, si  impicca nel carcere di Secondigliano. Una settimana prima si era tagliato le vene ed era stato salvato in extremis.

 

16.4.2000

     Si suicida nel carcere di Lecce Vito Monosi, un uomo di 38 anni detenuto per omicidio.

 

21.4.2000

     Via Crucis e fiaccolata dei familiari dei detenuti attorno al carcere di Sassari.

 

28.4.2000

     Il Ministro Diliberto, lasciando l’incarico in seguito alla crisi di governo, invia una lettera di saluto alla Polizia Penitenziaria: “Abbiamo ottenuto risultati che credo storici per la Polizia Penitenziaria, quali i ruoli direttivi e dirigenti, il nuovo regolamento di servizio, la partecipazione della Pol. Penit. Alle missioni all’estero, il salvataggio del pagamento dello straordinario, lo stanziamento per le nuove divise, il DL sul condono delle sanzioni disciplinari, lo stemma araldico del Corpo, la richiesta al capo dello Stato per il diploma di navigazione di lungo corso… Ma soprattutto, abbiamo insieme ottenuto qualcosa che non ha prezzo. E’ la dignità ritrovata e l’orgoglio di appartenenza del Corpo, che va di pari passo con il rispetto che oggi, più di ieri, vi portano le altre forze di polizia. Non siete più un Corpo di serie B”.

     Il partito si è fatto un po’ stato, e torna a casa.

 

     Cosa fa un piccolo partito, appena uscito da una scissione, senza una solida base sociale e dall’incerto consenso elettorale quando occupa un ministero importante, come quello della Giustizia?

     Si guarda intorno e scopre che nelle carceri italiane ci sono 44.000 agenti di polizia penitenziaria, che  significano 44.000 famiglie di agenti di polizia penitenziaria, cioè un potenziale bacino elettorale di 200.000 persone.

 

 

 

3.5.2000

     I magistrati della Procura di Sassari emettono 82 ordini di custodia cautelare per 79 agenti di polizia penitenziaria, il comandante delle guardie di Sassari, Ettore Tomassi, la direttrice dell’istituto, Cristina Di Marzio e per il Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Sardegna Giuseppe Della Vecchia.

Gli arrestati sono accusati di aver organizzato una spedizione punitiva nel carcere di Sassari il 3 aprile scorso, in seguito ad una protesta dei detenuti. Nell’ordine di custodia cautelare si sostiene che il pestaggio “è stato organizzato e voluto intenzionalmente… e perpetrato con sevizie e crudeltà”, ed è stato ordinato da Della Vecchia, presente a Sassari, dalla Di Marzio e da Tomassi.

 

     Il Direttore generale delle carceri, Giancarlo Caselli, dichiara che in seguito ad un’inchiesta amministrativa erano già stati rimossi e sostituiti tutti i responsabili dai loro incarichi.

 

     Altissima la tensione tra gli agenti di Polizia Penitenziaria che incontrano il Ministro Fassino.

 

     Alcuni articoli di stampa tirano in ballo il Gom, la struttura di pronto intervento del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    Il Gom

Questa scheda è tratta da un articolo del quotidiano ‘Il Giorno’ dell’8.11.1998, dal Mensile ‘La Grande Promessa del dicembre 1998, da Il Messaggero del’8.5.2000 e da ‘Il Manifesto del 4.5.2000.     

     Questo corpo speciale nasce da un decreto interno al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nel 1994 (dopo che era scoppiato lo scandalo dei pestaggi nel carcere di Napoli Secondigliano – vedi Da Sassari a Poggioreale n.3).

     Tra le finalità ufficiali di questa struttura vengono indicate il mantenimento dell’ordine e della disciplina negli istituti penitenziari, con priorità a interventi in occasione di ‘gravi situazioni di turbamento’;  inoltre i Gom sono impegnati nel garantire la sicurezza delle traduzioni  di detenuti pericolosi .

          Il Gom (Gruppo operativo mobile), diretto dal Generale Alfonso Mattiello, è un gruppo di circa 600 uomini alle dirette dipendenze di Giancarlo Caselli. Ufficialmente ha compiti di sorveglianza  e protezione dei detenuti di massima pericolosità. Il Gom nasce nel 1994, dalle ceneri dello Scop (Servizio coordinamento operativo), un corpo composto da 500 uomini sparsi in tutta Italia e pronti a correre da un carcere all’altro in caso di rivolte o di particolari necessità. Lo Scop infatti, oltre a sedare le proteste ha avuto la funzione, poi ereditata dal Gom, di acquisire informazioni.

     Durante gli anni ’90 furono aperte due grandi inchieste per maltrattamenti avvenuti nelle carceri di Secondigliano e Pianosa. Vennero rinviati a giudizio 65 agenti dello Scop diretti dal generale Enrico Ragosa, poi passato al Sisde. Il carcere di Pianosa venne in seguito chiuso grazie all’intervento dell’ex direttore del Dap, Alessandro Margara, all’epoca magistrato di sorveglianza a Firenze.

     Lo Scop fu poi disciolto ma il suo posto fu preso dal Gom, dove confluirono gli stessi agenti.

Il primo episodio eclatante in cui vengono coinvolti gli uomini del Gom  è del 1998, quando 15 agenti entrano nel carcere milanese di Opera per effettuare una perquisizione straordinaria. “Detenuti spogliati, qualcuno anche tre volte, costretti a ripetuti piegamenti, pure i cardiopatici e gli anziani; quindi raggruppati nel cortile, al freddo dalle 9.30 alle 13.30, chi in accappatoio, chi scalzo, mentre le celle venivano perquisite”. “Alcuni agenti di Opera erano sconcertati, ed hanno raccontato di aver rischiato di arrivare alle mani con i loro colleghi del Gom”.

4.5.2000

     Un detenuto lascia il carcere di San Sebastiano e conferma i pestaggi.

 

     Altri 100 guardie carcerarie convocate dai magistrati nell’inchiesta sui pestaggi.

 

     Il CSM annuncia l’apertura di un’inchiesta sui magistrati di sorveglianza assegnati al controllo sugli istituti di detenzione.

 

 

    Manifestazione a Sassari degli agenti di custodia contro gli arresti dei loro colleghi. Donato Capece, segretario del Sappe (sindacato autonomo di polizia penitenziaria), dichiara: “le mele marce, quando occorre, le isoliamo noi”.

     Diversi esponenti della maggioranza di governo esprimono la loro solidarietà agli agenti in lotta, imputando i fatti di Sassari allo stress dei lavoratori costretti a sopportare i disagi del sovraffollamento. Diliberto esprime alla Polizia Penitenziaria e al Sappe “la più completa solidarietà per gli ingiustificati attacchi portati all’intero corpo”.

      Il neo ministro della giustizia Fassino propone di utilizzare i militari di leva per sorvegliare l’esterno delle prigioni.

      Il Polo e il Sappe chiedono le dimissioni di Caselli. Per Capece a Sassari non c’è stato nessun pestaggio. “La verità è che i detenuti hanno aggredito le guardie e gli agenti hanno riportato l’ordine nell’Istituto. Si è trattato di una “normale operazione di servizio”.

     Intanto emergono notizie su altri gravi episodi di violenze accaduti nelle carceri italiane.

a)       Napoli Secondigliano. 24 agenti sotto processo per ripetute violenze ai danni dei detenuti. I fatti vanno dal 95 al 99. Tra gli inquisiti l’ex comandante del carcere, Giardinetto, trasferito dal Ministero ad altra sede e mai allontanatosi da Secondigliano perché il suo sindacato, il Sappe, lo ha nominato coordinatore regionale.

b)       Reggio Calabria. 12 agenti rinviati a giudizio per omicidio volontario ed altri 12 per favoreggiamento. Un giovane di 28 anni sarebbe morto per una serie di colpi di bastone e manganello.

c)       Nuoro. Rimosso il comandante del carcere di Bad ‘e Carros , dove il 23 marzo morì suicida Luigi Acquaviva che il giorno prima aveva sequestrato un agente di custodia.

d)       Torino, carcere minorile Ferrante             Aporti. Alla vigilia di Pasqua un                ragazzo maghrebino si da fuoco per             protestare contro maltrattamenti e             ingiustizie di cui sarebbe stato                vittima.

 

     Il quotidiano ‘L’Unione Sarda’ pubblica un’intervista ad un poliziotto penitenziario che avrebbe partecipato al pestaggio. L’Uomo, che ha chiesto di conservare l’anonimato, conferma i contenuti delle denunce dei detenuti.

 

 

 

    

 

 

     Magistratura di sorveglianza.

 

     Tra i compiti che la legge penitenziaria affida ai magistrati di sorveglianza ci sarebbe anche quello di ‘vigilare sull’organizzazione degli istituti penitenziari e prospettare al Ministro le esigenze dei vari servizi con particolare riguardo all’attuazione del trattamento rieducativo’. Ed inoltre: ‘esercitare la vigilanza diretta ad assicurare che l’esecuzione della custodia sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti’.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

5.5.2000

     Manifestazioni di agenti in tutt’Italia. Sit-in delle guardie davanti al carcere di Sassari al grido di “liberi, liberi” Il Consiglio dei ministri decide lo stanziamento di 160 miliardi per costruire nuove carceri. Gli agenti manifestano fuori all’istituto di Sassari chiedendo la liberazione di tutti i colleghi arrestati.

 

    Il Dap trasmette a Fassino i risultati dell’inchiesta amministrativa.        

 

     La Procura di Sassari smentisce la notizia, apparsa nei giorni scorsi, che le indagini stiano procedendo anche verso i vertici del Ministero della Giustizia. Giancarlo Caselli e il suo vice Mancuso tirano un sospiro di sollievo e dichiarano di non volersi dimettere. In un documento presentato dal Direttore Generale del Dap al Ministro Fassino appare chiaro che il trasferimento di Tomassi da Benevento a Sassari, voluto fortemente da Della Vecchia, è stato disposto autonomamente dal capo del personale, Emilio Di Somma e dal suo vice Zaccagnini.

