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Fonte: Associazione "Nessuno tocchi Caino" Il carcere duro? Non è solo per i boss di Maurizio Turco e Sergio D’Elia, dell’Associazione "Nessuno tocchi Caino"
Libero, 20 agosto 2002
Tra i detenuti sottoposti al regime del 41 bis ce ne sono molti condannati per reati non legati al crimine organizzato o perfino in attesa del giudizio definitivo.
Le 13 sezioni dei 41 bis sono quasi sempre in una palazzina separata dal resto del carcere e 6 di queste hanno una cosiddetta Area Riservata per i detenuti "eccellenti" del tipo di Totò Riina e Leoluca Bagarella, 17 in tutto. Di solito sono al piano terra della sezione, la meno areata e illuminata, con il bagno nella stanza che spesso è un cesso alla turca. Il "passeggio" di questi detenuti "speciali" è una possibilità spesso non sfruttata, perché vuol dire andare in una gabbia di cemento armato di tre metri per cinque e alta tre metri, chiusa in cima da una rete. I detenuti dell’Area Riservata sono totalmente isolati dagli altri in 41 bis, ma in quest’area sono finiti anche carcerati dallo scarso rilievo criminale, i quali sono stati designati dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a fare da compagni ai "capi di Cosa Nostra" dopo che i giudici hanno riconosciuto anche a loro il diritto alla socialità. È quanto accaduto a Salvatore Savarese, un condannato per associazione a delinquere di stampo camorristico entrato in carcere nell’82 e poi rientrato nel ‘99 per una condanna a 3 anni. È stato messo al carcere duro di Ascoli nell’aprile 2001, proveniente da Trani dove non era in 41 bis e ora non capisce cosa ci faccia lui in una sezione col "pericolo pubblico numero uno". Il risultato è che subisce un isolamento pressoché totale e le più dure condizioni del carcere duro: nel budello dell’aria non ci va quasi mai, né a fare socialità nella cella di Riina, "perché - ci ha detto - con tutte quelle telecamere e come andare nella casa del Grande Fratello".
Le sezioni "normali" del 41 bis
In alcune sezioni alle finestre delle celle ci sono fino a tre sbarramenti: il primo di sbarre vere e proprie, il secondo di una rete abbastanza fitta, il terzo fatto da una serie di fasce di ferro o di vetro antiscasso che formano una tapparella dalla quale filtrano poca aria e poca luce. I detenuti di queste celle hanno avuto un notevole abbassamento della vista. È una delle tante limitazioni che i detenuti di Viterbo, rivolgendosi al capo dello Stato, hanno definito "come sofferenze inutili e non ragionevoli, inflitte per mero sadismo, tanto da far maturare nel popolo dei reclusi la certezza che le stesse abbiano il solo scopo di annullare del tutto persino la loro coscienza e volontà". I rinchiusi in queste sezioni vanno all’aria, due ore al giorno, in gruppi di 6 o 7, così pure in socialità in una saletta. I passeggi per l’ora d’aria variano da carcere a carcere. Si va da quelli davvero ridotti a quelli grandi come campi di calcetto. Un terzo dei detenuti è in attesa di un giudizio definitivo, e molti di coloro condannati in via definitiva, hanno già scontato la pena per il reato "ostativo" alla concessione dei benefici penitenziari che ha motivato l’applicazione del 41 bis. Una prima cosa che si dovrebbe fare è vedere a chi e come è stato applicato il "carcere duro". Un esempio fra tanti, il caso di Giuseppe Chierchia, 36 anni, di Torre Annunziata (NA), entrato in carcere nel giugno ‘99 per un reato del ‘90 passato in giudicato (associazione finalizzata allo spaccio e altro) . È stato assolto nel 2001 dalla Corte di Assise di Napoli per i reati di associazione di tipo mafioso e omicidi per i quali sarebbe stato giustificato il 41 bis, al quale è stato assegnato sei mesi fa. Così, il detenuto descrive il suo caso nella lettera inviata ai Radicali: "Credo di essere l’unico in tutta Italia a stare in 41 bis con reati per i quali dovrei stare in un circuito normale. Per l’unico reato che sto scontando quando ero giudicabile ho avuto gli arresti domiciliari e poi la libertà provvisoria, ora non capisco il perché, da definitivo, lo devo scontare al 41 bis. Quando sono andato a discutere il 41 bis davanti al Tribunale di Sorveglianza di Perugia nel 2002 e il mio legale gli ha presentato tanto di sentenza di assoluzione per i reati che lo avrebbero giustificato, il tribunale non ha voluto tenerne conto. Così sto ingiustamente al 41 bis, privato del calore dei miei figli in tenera età. Non sono un mafioso né un camorrista".