 

     Il quotidiano La Repubblica pubblica stralci di una lettera che il vecchio Comandante del carcere di Sassari, l’Ispettore Capula, a metà aprile aveva inviato al quotidiano ‘La Nuova Sardegna’.

“La sostituzione è avvenuta in una maniera scorretta nei miei confronti, alla napoletana, perché quella è l’aria che tira al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria”. Secondo La Repubblica, Capula si riferisce a un gruppo di potere del quale i beneventani Della Vecchia e Tomassi facevano parte, assieme ad altri.

 

 

 

    Le Rappresentanze di Base del personale civile delle carcere scrivono una lettera aperta al Ministro Fassino. “…Il tam tam tra Direttori e Polizia Penitenziaria che si sta facendo in questi giorni porta da un posto di lavoro all’altro la notizia che tutto questo putiferio è avvenuto perché gli educatori dell’istituto sassarese hanno parlato… èmotivo di orgoglio che il personale educativo abbia contribuito all’accertamento della verità attraverso la denuncia di fatti che ripugnano qualunque coscienza correttamente orientata… Di fatto in questi anni è stato loro impedito di svolgere (si riferito agli educatori penitenziari – ndr) il loro lavoro proprio perché, intervenendo all’interno delle sezioni, vedevano e sentivano quello che non dovevano sentire e vedere, diventavano testimoni scomodi, unitamente agli altri non poliziotti, di quanto avveniva negli ambiti meno praticati e meno noti degli Istituti di Pena italiani… Non abbiamo dubbio che gli episodi di illegalità da parte dei poliziotti penitenziari siano stati episodi isolati, ma le isole ormai sono tante…stanno diventando un arcipelago…Negli anni 80-90 u detenuti avevano imparato a protestare civilmente, ma le risposte sono state sempre simili a quella data a Sassari. Nel carcere non si può più esprimere dissenso…Per questo motivo non ci meraviglia l’arroganza di chi commette scientemente dei reati, perché porta nel suo Dna professionale la violenza… non è un caso che si cerchi con manifestazioni di piazza di condizionare i magistrati, come non è un caso che coloro che sono andati a sostituire il Provveditore regionale ed il Direttore del carcere abbiano gli stessi curricula professionali degli inquisiti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

     Qualche commentatore ha ricordato sulla stampa che un paio di anni fa Giancarlo Caselli, allora Procuratore Capo a Palermo, fu mandato in Sardegna a risolvere la scandalosa situazione causata dal Giudice sceriffo antisequestri….., suicidatosi dopo l’interrogatorio con i magistrati palermitani.

 

 

 

 

 

 

     Da Sassari a Poggioreale   (1)

      La lobby dei napoletani

(I dati di questa scheda sono tratti da 
 due articoli apparsi su ‘Il Manifesto del 6.5.2000, ‘Il Messaggero’ dell’8.5.2000 e ‘La Repubblica’ del 13.5.2000)
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    Il Provveditore per la Sardegna, arrestato dalla Procura di Sassari, è Giuseppe Della Vecchia, per anni direttore del carcere campano di Benevento. Il comandante degli agenti autori dei pestaggi è l’Ispettore Ettore Tomassi, ex braccio destro di Della Vecchia a Benevento, e uomo che ha iniziato la sua carriera negli anni ottanta nel carcere napoletano di Poggioreale. Direttore dell’ufficio centrale del personale è   Emilio Di Somma, ex vicedirettore a Poggioreale. Il Vice di Di Somma, quello che ha controfirmato il trasferimento di Tomassi, è Zaccagnino, anche lui napoletano, anche lui passato per Poggioreale. 

       A dirigere alcuni tra i provveditorati regionali più importanti (quelli che poi passeranno agli uffici centrali del Ministero) vi è un folto gruppo di dirigenti campani.

Giuseppe Della Vecchia, appunto, in Sardegna; Antonio Passaretti (ex direttore del carcere speciale di Carinola e di quello di Secondigliano), è l’influente Provveditore della Sicilia, dopo essere stato anche provveditore in Sardegna; Mario Mascolo, Provveditore delle carceri pugliesi (ex vicedirettore di Poggioreale); Giuseppe Brunetti, capo degli istituti della Campania;  Bocchino, provveditore della Lombardia.
    Ma se i quadri direttivi campani hanno occupato gli uffici decisivi nella gestione del personale e delle strutture periferiche del Dap, non sono da meno i dirigenti del corpo di polizia penitenziaria che si sono saldamente insediati negli uffici centrali che controllano le materie della sicurezza. A capo dell’Ugap, la struttura di intelligence creata da Diliberto per vigilare sulla sicurezza all’interno degli istituti, è il Generale Enrico Ragosa, l’uomo che, sempre negli anni ottanta, ha compiuto i primi passi della sua prestigiosa carriera normalizzando la situazione del carcere di Poggioreale, legato a Caselli dai tempi roventi dei primi arresti eccellenti e dei primi pentiti.

     A dirigere invece il Gom, Gruppo Operativo Mobile, un reparto di pronto intervento che gestisce anche il delicato circuito parallelo dei pentiti, è il Generale Alfonso Mattiello, napoletano, anch’egli proveniente da Poggioreale; braccio destro di Mattiello è l’ispettore Santoriello, ex comandante del carcere di Secondigliano, inquisito dalla procura di Napoli nella prima inchiesta sui pestaggi a Secondigliano (Santoriello proviene anch’egli da Poggioreale). Infine, è campano anche il Generale Scialla, capo dell’ufficio traduzioni (quello per intenderci, che organizza i trasferimenti dei detenuti – vedi Sassari).

      L’inarrestabile ascesa al cuore del Dap dei napoletani risale agli inizi degli anni novanta, quando a dirigere l’ufficio del personale c’era il potente Pastena, uomo di fiducia di  Nicolò Amato, attualmente responsabile per Alleanza Nazionale sulle questioni del carcere. La riforma del corpo degli agenti di custodia, voluta da Amato e dai sindacati nel 1990, oltre a smilitarizzare il corpo, aprì anche le carriere dei direttori penitenziari, che cominciarono ad occupare alcune importanti poltrone ministeriali, fino ad allora ad esclusivo appannaggio dei magistrati. Da quel momento il ceto dei dirigenti del Dap inizia una feroce lotta corporativa contro la presenza dei giudici al Dap, ancora saldamente insediati negli uffici che gestiscono i detenuti. In questa loro battaglia strategicamente hanno trovato importanti momenti di alleanza con i sindacati della polizia penitenziaria, interessati a facilitare la presa del pieno possesso dell’apparato da parte di uomini che sono cresciuti tra i rivoli delle carriere penitenziarie. 

6.5.2000

     Milano, carcere di Opera. 10 agenti indagati dalla Procura per percosse su due detenuti e perquisizioni illegali nelle celle. L’inchiesta sarebbe partita nello scorso ottobre.

 

     Ovidio Bompressi lancia la proposta di un indulto e chiede un intervento della chiesa cattolica a sostegno delle richieste di amnistia che vengono anche dal mondo delle carceri. Si associano all’appello di Bompressi anche Adriano Sofri e Sergio Cusani. La proposta di amnistia di Bompressi è già un disegno di legge presentato alla Camera dai deputati verdi Manconi e Saraceni.

 

    Arriva a Sassari il nuovo direttore del carcere, Maurizio Veneziano, proveniente dal Provveditorato di Palermo.

 

 

 

 

 

 

    Da Sassari a Poggioreale (2)

(I dati di questa scheda sono tratti da un articolo apparso su ‘L’espresso’ del 18 maggio 2000).

 

Maurizio Veneziani, 39 anni e una fama da duro, è il nuovo direttore del carcere di Sassari, dopo la rimozione di Cristina Di Marzio. Ha diretto le carceri di Agrigento, Reggio Calabria e Trapani, dove è restato per oltre tre anni. Veneziani è ricordato a Trapani per “le sue passeggiate nei corridoi delle camerate accompagnato da una decina di agenti con anfibi e tuta mimetica… Perquisizioni a sorpresa, punizioni immediate per chi osava protestare, l’acqua che scompariva improvvisamente dalle docce…”. Veneziani fu costretto a lasciare il carcere di Trapani in seguito alla denuncia del cappellano dell’Istituto, padre Mattarella, sul regime di terrore e violenza instaurato dal Rambo. In seguito a questa denuncia Veneziani venne trasferito con una promozione al provveditorato per la Sicilia, quel provveditorato che è attualmente diretto da Antonio Passaretti, uno degli uomini forti della cordata napoletana (anche nella nomina del nuovo direttore di Sassari c’è lo zampino dei napoletani?).

7.5.2000

     Rivolta dei poliziotti penitenziari nelle carceri italiane. Tutte le organizzazioni sindacali di categoria hanno indetto per martedì prossimo una manifestazione nazionale davanti al carcere di Poggioreale. Annunciato anche uno sciopero bianco a partire da mercoledì. Il sindacato istituisce il ‘soccorso azzurro’, un servizio dove segnalare tutte le violenze subite dagli agenti.

     Sul fronte delle indagini Della Vecchia dichiara di non aver assistito a nessuna violenza; l’ex direttrice si avvale della facoltà di non rispondere; Tomassi scarica la responsabilità di quanto accaduto su un suo sottoposto, l’ispettore Pais.

 

     Caselli e Mancuso da oggi sono in visita in Sardegna. Incontreranno i poliziotti penitenziari nelle carceri di Sassari e Cagliari. Anche la Cisl chiede le dimissioni di entrambi, unendosi al Sappe, all’Osappe e al Sinappe.

 

     Gerardo D’Ambrosio e Pierluigi Vigna si dichiarano contrari ad ogni ipotesi di indulto e amnistia.

 

8.5.2000

     Indagato anche il medico del carcere di Sassari.

    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   Dopo l’incontro con Caselli e Mancuso il Sappe annuncia che a partire da domani il personale di polizia penitenziaria inizierà ad attuare lo sciopero in bianco. Si annunciano decine di sit-in, di proteste, di autoconsegne e astensioni dalla mensa in tutte le carceri italiane. Lo sciopero sarà attuato con controlli più severi durante le ore notturne; applicazione alla lettera degli ordini di servizio interni per la fruizione dei passeggi, dei colloqui con i familiari. La protesta mira direttamente a colpire i detenuti.

 

     Il quotidiano ‘La Repubblica’ intervista l’ex Ministro della Giustizia Oliviero Diliberto. Questa è quanto dichiara: “Alla trasmissione Pinocchio – (si riferisce ad una trasmissione televisiva andata in onda un mese dopo la sua nomina – ndr) dissi che bisognava abolire l’ergastolo, mantenere i benefici della Gozzini, riconoscere i diritti dei detenuti. La reazione fu una sequenza di impressionanti evasioni. In tre scapparono proprio dal carcere di Rebibbia”.

D. C’era un piano? “Ne ebbi la sensazione, ma non le prove. Ci furono altre fughe da Opera, poi scappò Ghiringhelli da Novara… Lessi quegli episodi come la reazione contraria ad una linea di apertura”.

     Medicina Penitenziaria.

 

   La sanità penitenziaria conta da circa 5.000 addetti: 350 medici incaricati; 1.650 medici di guardia; 2.100 medici specialisti; 150 tecnici; 400 infermieri professionali di ruolo; 1.000 infermieri convenzionati puri; 300 infermieri professionali convenzionati con le Asl. La stragrande maggioranza di questo personale è impiegato con rapporto di lavoro convenzionato, cioè con contratti a termine che vengono stipulati con le singole carceri. La selezione di questo personale avviene a livello locale, cioè nei singoli istituti, attraverso una procedura di valutazione di titoli e prova attitudinale effettuata da commissioni presiedute dai direttori delle carceri.

     Questo meccanismo di selezione assicura alle direzioni la più assoluta aderenza dei medici e degli infermieri penitenziari alle ragioni della sicurezza, prioritarie rispetto a quelle della cura e prevenzione. La classe dirigente del Dap non ha nessuna intenzione di perdere il controllo su questa parte del personale, e per questa ragione ha cercato di opporsi in tutti i modi, sin dalla fase di avvio del dibattito parlamentare, alle ipotesi di passaggio della medicina penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale. La battaglia che l’ex ministro della Sanità Bindi ha dovuto combattere perché questa legge andasse in porto è stata durissima, ed ha dovuto scontare la fortissima resistenza dei direttori delle carceri, dei titolari degli uffici centrali che gestiscono il personale, ed anche dell’associazione dei medici penitenziari.

     Nel 1988, in occasione dell’approvazione al Senato di questa legge, l’associazione dei medici carcerari mise in scena una fortissima protesta. Il presidente dell’associazione dei medici penitenziari (Anapi), Ceraudo, si incatenò fuori dal carcere di Rebibbia per protesta contro la nuova legge.

     Soltanto nel luglio 1999 un decreto legislativo stabilisce il passaggio della medicina penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale, rimandando la concreta attuazione alla emanazione dei relativi decreti (d. lgs. N. 230, del 22.7.1999). Attualmente, come soluzione compromissoria allo scontro tra Sanità e Penitenziari, la riforma è in una fase di sperimentazione attuata su tre regioni, alla fine della quale dovrebbe avvenire il concreto passaggio.   

     Secondo la Cisl, che sostiene la battaglia corporativa di Ceraudo, “il compito di un medico penitenziario non è solo quello della prevenzione, diagnosi e cura, dell’’accertamento delle patologie esistenti, ma è anche quello della dimostrazione dell’inesistenza di alcune patologie…”; ed ancora “ciò che differenzia l’operato del medico penitenziario da quello di un medico del S.S.N. è la sua maggiore conoscenza della vita del penitenziario… che risulta indispensabile per assistere i detenuti e comprendere l’attività della Polizia Penitenziaria e le sue problematiche”.

 

     Oliviero Diliberto

 

Nell’ottobre del 1998 Oliviero Diliberto, da poco nominato Ministro della giustizia, scelse il palcoscenico del carcere di Rebibbia per parlare al popolo delle carceri e a quello che sta fuori, della necessità di liberarsi non dal carcere, ma, più modestamente, dall’ergastolo. Ad un compiaciuto Gad Lerner che gli chiese perchè mai avesse scelto proprio un penitenziario per la sua prima uscita pubblica, Diliberto rispose, orgoglioso: “perchè sono un comunista, e i comunisti partono sempre dagli ultimi”.

     Qualche mese più tardi, su un altro palcoscenico carcerario, a Secondigliano, stavolta senza telecamere e nostalgici ex sessantottini, ad una eccitata platea di poliziotti penitenziari annunciava l’ennesima riforma che ha consegnato loro pieni poteri di autodeterminazione nella gestione della sicurezza, dell’ordine e della disciplina dentro le prigioni; manda a casa il garantista Alessandro Margara (su richiesta dei sindacati della polizia penitenziaria – compresi i confederali), crea l’Ugap, l’Ufficio per la sicurezza interna,  e lo affida al Generale Ragosa, conferma il Gom, Gruppo operativo mobile,  nominando a suo coordinatore il Generale Mattiello. Inoltre: condona le sanzioni disciplinari della censura e della pena pecuniaria per recidiva inflitte agli agenti di polizia penitenziaria (infrazioni che riguardano il 30% degli agenti), e si batte come un leone perché una rappresentanza del Corpo partecipi alle missioni militari all’estero.

     Oggi, dopo un anno e mezzo, rivela che il proclama politico di rilancio della legge Gozzini, di abolizione dell’ergastolo, di maggiore apertura del carcere all’esterno ebbe come immediata risposta una serie di evasioni dalle carceri italiane, e lascia intendere che qualcuno lavorò dietro le quinte per indurlo a maggior ragione.

     Sarebbe il caso che Diliberto, che non ha più responsabilità di Governo ed ha oramai capito che i suoi sforzi non hanno portato neanche un voto dei poliziotti penitenziari al suo partito, ci dicesse anche chi (non le persone fisiche ma gli aggregati di interessi) remò contro.

 

9.5.2000

    Manifestazione nazionale dei sindacati di polizia penitenziaria (confederali e autonomi) davanti al carcere di Poggioreale. Catena umana di guardie con i braccialetti ai polsi. Nicola Caserta, segretario regionale del Sappe, nonchè  consigliere provinciale dei DS, chiede la liberazione di tutti gli agenti arrestati, la riduzione dell’orario di lavoro e l’aumento degli organici. Secondo Giuseppe Brunetti, Provveditore regionale per la Campania, e napoletano anch’egli, “la protesta è sacrosanta… Bisogna ridurre i tempi delle attività in carcere. Mi spiego meglio. Il detenuto va a scuola, oppure lavora, ha i colloqui con i familiari, le pause di ricreazione. E’ giusto, ma a una certa ora gli impegni devono essere ridotti, dando respiro agli agenti”. (La Repubblica, 9.5.00)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    La Repubblica intervista il PM napoletano Michele Morello, titolare dell’inchiesta sui pestaggi a Secondigliano. Il primo processo agli agenti, avviato nel 1993 (52 guardie rinviate a giudizio), si concluse con l’assoluzione degli imputati perché molti detenuti testimoni– dichiara il pm napoletano – ritrattarono le accuse. Il secondo processo, che riguarda fatti accaduti tra il 1995 e il 1999 è attualmente nella fase dibattimentale. Sono stati rinviati a giudizio 20 agenti.

     Solo un centinaio gli agenti che hanno partecipato alla manifestazione fuori al carcere di Poggioreale (a fronte delle migliaia di persone annunciate). Massiccia è invece la presenza di stampa e televisione. I familiari dei detenuti in fila in attesa dei colloqui denunciano il clima di terrore e le sistematiche violenze perpetrate a Poggioreale. Momenti di tensione tra poliziotti e familiari dei detenuti.

   Da Sassari a Poggioreale (3)

     (I dati di questa scheda sono tratti dai seguenti articoli di stampa: Il manifesto 6.5.2000; La Repubblica 13.5.2000, 26.11.1998, 30.01.1993, 7.4.1994; Il Mattino 8.8.1992, 25.11.1999).

    Non è un caso che i poliziotti penitenziari indicano la loro prima manifestazione nazionale dopo i fatti di Sassari proprio a Napoli, la città dov’è in corso un importante processo contro venti agenti e il comandante del penitenziario di Secondigliano per violenze contro i detenuti.

Per comprendere i fatti di Sassari è utile ripercorrere brevemente la storia del nuovo penitenziario napoletano, nato nel 1991.

     E’ il 1991 quando il Parlamento approva il primo provvedimento di legge che inasprisce la
lotta alla criminalità organizzata. Per il carcere si inaugura una nuova stagione di leggi speciali. Il clima negli istituti si irrigidisce repentinamente. Dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio la legislazione carceraria speciale compie il suo salto definitivo: viene istituito il regime del 41bis, riaprono le carceri speciali di Pianosa e dell’Asinara.
     In questo clima si inaugura il nuovo carcere di Napoli Secondigliano. Napoli e la sua nuova struttura penitenziaria diventano laboratorio di
sperimentazione della nuova emergenza mafiosa.

    I dirigenti del nuovo penitenziario vengono reclutati tra lo staff che aveva gestito la normalizzazione del vecchio carcere napoletano di Poggioreale negli anni ottanta, gli anni della guerra di camorra e della gestione dei detenuti politici.

      Direttore del carcere venne nominato Alfredo Stendardo, ex vicedirettore a Poggioreale, affiancato, al comando della polizia penitenziaria, da Vincenzo Santoriello, anch’egli proveniente da Poggioreale. Sin dall’apertura il nuovo carcere conquista la fama di struttura dal regime del massimo rigore. 

     Nel 1992 dopo pochi mesi dalla inaugurazione del carcere, viene assassinato l’agente Gaglione, in servizio nel nuovo penitenziario napoletano. Il modello Poggioreale della massima deterrenza raccoglie il suo primo risultato. La situazione del carcere precipita velocemente. Esplode un conflitto acceso tra il direttore  Stendardo e il comandante degli agenti.

     I sindacati degli agenti di polizia penitenziaria, che già da tempo chiedevano la rimozione di Stendardo, accentuano la pressione sul Dap. Il
comandante e gli agenti coinvolti nei pestaggi denunciano continue minacce anonime. 

      Il comandante del carcere Santoriello denuncia il direttore Alfredo Stendardo di aver introdotto stupefacenti nel carcere.   Stendardo viene sospeso dal servizio, poi successivamente arrestato e
portato nel carcere militare. Segue un lungo periodo agli arresti domiciliari. A sostituire Stendardo viene chiamato Antonio Passaretti, ex vice direttore di Poggioreale e titolare della direzione del carcere di massima sicurezza di Carinola.   Un altro ex direttore di Poggioreale Emilio Di Somma arriva alla direzione centrale del personale penitenziario.
     Nel corso di una diretta televisiva un detenuto denuncia di essere stato picchiato. Dopo non più di una settimana Passaretti è rimosso dal suo
incarico e promosso Provveditore Vicario per la Campania. Successivamente andrà a dirigere prima il Provveditorato della Sardegna e poi quello della Sicilia.
Poco dopo anche Santoriello viene formalmente rimosso dal suo incarico; in realtà gli uffici centrali del Ministero lo destinano  allo SCOP (Servizio
Coordinamento Operativo), una struttura di pronto intervento della polizia penitenziaria con l’incarico di risolvere le situazioni critiche. Coordinatore dello Scoop è il Generale Ragosa, attualmente responsabile di una nuova struttura di intelligence creata dall’ex ministro della giustizia Diliberto (l’Ugap).  Il modello della massima deterrenza sperimentato a Secondigliano fa quindi scuola.
    Dopo la rimozione di Passaretti nella direzione di Secondigliano si alternano Salvatore Acerra, attualmente titolare a Poggioreale, e Della Vecchia (si, proprio quello di Sassari).

    Nel 1996 la prima inchiesta sui pestaggi a Secodigliano viene archiviata. I sindacati della   polizia penitenziaria raccolgono in questa vicenda una vittoria importantissima. Da questo momento la classe dirigente del carcere capisce il
grande potere di condizionamento e di pressione a cui è sottoposta.

     Ma nel 1997  la Procura di Napoli apre una seconda inchiesta su nuove violenze
commesse dagli agenti di Secondigliano. Dopo due anni di indagini i Pm napoletani emettono 20 avvisi di garanzia contro altrettanti agenti e il
loro comandante, Giardinetto. Precauzionalmente il Ministero trasferisce Giardinetto in un altro istituto; ma il comandante di Secondigliano in
realtà non lascia mai il carcere napoletano in quanto, in qualità di coordinatore regionale del Sappe (sindacato autonomo della Pol. Pen.) si fa distaccare dalla sua organizzazione proprio nello stesso istituto dove sono ospitati una parte dei detenuti testimoni della nuova inchiesta. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria fa finta di non accorgersi di questa situazione, esponendo i reclusi coinvolti nel processo ad una
pesante situazione di condizionamento, essendo stati lasciati al loro posto anche i venti agenti inquisiti.

     Dopo qualche settimana Diliberto istituisce l’Ugap, mette al comando di questa nuova struttura il Generale Ragosa, e dimissiona Margara. I sindacati della Polizia Penitenziaria (compresi i confederali) rivendicano la rimozione del ‘garantista’ Margara. 

     E’ appena il caso di ricordare che qualche anno prima, proprio grazie all’intervento di Margara (allora Presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze), furono messi sotto inchiesta 65 agenti di polizia penitenziaria in servizio allo Scoop, diretto dal Generale Ragosa per le violenze verificatesi nel carcere di Pianosa (successivamente chiuso)   

 

 

10.5.2000

     Cominciano a farsi sentire i disagi creati dallo sciopero in bianco attuato dai poliziotti penitenziari: ritardi nei colloqui con i familiari e con gli avvocati, e rallentamento dei tempi delle attività dentro le prigioni. Oltre ai sit-in ed ai cortei in diverse realtà i secondini minacciano l’autoconsegna in carcere degli agenti.

 

     Prime reazioni dei detenuti ai disagi creati dalle agitazioni degli agenti. A Genova rifiutano il vitto dell’amministrazione, mentre a Torino e Milano scioperano i detenuti lavoranti.

     Rivendicazioni degli agenti: aumenti degli organici, potenziamento dei mezzi e delle strutture, istituzione del ruolo direttivo della polizia penitenziaria.

11.5.2000

     Cgil, Cisl e Uil promuovono una sottoscrizione in tutti gli istituti penitenziari “al fine di sostenere economicamente i colleghi interessati dai provvedimenti di custodia cautelare emessi dal Gip di Sassari e dalla conseguente sospensione dal servizio con inevitabile riduzione dello stipendio”.

 

     Dossier dell’associazione Antigone sulle violenze quotidiane degli agenti di custodia sui detenuti.

 

 

 

    Il Libro bianco di Antigone

(Questa scheda è tratta da un articolo apparso sul settimanale L’espresso del 18.5.2000)

 

   Sono 22 i casi di sospetti maltrattamenti avvenuti nelle carceri italiane nel solo 1999.

Il 6 ottobre, a Brescia, muore un detenuto dopo essere stato aggredito dai compagni. Le guardie, secondo i giornali, non intervengono. Un mese dopo, il 16 novembre, la carcerata bresciana C.R. sostiene di essere stata presa a calci e pugni in testa dagli agenti senza motivo. Il 17 ottobre un detenuto lombardo Pietro Ibba muore per un’infezione non curata. Secondo la madre ‘dopo aver accusato per 10 giorni febbre alta nel carcere di Lecco. A Nuoro, il 23 gennaio 2000, muore Luigi Acquaviva: ‘tre agenti di polizia penitenziaria indagati per lesioni e uno per omissione di soccorso. Il 28 ottobre ’99 viene arrestato Marco Ciuffreda, perché trovato in possesso di sostanze stupefacenti. Portato al carcere romano di Regina Coeli ottiene gli arresti domiciliari. Il provvedimento non viene eseguito, per più di due giorni,  dalla polizia penitenziaria  che adduce mancanza di personale. Intanto Ciuffreda si sente male, viene visitato una volta e poi più. Ricoverato d’urgenza allo Spallanzani, muore. La diagnosi parla di polmonite bilaterale anche se nessuno di coloro i quali lo avevano incontrato avevano notato i sintomi.

A Viterbo, invece, di nuovo violenza. Qui ai primi di novembre muore un detenuto tunisino. La versione ufficiale dell’accaduto parla di suicidio. Un operatore penitenziario qualificato afferma che frequenti sono i pestaggi e le vessazioni a carico di detenuti. Uno degli ispettori gerarchicamente posto ai vertici della struttura, durante la visita effettuata dagli osservatori di Antigone, ha affermato che ‘i diritti umani con gli animali (cioè i detenuti) non c’entrano”.

12.5.2000

     Tutti liberi. Il Gip di Sassari revoca le misure cautelari per gli 82 inquisiti per il pestaggio di Sassari. 62 tra sottufficiali e guardie tornano in servizio; 17 restano sospesi in attesa di trasferimento; Della Vecchia e Tomassi, sospesi dal servizio, dovranno risiedere fuori dalla Sardegna; la Di Marzio è trasferita al Ministero.

 

     I sindacati della polizia penitenziaria revocano lo sciopero in bianco.

 

 

       Cosa hanno ottenuto le guardie:

1) subito un concorso per 1300 agenti

2) impiego degli obiettori di coscienza  per  svolgere compiti di ufficio

3) trecento miliardi per l’ammodernamento  del parco mezzi

4)  apertura di nuovi 4 istituti già finiti

5)  assunzione di 743 impiegati per gli   uffici

6) utilizzo di 2000 ausiliari dell’esercito

7) immediata istituzione del ruolo  dirigente e direttivo della polizia   penitenziaria. 200 ispettori  diventeranno commissari; 500 nuove  assunzioni di dirigenti con concorsi esterni;

8) promozione per i provveditori che  saranno tutti dirigenti generali.

13.5.2000

     Attentato dinamitardo nei confronti di un appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria coinvolto nelle indagini della magistratura sassarese.

 

16.5.2000

     Manifestazione nazionale a Roma della Polizia Penitenziaria indetta da Cgil, Cisl e Uil “per rendere manifesto l’impegno e la presenza del sindacato confederale in un settore ad alta esposizione sul piano della sicurezza, della legalità e della convivenza sociale”. Dopo essersi prudentemente tenuti fuori dalla mischia nei giorni più caldi della protesta, i vertici nazionali dei confederali scendono in campo per porsi come mediatori del conflitto e tesoreggiare i risultati della battaglia condotta dagli autonomi.

 

     Roma - Volantinaggio fuori al carcere di Regina Coeli da parte dell’Assemblea contro la repressione, che raccoglie l’autonomia di classe e gli anarchici di Roma. I detenuti di Rebibbia dichiarano lo stato di agitazione; all’esterno del carcere presidio di solidarietà .

 

19.5.2000

          Il Consiglio dei Ministri emana il Decreto Legislativo in attuazione della legge 266/89, Riordino dell’amministrazione penitenziaria, introducendo la deroga alle assunzioni per l’Amministrazione Penitenziaria per la copertura immediata delle vacanze di organico.

 

     Trasferiti il direttore e il comandante del carcere di Nuoro dove era morto suicida un camorrista napoletano.

 

     Continua la protesta dei detenuti di Regina Coeli che hanno chiesto di svolgere un’assemblea in presenza dei giornalisti.

 

     Napoli, carcere di Poggioreale. Manifestazione dei centri sociali davanti al penitenziario cittadino. Mentre si svolge il corteo ed il successivo concerto nella piazza antistante il carcere, una delegazione di parlamentari e consiglieri regionali entra nel penitenziario per assicurarsi che non vi siano ritorsioni sui detenuti. I prigionieri immediatamente rispondono alla manifestazione con la battitura delle stoviglie sulle sbarre. Lo spettacolo delle celle lascia sgomenti i visitatori. Fino a 18 persone per stanza, con un solo bagno che funge anche da cucina. A Poggioreale le quattro ore d’aria previste per legge sono ridotte a due, e talvolta anche ad una. I detenuti, senza alcun timore reverenziale per la presenza del direttore e delle guardie, denunciano l’uso sistematico delle percosse, dell’isolamento, e fanno anche i nomi di alcuni agenti componenti delle squadrette punitive.Nel carcere napoletano si può incorrere in una sanzione corporale per il solo fatto di aver guardato in volto un agente, o di non aver tenuto le mani dietro la schiena quando si percorrono i corridoi, o di non essersi messi sull’attenti durante la conta. Le condizioni igieniche degli ambienti e lo stato dell’assistenza medica sono indescrivibili. Dei risultati della visita vengono informati il Ministro della Giustizia, il Direttore generale delle carceri e i vertici dell’amministrazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

     Poggioreale  

 

    Il grande rigore ed il clima di paura che caratterizzano la situazione del carcere di Poggioreale sono ben noti a tutti coloro che frequentano gli ambienti penitenziari. . Il reparto accettazione, l’infermeria, l’isolamento del padiglione Genova sono veri e propri luoghi terrifici per il popolo dei ‘dannati della terra’. 

    Un ragazzo che è riuscito ad avvicinare un componente della delegazione che ha visitato il carcere ha raccontato che anche con le guardie spesso si parla chiaramente dell’uso della violenza nel penitenziario napoletano. Gli agenti giustificano gli atti di violenza ricordando ai carcerati la situazione in cui versava il carcere nei primi anni ottanta, quando gli uomini di Cutolo ed i loro rivali avevano conquistato il controllo del penitenziario. La normalizzazione di Poggioreale avvenuta nei primi anni ottanta è ricordata dai detenuti come un evento mitico, per i livelli di violenza che quel processo comportò. Da quel momento Poggioreale è diventato il simbolo della lotta alla camorra, un luogo dove le strumentazioni più brutali della repressione si sono fatte sistema, un carcere che sembra in emergenza permanente, incapace di emanciparsi da quel pezzo della sua storia. Da quel momento Poggioreale è diventato il modello penitenziario della massima deterrenza, un modello che è stato utilizzato nell’apertura del secondo carcere della città (quello di Secondigliano) e che ha prodotto due inchieste giudiziarie per pestaggi e un morto tra gli agenti di polizia penitenziaria.

      Ma Poggioreale non è ricordato soltanto per il grande rigore del suo regime disciplinare; dalla sua storia recente è venuto fuori un pezzo importante della classe dirigente dell’apparato penitenziario (vedi ‘Da Sassari a Poggioreale 1-3).  

20.5.2000

     Milano. Il collettivo contro la repressione è fuori al carcere di San Vittore con un banketto di controinformazione.

 

21.5.2000

     Napoli. Dopo la manifestazione davanti al carcere di Poggioreale, e l’astensione dal vitto di tre giorni dei detenuti, l’Osappe (uno dei più forti sindacati autonomi della Polizia Penitenziaria) indice una conferenza stampa “finalizzata a mitigare le tensioni tra detenuti e agenti di polizia penitenziaria”. I sindacalisti dichiarano che non temono le inchieste giudiziarie anche a Poggioreale, “ricettacolo delle più gravi malattie infettive come Aids, Tbc, epatiti, scabbia, pediculosi”.

 

     Roma. I detenuti del carcere di Rebibbia mettono in atto lo sciopero del carrello (rifiuto del vitto), il rifiuto di scendere all’ora d’aria dalle 13.00 alle 15.55, la battitura delle sbarre dalle 22.30 alle 23.30.

 

23.5.2000

     Prosegue la protesta di Rebibbia con la battitura delle sbarre, il rifiuto del vitto e dell’ora d’aria.

 

24.5.2000

 

     La Conferenza Episcopale italiana chiede allo stato italiano un atto di clemenza per i detenuti.

    

     I detenuti di Regina Coeli sospendono le agitazioni iniziate alcuni giorni fa. In un comunicato si dichiarano fiduciosi nell’impegno assicurato da alcuni parlamentari in visita al carcere. 

 

     Prosegue invece la protesta dei detenuti di Rebibbia che presentano la loro piattaforma di lotta ad una delegazione di deputati in visita al penitenziario. Tra le azioni di lotta oggi c’è anche l’astensione dal lavoro, dalla frequenza delle attività scolastiche e culturali.

 

      La piattaforma di Rebibbia.

a)       Indulto di tre anni, generalizzato per tutti.

b)       Applicazione con maggiori automatismi della legge Gozzini.

c)       Depenalizzazione dei reati minori.

d)       Facilitazione all’espulsione dei detenuti stranieri che ne fanno richiesta.

e)       Decarcerizzazione dei tossicodipendenti.

f)        Aumento degli organici degli educatori, psicologi e magistrati di sorveglianza.

g)       Qualificazione della polizia penitenziaria.

h)       Adeguamento delle strutture penitenziarie alle esigenze della risocializzazione.

i)         Riduzione dei termini della custodia cautelare.

25.5.2000

     Un’emozione fortissima.

Come a Poggioreale venerdi’ 19, cosi’ a Rebibbia. Fuori-dentro. Parenti, mogli, amici, figli, compagne, compagni. Voci, rumori, luci. Da dentro: Battitura di pentole, acccendini, luci spente e accese aintermittenza, uno striscione da una cella “la voce dei dimenticati”: LIBERI! LIBERI! LIBERTA’!
Fuori pentole, coperchi, clacson, giornali bruciati,
”LIBERI! LIBERI!”, uno, due, tre, tutti insieme “SIAMO CON VOI, SIAMO CON VOI!”
DALLE 22:30 ALLE 23:30 TUTTE LE SERE FINO A GIOVEDI’ 25 MAGGIO SOTTO REBIBBIA.Voce ai senza voce, e la voce se ne va, corde vocali torturate. Ma una gioia di aver gridato e di aver perso la voce. Nel frattempo rientrano le persone in semidetenzione, passano, fanno un saluto
alla folla chiassosa, entrano dentro il mostro che rinchiude le loro notti.

     La protesta dei detenuti di Rebibbia èandata avanti fino al 30 maggio.

 

29.5.2000

     Mara Malavenda, parlamentare dei Cobas, presenta una interrogazione parlamentare sulla situazione del carcere di Poggioreale.

 

30.5.2000

     Rinviato un concerto degli Assalti Frontali programmato nel carcere romano di Rebibbia. Il direttore dell’Istituto ha giustificato il rinvio per la troppa tensione che c’è nelle carceri. Il rapper Militant A è comunque riuscito ad incontrare i detenuti, che hanno deciso di continuare la protesta. Si dissociano dalla decisione dei compagni di Regina Coeli che hanno ceduto alle pressioni di alcuni politicanti di interrompere la protesta “in cambio di permessi, lavori esterni…”. I detenuti dichiarano che “sono vent’anni che succedono cose come in Sardegna, è stato solo uno scontro tra poteri istituzionali a fare scoppiare la bomba”. “Il governo con una mano vorrebbe migliorare il carcere e con l’altra presenta un pacchetto sicurezza per l’esecuzione della pena dopo il secondo grado”.

 

     Una ragazza di 28 anni muore nel carcere di Ragusa per un accesso ai denti non curato. La vicenda è accaduta il primo maggio, ma solo oggi se ne è avuta notizia. La donna era detenuta per una condanna a 7 mesi per furto ed il primo luglio sarebbe tornata a casa. Nel 1999 i morti in carcere sono stati 83; 59 i suicidi; 920 i tentati suicidi; 6.536 gli atti di autolesionismo.

 

     Per Giancarlo Caselli 500 miliardi renderebbero le carceri più vivibili. L’indulto farebbe risparmiare allo stato 1600 miliardi che potrebbero essere investiti nell’assunzione di nuovo personale.

 

2.6.2000

    I compagni e le compagne di Parma ‘per l’autonomia di classe organizzano un’assemblea cittadina per discutere sull’attuale situazione nelle carceri e delle lotte dei detenuti.

 

3.6.2000

     Parma. Manifestazione per le strade della città e presidio sotto il carcere di via Burla in solidarietà con le detenute e i detenuti in lotta nelle galere italiane e nel mondo.

 

     Il Ministro Fassino propone l’istituzione di circuiti differenziati per detenuti tossicodipendenti, con strutture sganciate dal carcere, di piccole dimensioni, collegate al territorio. Finora i tossici sono stati assistiti dai Sert e dai presidi sanitari interni al carcere.

 

     I deputati Mara Malavenda e Paolo Cento, il consigliere regionale di Rifondazione Franco Maranta, i centri sociali Officina 99 e Ska, le associazioni Antigone e Lila visitano il carcere di Poggioreale. Vittorio Agnoletto, presidente della Lila, chiede al Direttore del carcere  informazioni sul trattamento adottato nei confronti dei tossicodipendenti  che entrano nella struttura. Il presidente della Lila ricorda che un recente provvedimento del direttore generale Caselli impone ai direttori delle prigioni l’uso del metadone per i tossicodipendenti in crisi di astinenza. Ma quale metadone, risponde il direttore ilare, qui non ne abbiamo bisogno. Ma c’è la direttiva, incalza Agnoletto. E il direttore: “E noi la applichiamo a modo nostro”.

 

     Carcere di Nuoro. Il testo della perizia medico-legale sul corpo di Luigi Acquaviva, morto il 23 gennaio, non conferma il suicidio e documenta invece i segni delle percosse, con segni di violenza diffusi su tutto il corpo del detenuto.

 

     Torino. Proiezione del film “Le rose blu” di E. Piovano, girato all’interno delle carceri ‘Le Nuove’ di Torino, protagoniste le detenute, alcune delle quali morte nel rogo del 3 giugno 1989 (nel giugno dell’89 in un incendio nella sezione femminile del carcere torinese morirono 11 ragazze detenute. Promotori dell’iniziativa associazioni e collettivi di movimento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    Dal primo gennaio 2000 una legge, voluta dall’ex ministro della Sanità Bindi, trasferisce la medicina penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale. Attualmente si è ancora in attesa dei decreti attuativi di questa legge e si va avanti con due circolari della Bindi e di Diliberto e una del Dap, emessa da Caselli.

Le circolari prescrivono la prevenzione attraverso analisi; terapie farmacologiche e psicologiche; presa in carico immediata da parte dei Sert assicurando la continuità assistenziali; terapia metadonica. Per Giancarlo Caselli all’uso del metadone non dev’essere opposto nessun ostacolo o resistenza”.

6.6.2000    

     Dopo due settimane i detenuti di Rebibbia sospendono lo sciopero della fame dopo gli impegni assunti dai parlamentari presenti all’incontro del 30 maggio per un provvedimento di amnistia e indulto.

 

7.6.2000

     L’Osappe, sindacato autonomo della polizia penitenziaria, indice per il prossimo 16 giugno uno sciopero della fame ad oltranza dei suoi dirigenti ‘davanti alla Casa Circondariale di Napoli-Poggioreale, da sempre simbolo delle situazioni periferiche gravi e irrisolte dell’Amministrazione e dei disagi del personale’.

     Di nuovo una manifestazione nazionale dei poliziotti penitenziari davanti a Poggioreale.

12.6.2000

     Sciopero dei detenuti in tutte le carceri italiane a sostegno della nuova piattaforma di rivendicazioni proposta dall’associazione Papillon di Roma Rebibbia.

 

13.6.2000

     Indulto-amnistia. Scontro tra Ds e Forza Italia sui contenuti dell’eventuale provvedimento indulgenziale. I forzisti spingono per un’amnistia ampia, che copra anche i reati di tangentopoli. Intanto all’ordine del giorno della Camera arriva oggi la discussione sul pacchetto sicurezza.

 

15.6.2000

     Sergio Segio e Sergio Cusani, a Roma per sostenere la loro ipotesi di amnistia, vengono ricevuti a Palazzo Chigi, in Vaticano e dal Polo. Pietro Folena dichiara che il centrosinistra presenterà un ddl che recepisce le indicazioni contenute nella proposta di Cusani e Segio, rispondendo anche all’appello lanciato dalla Chiesa. Nel provvedimento, però, ci saranno due paletti saldi: nessuna amnistia per i reati di tangentopoli né per quelli di grave allarme sociale.

     Contraria alla concessione di un provvedimento indulgenziale generalizzato anche la maggioranza del CSM. Il rifiuto è netto anche per il Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Giuseppe Gennaro,: “dopo ogni amnistia le carceri sono tornate piene dopo pochi mesi. Sarebbe necessario collegarla a un provvedimento più generale di decriminalizzazione e di interventi sul recupero post-carcerario”.

 

   Sul piano istituzionale tutto appare immobilizzato. Alla commissione giustizia del Senato la discussione sulle proposte di amnistia-indulto non sono neppure state messe nel calendario.

 

     Due tunisini sono evasi dal centro di permanenza temporanea di Trapani, dov’erano rinchiusi in attesa del rimpatrio. Il centro di Trapani era stato teatro nel dicembre scorso di una tragica rivolta. Alcuni immigrati avevano appiccato il fuoco nella camerata dov’erano stati rinchiusi dopo un tentativo di fuga. Nel rogo morirono carbonizzati due stranieri, e altri tre erano deceduti in ospedane nei giorni successivi.

 

     Antonio Di Pietro scende in campo contro le ipotesi di concessione di amnistia. Le dichiarazioni favorevoli di molti esponenti di Forza Italia, dichiara l’ex Pm, svelano che dietro la voglia di amnistia c’è una voglia di impunità.

     Le proposte attualmente presentate

 

a)       Disegno di legge Manconi-Saraceni: prevede la concessione dell’amnistia per ogni reato non finanziario per il quale è stabilita una pena detentiva massima non superiore a quattro anni, e per una serie di reati ritenuti di minore gravità. Anche l’indulto è previsto nella misura non superiore a due anni. I beneficiari potrebbero essere circa 14.000.

b)       Disegno di legge Pisapia-Russo Spena: l’amnistia sarebbe condizionata, cioè, l’eventuale beneficiario nei successivi cinque anni dovrà dare prove effettive e costanti di buona condotta e volontà di reinserimento. Sull’indulto si arriva fino a 3 anni e senza eccezioni. I fruitori sarebbero circa 17.000.

c)       La proposta Cusani-Segio. Nella sua versione più radicale prevede  la concessione dell’amnistia – seppur condizionata – per reati fino a 5 anni di pena massima, comprendendo quindi anche il reato di falso in bilancio. L’indulto è previsto per 3 anni.

16.6.2000

     Il consiglio dei ministri vara il nuovo Regolamento Carcerario, che sostituisce quello del 1976.

 

 

    Giuliano Pisapia, componente della commissione Giustizia, visita il carcere di Cagliari.

 

     Indetto uno sciopero della fame pubblico per richiamare l’attenzione sulla gravità della situazione carceraria si svolgerà a Roma, a Castel S. Angelo, dal 21 giugno al 9 luglio, giorno del Giubileo dei detenuti. Hanno aderito, tra gli altri, Pietro Ingrao, Lidia Ravera, Erri De Luca, Tullia Zevi, Moni Ovadia e Gianni Ippoliti. E, tra le associazioni, Antigone, Arci ora d’aria e Nessuno tocchi Caino. 

     Le novità del nuovo regolamento

 

-          migliori condizioni igienico-sanitarie

-          servizi sanitari più mirati alle specifiche patologie

-          modalità di trattamento più rispettose della personalità del detenuto

-          mediatori culturali per stranieri

-          più lavoro extracarcerario

-          diffusione della scuola dell’obbligo in tutti gli istituti

-          locali e ministri del culto per la celebrazione di riti non solo cattolici

-          i colloqui mensili passano da 4 a 6 senza vetro divisorio

-          possibilità di trascorrere parte della giornata con i familiari in appositi locali o all’aperto

-          incremento del numero e della dutata delle telefonate.

Resta fuori per ora il capitolo sull’affettività in carcere, bocciato dal Consiglio di Stato

17.6.2000

     Il Collettivo contro la repressione di via dei Transiti organizza una giornata di mobilitazione fuori al carcere di Milano Opera.

 

18.6.2000

     Giancarlo Caselli, Direttore delle carceri, presenta un piano di differenziazione degli istituti penitenziari. Quattro modelli che favorirebbero una graduale fuoriuscita dalle prigioni e un progressivo reinserimento sociale. Un circuito per i detenuti più pericolosi, uno dove scontare pene secondarie, un terzo per le pene brevi e infine un circuito ampio per chi si trova in regime di custodia attenuata.

 

     Samir  non è morto, se n’è andato via.

     Un detenuto extracomunitario si suicida nel carcere di Pisa. Scontava una condanna a pochi mesi per spaccio, stava per uscire, ha picchiato una guardia, è stato messo in isolamento, si è impiccato con la giacca del pigiama.

 

20.6.2000

     Conferenza stampa al Senato del coordinamento di associazioni e personalità politiche che si battono per l’amnistia. Ovidio Bompressi annuncia che nella giornata di domani inizierà  a Roma il digiuno pubblico che continuerà fino al 9 luglio, giorno del giubileo dei detenuti. Pietro Ingrao chiede che il Parlamento dedichi una seduta speciale ai temi delle carceri dove possano parlare le delegazioni parlamentari che vanno in giro per le prigioni.

Alcuni deputati di Alleanza nazionale hanno protestato per la presenza di Bompressi e di Francesca Mambro nella saletta del Senato dove si è svolta la conferenza stampa. Nella giornata di oggi la commissione giustizia del Senato deciderà se iscrivere o meno la questione amnistia all’ordine del giorno. Intanto il partito della Quercia si spacca tra i giustizialisti della tolleranza zero, capitanati da Ayala, e i cerchiobottisti guidati da Fassino.

 

21.6.2000

     Feroce presa di posizione contro le ipotesi di amnistia del Procuratore Generale di Milano, Francesco Saverio Borrelli. Il capo di mani pulite attacca gli uomini politici che hanno portato in parlamento ‘un terrorista e un corruttore’, riferendosi a Sergio Segio e Sergio Cusani. In una improvvisata conferenza stampa Borrelli invita Wojtyla a non ficcare il naso negli affari interni dello stato italiano. La Commissione Giustizia del Senato rinvia di una settimana l’iscrizione all’ordine del giorno del tema dell’amnistia. L’Associazione Nazionale Magistrati esprime forti perplessità su provvedimenti indulgenziali.

 

22.6.2000

     L’Amministrazione Penitenziaria consegna alla Commissione giustizia del Senato un rapporto sulla situazione delle carceri.

 

 

 

 

 

 

 

    

  Molte le reazioni negative alle dichiarazioni fatte ieri dal Procuratore Generale di Milano Francesco Saverio Borrelli. Sul piano politico siamo allo stallo totale. La Quercia è il primo partito ad opporsi ai provvedimenti di amnistia, anche se non arrivano a pronunciare un no secco. Come non lo fanno Forza Italia e An. Il partito di Fini ha anzi aperto uno spiraglio, chiedendo di approfondire la questione dei reati che sarebbero coperti dal provvedimento.

 

 

 

 

 

 

 

    Festa del Corpo di Polizia Penitenziaria; presenti il capo dello stato, il ministro della giustizia e Giancarlo Caselli. Fassino legge le cifre del sovraffollamento penitenziario e promette di rinfoltire gli organici del personale penitenziario (1200 educatori e 1500 poliziotti penitenziari). Per Caselli nessun intervento riformatore è possibile se non si affronta il problema della presenza dei 15.000 detenuti in più  rispetto ai posti letto delle nostre prigioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

     Il rapporto del Dap.

     Secondo il documento presentato dall’Amministrazione Penitenziaria i detenuti in Italia sono 53.507 a fronte di una capienza regolamentare di 42.749 persone. I condannati sono 28.104, gli imputati in attesa di giudizio 23.933, gli internati 1.470. I detenuti stranieri sono 14.803, i tossicodipendenti 15.097. In 8.783 sono in cella per condanne fino ad un anno, 5.147 da uno a due anni, 3.611 da due a tre anni.

 

    Una parte importante della prossima campagna elettorale si giocherà di certo sui temi della sicurezza, ed i sondaggi d’opinione che in questi giorni sono apparsi sui giornali sconsigliano alle grandi forze politiche di sbilanciarsi troppo sul tema dell’amnistia. Il pacchetto sicurezza, attualmente in discussione alla Camera, prende di mira proprio quei cosiddetti reati di strada (furti, scippi, rapine)  che dovrebbero essere interessati da un eventuale indulto-amnistia, e nelle strategie politiche dei partiti c’è sicuramente più attenzione all’alto valore elettorale aggiunto che la repressione di questi reati è in grado di esprimere, piuttosto che ad evitare qualche casino nelle carceri.

 

   Secondino Pride

     Ad accogliere i 54.000 detenuti che stazionano nelle  nostre prigioni ci sono 34.000 posti letto, 44.000 agenti di polizia penitenziaria e una sparuta pattuglia di operatori del trattamento.

       In Germania per custodire 60.000 detenuti vengono impiegati 26.000 addetti alla sorveglianza; al contempo, i tedeschi pagano 9.500 addetti alle funzioni trattamentali. In Francia vengono ritenuti sufficienti 19.000 agenti per assicurare la sicurezza nelle carceri, che ospitano 58.000 detenuti; le unità di personale socio-educativo sono 6500.

     L’apparente paradossalità della situazione italiana in cui, nonostante l’elevato rapporto tra agenti e detenuti, si continuano ad assumere poliziotti penitenziari a colpi di decreti da un migliaio di unità all’anno, è il segno tangibile di ciò che questa Amministrazione ha fatto negli ultimi anni: riprodurre, in forma esponenziale, le sue più antiche vocazioni repressive attraverso un’assoluta egemonia delle regioni dell’ordine e della sicurezza.

     La pacificazione delle carceri operata dalla Gozzini e la montante ondata punitiva proveniente dall’opinione pubblica nazionale ha posto finora l’Amministrazione Penitenziaria al riparo da pressanti esigenze di governo interne e da ogni forma di controllo democratico esterno, in particolare al Sud.

     Ciò ha trasformato il carcere in un territorio dove scorrazzano indisturbati voraci appetiti corporativi che si muovono in una logica esclusiva di accumulo di privilegi. I detenuti, in tutto questo, sono diventati l’ultimo dei problemi.

     La smilitarizzazione del Corpo degli agenti di custodia avvenuta nel 1990 e la conseguente sindacalizzazione di questo soggetto, frutto di autentiche istanze di democratizzazione di questo contesto istituzionale, è precipitata su terreni di lotta corporativa che hanno soffocato ogni residuo progressivo che quel provvedimento legislativo conteneva.

     Lo sgelamento delle carriere del personale dirigente del neonato Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria operato da questa riformariforma, con l’ingresso dei direttori negli uffici centrali e periferici del Dipartimento, ha portato questo personale in una situazione di accesa concorrenza per la conquista di una poltrona ministeriale,il  che significa, almeno per loro, la possibilità concreta di liberarsi dalla necessità del carcere.

     Condizione essenziale perchè si possa ambire a questi salti della carriera è che nei loro curriculum personali non vi siano ‘incidenti’, cioè che negli istituti sottoposti alla loro direzione non si verifichino problemi rilevanti sotto il profilo della sicurezza.

       Tutto ciò ha alimentato e rafforzato quella cultura gestionale che valuta positivamente le situazioni in cui ‘non succede nulla’, piuttosto che quelle che possono vantare ‘eventi significativi’. Un direttore viene giudicato sulla base del criterio del ‘non aver mai fatto parlare di sè, piuttosto che della valutazione oggettiva dell’aderenza alla legge del suo operato.

     Questa situazione ha ancor più accresciuto il potere della polizia penitenziaria, vera ed unica garante della sicurezza, dell’ordine e della disciplina negli istituti, e peggiorato progressivamente i livelli di vivibilità della condizione detentiva.

     La forza di questo soggetto istituzionale, una forza incontestabile sia per i numeri che per le funzioni, ha appiattito questa Amministrazione su posizioni di pura separazione e conservazione di se stessa. La gran parte delle risorse economiche ed umane pervenute ai penitenziari negli anni novanta sono andate quasi esclusivamente a rafforzare le ‘impellenti ragioni della sicurezza’.

     I benefici economici, normativi e di carriera conquistati dai neonati agenti di polizia penitenziarie hanno conservato a questo personale un sistema previdenziale speciale e veloci automatismi  nei passaggi di carriera. Il tradizionale senso di separatezza di questo corpo militare dal resto del mondo del lavoro si è così rafforzato, consegnando grande visibilità e credito alle loro rappresentanze sindacali.

     Si tratta di un sindacalismo fortemente corporativo, che ha alimentato ideologie dell’appartenenza militaresca che stanno producendo profondi e pericolosi guasti.

     Il potere di condizionamento che questi sindacati esercitano sulle scelte dell’Amministrazione è veramente enorme, e può essere ritenuto senza dubbio responsabile di una parte importante dell’irrigidimento dei regimi disciplinari.

     L’indubbia capacità che hanno dimostrato nella vicenda di Sassari di tradurre in un proprio vantaggio un momento di grande difficoltà nato dall’indignazione con cui l’opinione pubblica aveva accolto la notizia del pestaggio, ne è una prova sconcertante.

23.6.2000

     Protesta di detenuti nel carcere di Trieste. Sul posto giungono immediatamente pattuglie della polizia e dei carabinieri e squadre dei vigili del fuoco. I detenuti agitano pezzi di lenzuola in fiamme e lanciano carca bruciata dalle finestre. Battitura di stoviglie contro le sbarre delle celle.Il direttore del carcere, Enrico Sbriglia, ha precisato che la protesta si è svolta in maniera pacifica e senza incidenti. Le immagini del carcere, ubicato al centro della città, sono state trasmesse da tutti i telegiornali. “E’ il segnale che 54.000 detenuti aspettavano nelle 217 carceri italiane” (La Repubblica 26.6.2000).

 

24.6.2000

      Dopo la messa in onda nella mattinata delle immagini del carcere di Trieste in rivolta, “in poche ore la febbre attacca come un virus in altri istituti: a Bologna, a Genova, a Milano, a Bergamo,a Napoli, dove rispondono spontaneamente gli oltre tremila detenuti di Secondigliano e Poggioreale. “Le proteste non sono violente – scrive La Repubblica – perché i direttori restano nelle carceri e parlano con delegazioni dei detenuti”.

     Per la seconda notte consecutiva i detenuti del Carcere di Trieste proseguono la protesta con lanci di lenzuola in fiamme e battitura.

 

     Giancarlo Caselli dichiara al Tg3 che ‘la protesta può essere legittima, ma gli incidenti e le provocazioni non aiuterebbero ad accelerare le riforme”. Scende in campo a favore dell’amnistia anche il Presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Conso. Il Ministro della Giustizia Fassino chiede al Parlamento di decidere in fretta

 

    Il Procuratore Generale di Milano, Francesco Saverio Borrelli, apre parszialmente sull’amnistia. “L’amnistia può essere accettata, sia pure a fatica, - ha dichiarato Borrelli – ma solo se affiancata da provvedimenti strutturali importanti…” .

     I sindacati della Polizia Penitenziaria Sappe e Sinappe dichiarano lo sciopero in bianco per protestare contro la scarsa attenzione che la prossima finanziaria dedicherebbe agli aumenti salariali delle guardie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    Sciacallaggi

 

     Le pesanti ricadute che hanno sui detenuti la forma di lotta dello sciopero in bianco (difficoltà nei colloqui con i familiari, nella consegna dei viveri, meticolosità delle perquisizioni, rallentamento di tutte le attività formative, culturali e sportive dentro agli istituti, sono una incredibile provocazione che i questi sindacati dei poliziotti penitenziari intendono lanciare nell’arena incandescente delle carceri. La spregiudicatezza e l’arroganza con cui si decide, in questo momento, di utilizzare la sofferenza dei detenuti per trarne vantaggi corporativi, è la prova lampante della estrema pericolosità che questi sindacati oggi rappresentano. Il messaggio è chiaro: far precipitare il conflitto nelle prigioni per poi presentarsi come gli unici di affrontare lo scontro sul piano militare.

25.6.2000

   Napoli. Particolarmente dura è la protesta nel penitenziario napoletano di Poggioreale, dove alle richieste di un provvedimento indulgenziale si aggiungono le denunce sul clima di violenza e intimidazione che si respira nell’istituto. 2070 detenuti, per una capienza ‘tollerabile’ di 1200. Anche nel penitenziario di Secondigliano la protesta va oltre la richiesta di amnistia. Qui ci sono oltre 1300 detenuti, cioè oltre il doppio della capienza tollerabile. I detenuti denunciano che, da quando ha aperto il nuovo carcere,  alcuni reparti d’estate rimangono senz’acqua per alcune ore al giorno. Un documento firmato dai detenuti del reparto S2 viene inviato al Procuratore Capo Agostino Cordova, con la richiesta di aprire un’indagine sulle condizioni di vita di Secondigliano.

 

 

 

 

    Napoli. Prosegue la protesta negli istituti di Poggioreale e Secondigliano, con la battitura, il lancio di carce incendiate dalle finestre delle celle, l’esposizione di striscioni di protesta. I detenuti dell’S2 di Secondigliano hanno scritto in un documento che se entro dieci giorni non avranno alcun segnale dalla Procura di Napoli sulle denunce presentate ieri, inizieranno lo sciopero della fame. Secondo il quotidiano Il Mattino, “il direttore di Poggioreale, Salvatore Acerra, ieri, nonostante la giornata festiva, era al suo posto di lavoro”.

 

     Comunicato Ansa

     “Carceri: amnistia, monta la protesta, ma non è ancora emergenza. (ANSA) - ROMA, 26 GIU

    Il dibattito in corso nel mondo politico, sull'
opportunita' di varare decreti per la concessione dell' amnistia e dell' indulto, ed il varo, da parte del Governo, del nuovo regolamento carcerario,
non sembrano placare le proteste all' interno delle carceri.
     Sovraffollamento, liberta', amnistia sono le parole d' ordine che hanno fatto scattare, da Trieste, la reazione dei reclusi, che non e' mai, comunque, degenerata in violenza. Per Gianfranco Gianfrotta, direttore dell' Ufficio Detenuti del Dap, ''bisogna avere il coraggio di sperimentare soluzioni nuove, forme di custodia diverse da quelle che fino a oggi si sono realizzate''. In sostanza ''una presenza del personale di custodia meno forte di quanto oggi non sia rispetto a fasce di detenuti che per la
regolarita' della vita all' interno degli istituti penitenziari non presentino particolare pericolosita'''. Il tam tam della protesta e' arrivato nelle carceri di Poggioreale e Secondigliano dove, la scorsa notte, i detenuti dei due istituti di pena napoletani hanno dato voce all' esasperazione, chiedendo amnistia ed indulto, ma anche migliori condizioni all' interno dei reclusori. Due ore di tensione anche nel carcere di Pontedecimo, nel ponente genovese, dove ieri due ore di protesta hanno fatto temere un innalzamento della tensione. Uno ''sciame sismico'' di proteste dietro le sbarre che sembra potere percorrere tutta la Penisola. E che ha toccato anche Bergamo senza pero' degenerare. A Trieste la protesta si e' conclusa nella notte di sabato, anche se e' ripresa piu' tardi per circa quarto d' ora. A Bologna la protesta e' arrivata per posta: dal carcere di Dozza un gruppo di detenuti afferma in una lettera di aver iniziato uno sciopero della fame. I detenuti del carcere friulano hanno agitato pezzi di lenzuola in fiamme e lanciato carta incendiata dalle finestre. Dall' esterno si e' sentito il battere di oggetti contro le inferriate, le porte e le
pareti delle celle. Le richieste: la concessione dell' amnistia e un incontro con il direttore del carcere, Enrico Sbriglia. Nel carcere di Trieste la capienza e' di circa 150 posti a fronte di 210 detenuti. I detenuti della struttura circondariale di Bergamo, invece, oggi hanno rinunciato all' ora d'aria, rifiutato i pasti e i pacchi inviati dai familiari non sono stati ritirati. E' poi iniziata una azione di disturbo
sonoro. Nei due istituti di pena napoletani la protesta e' stata caratterizzata da slogan gridati e da pentole e piatti ripetutamente battuti sulle inferriate delle celle. A Secondigliano ci sono stati anche lanci di carte e di stracci accesi dalle finestre. La protesta, cominciata poco prima di mezzanotte, si e' conclusa intorno alle 2. Poco piu' tardi e' tornata la
calma anche a Poggioreale.” (ANSA)

     Capienza tollerabile.

 

     Nei documenti ufficiali che divulga l’amministrazione penitenziaria si trova sempre il doppio dato della capienza, e della capienza tollerabile. Per capienza si intende il numero di posti letto previsti dai progettisti della struttura carceraria; per capienza tollerabile il numero di persone che possono essere infilate in un cubicolo lasciando un metro di spazio tra i letti a castello. La capienza tollerabile viene stabilita sulla base di ‘relazioni tecniche’ delle direzioni delle carceri.

 

     Non tutti  sanno che

     Il prestigio, ma soprattutto la carriera di un direttore, si misura anche dalla grandezza della struttura che ha diretto (e per grandezza si intende il numero di carcerati che ha custodito). Nella recente riforma della dirigenza dei penitenziari, una delle condizioni per aver riconosciuto al proprio istituto lo '‘status di prima dirigenza'’ è appunto il numero di detenuti ospitati.

26.6.2000

     Si diffonde la protesta in tutte le carceri italiane. A Novara un incendio appiccato nella notte ai materassi di una cella manda all’ospedale sei agenti, intervenuti per sedare le fiamme.

In toscana la protesta coinvolge i penitenziari di Livorno, Firenze, Pisa, Prato, S. Gimignano e Pistoia. Agitazioni anche a Lecce, Ancona, Bologna, Lanciano, Teramo, Chieti, Bergamo (dove  un agente è rimasto ferito), Parma, Modena, Padova, Pesaro, Fermo, Alessandria, Udine, Pordenone, Palermo e Trento. A Trieste, il carcere che ha lanciato l’ultima ondata di proteste, proseguono le agitazioni con uno sciopero della fame, il rifiuto dei colloqui e dei pacchi, astensione dagli incontri con gli avvocati e diserzione dalle aule di tribunale. Grave appare la situazione di Roma Rebibbia, dove i poliziotti avrebbero lanciato lacrimogeni contro un centinaio di detenuti, che avevano appiccato il fuoco ai materassi e alle suppellettili. A Bergamo un agente è stato ferito al braccio con una lametta da barba da un detenuto extracomunitario.

     Il Direttore Generale del Dap, Caselli, ordina agli agenti di mantenere la calma e di non reagire.

 

     Il Viminale dà l’allarme. Allertati i Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica.

 

     Napoli. In tutte le strutture carcerarie della regione si segnalano manifestazioni e proteste dei detenuti. Particolarmente pesante è la situazione nei due penitenziari napoletani. Striscioni appesi alle finestre sbarrate di Secondigliano chiedono amnistia ma anche condizioni di vita meno pesanti. Nel carcere di S. Maria Capua Vetere i detenuti hanno incendiato le lenzuola. A Secondigliano sopo apparse lenzuola con scritte polemiche contro la Magistratura di Sorveglianza il cui Presidente, Angelica Di Giovanni, sta ricevendo in queste ore decine di fax da tutte le case di pena di Napoli e provincia.

     Il prossimo 8 luglio il cardinale Giordano si recherà  nella casa di pena di Secondigliano nell’ambito delle manifestazioni per il giubileo dei detenuti. Contemporaneamente, davanti al carcere, i familiari dei detenuti daranno vita ad una fiaccolata. La manifestazione è stata organizzata dalla Caritas e da altre associazioni di volontariato religioso.

      A Poggioreale è stato di massima allerta. Un agente intervistato da La Repubblica ammette che gli agenti cominicano ad avere paura. Nicola Sanseverino, sindacalista del Sappe, dichiara di essere favorevole all’amnistia. Emilio Fattorello, segretario regionale dello stesso sindacato, ammette che dopo i fatti di Sassari il rapporto tra agenti e detenuti è sul filo del rasoio, e minaccia di chiamare gli agenti ad effettuare uno sciopero bianco.

     Leo Beneduci, segretario dell’’Osappe, sindacato dei poliziotti penitenziari, accusa il  governo di non avere alcuna politica sull’aumento degli organici e sul riassetto delle carriere degli agenti. Per questo motivo il direttivo dell’Osappe ha indetto uno sciopero della Fame.

 

    Qualcosa comincia a sbloccarsi tra le forze politiche. Oggi l’argomento verrà discusso nel vertice di maggioranza con Amato: la linea che si sta affermando nel centrosinistra è favorevole ad un indulto. L’inversione di marcia è particolarmente vistosa tra i DS. Anche AN, dopo l’impegno mostrato da Fassino di inserire nel Dpef fondi per le prigioni, ha di molto ammorbidito il suo veto iniziale. Decisamente contro l’amnistia sono invece Antonio di Pietro e Luciano Violante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

     Sciacallaggi

     L’Osappe è impegnato in un duro scontro con il primo sindacato dei poliziotti penitenziari, il Sappe, per la conquista della maggioranza degli iscritti. Dopo l’indubbia egemonia che il Sappe ha esercitato nei giorni caldi delle vicende di Sassari, l’Osappe sta cercando adesso di recuperare visibilità attraverso un forte attivismo che si sta manifestando soprattutto sulla scena napoletana, area in cui vanta un buon insediamento.