Il vetro dello scandalo
I colloqui, uno al mese, si svolgono in un locale col vetro divisorio fino al soffitto, telecamerae, citofono per parlare coi parenti. Le sale vanno dalle più grandi, a Tolmezzo, alle più piccole di Viterbo e L’ Aquila dove consistono in due "cabine telefoniche" di 1 metro per 1 metro, una dalla parte del detenuto dove una persona ci sta, l’altra dalla parte dei famigliari, dove devono fare i turni. Poi ci sono quelle senza vetro divisorio, che servono per i dieci minuti di colloquio consentiti coi figli minori di 12 anni: hanno un bancone che consente il contatto fisico sottoposto a videoregistrazione. In queste sale si verificano di solito le scene più penose: bambini m tenera età che piangono e scappano dal padre, che non hanno mai visto, o non riconoscono. Sono diffusi i casi di figli minori di detenuti in 41 bis sottoposti a psicoterapia. Il vetro divisorio è il problema su cui tutti i detenuti si sono soffermati. "La nostra protesta civile è per abbracciare i nostri figli. Il vetro divisorio è una tortura psicologica, ci sono mezzi alternativi, telecamere e microfoni. Se lo mantengono è solo per farci pentire, ma il pentimento coercitivo non è genuino", hanno dichiarato. Nei decreti ministeriali di assegnazione al 41 bis, i familiari sono chiaramente visti come la fonte principale del pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica. Sui colloqui, con o senza vetro, è illuminante un episodio riportato nella Relazione del Procuratore Generale della Corte d’Appello di Caltanisetta. Da quel rapporto si evince che i colloqui coi familiari possono essere videoregistrati e costituire fonte di informazione utile per attività investigative e per prevenire reati... Con buona pace del vetro divisorio!
Chi ci mette del suo
Oltre alle limitazioni valide per tutti i detenuti in 41 bis, c’è poi il valore aggiunto limitante a discrezione del singolo direttore: la lista della spesa consentita varia da sezione a sezione; a Spoleto sono pericolosi i fagioli, a Parma le uova. In un carcere è consentito il walkman per studiare l’inglese in altri no. A L’Aquila è consentito indossare una giacca imbottita, durante l’inverno, privilegio che non possono avere i detenuti a Viterbo e a Novara. Nelle sezioni del 41 bis, i detenuti non possono frequentare corsi scolastici, si può studiare solo per proprio conto e l’unico intermediario coi professori è un educatore. Ciononostante, non sono rari i casi di detenuti che si sono diplomati in 41 bis o hanno conseguito una laurea.
Le donne in 41 bis
Le donne in 41 bis sono tre, tutte detenute a Rebibbia. Una, Maria Buompastore, è in carcere da 4 anni, in 41 bis dal 31 gennaio 2001. Condannata in primo grado con suo marito a 22 anni di carcere, ha tre bambini di cui uno malato di leucemia. Un’altra è Erminia Giuliano, arrestata nel dicembre 2000 e in 41 bis dal maggio 2002, è ancora in custodia cautelare. Nessun precedente penale, è in attesa del primo grado e in due anni non ha fatto ancora nessuna udienza. La terza e ultima donna in 41 bis è Teresa De Luca, condannata a 8 anni in appello per traffico di droga e poi andata definitiva, è stata arrestata nel dicembre 2000 per associazione camorristica e messa in 41 bis nel gennaio del 2000. "Mi hanno arrestato per far pentire mio figlio (Antonio Bossa De Luca, anche lui in 41 bis a Parma, in condizioni gravi di salute, ndr)", ha dichiarato. Ha altri quattro figli, di cui uno che è diventato balbuziente da quando l’ha vista in carcere.
La gabbia precedurale
I detenuti sono prigionieri anche di una sorta di "gabbia procedurale" dalla quale non riescono ad uscire se non per mezzo del pentimento: la proroga semestrale dei decreti non consente loro di ricorrere in Cassazione perché i tribunali di Sorveglianza rispondono ai loro reclami quando ormai il decreto è stato "rinnovato" e per la Suprema Corte viene meno l’interesse a prendere in esame il loro ricorso. Sicché, si contano sulle dita di una mano i casi di detenuti che hanno visto il loro reclamo accolto, una "vittoria di Pirro" perché nel frattempo un "nuovo" decreto ministeriale ha azzerato tutto.
Le videoconferenze
Molti sono i detenuti, condannati in processi fondati sul "sentito dire" dei pentiti, per i quali la possibilità di difendersi si è drasticamente ridotta da quando è stata inaugurata la videoconferenza. "Prima del 41 bis - ci ha detto un detenuto - ho vinto molti processi, poi con le videoconferenze ho cominciato a perderli, perché è impossibile difendersi, non riesco a far fare al mio avvocato una domanda a chi mi accusa che il pentito se ne è già andato". Le stesse modalità tecniche di comunicazione sono tali da non assicurare agli imputati di mafia una effettiva possibilità di difendersi. Ne è un esempio clamoroso proprio il cosiddetto "proclama" di Bagarella. Nessuno ha potuto ascoltare cosa ha detto realmente Bagarella quel giorno eppure - forse, grazie a questo - si è potuta aprire la fiera delle interpretazioni: messaggio in codice, ricatto politico, annuncio di guerre di mafia.
41 bis e diritti umani
È incredibile come tutti siano allineati sulla necessità di mantenere questo regime di 41 bis e come nessuno veda nell’applicazione di condizioni di pena cosi inumane un rischio di morte del nostro stato di diritto e del nostro senso di umanità. E chi parla di stato di diritto e di rispetto dei diritti umani anche nei confronti dei capi mafiosi, viene considerato un garantista ingenuo. Qui in discussione non è chi sono, cosa hanno fatto o cosa potranno fare questi detenuti, in discussione è chi siamo noi - noi Stato, noi società civile- cosa facciamo e cosa rischiamo di divenire se non riconoscessimo al peggiore degli assassini quei diritti umani che lui ha negato alle sue vittime. È proprio di fronte a casi estremi di efferatezza che si misura la forza di uno Stato, e la forza sta innanzitutto nel diritto, nel limite cioè che stabiliamo di porre a noi stessi, al nostro senso di giustizia, di rivalsa, di legittima difesa. Porre l’aggressore in condizione di non nuocere è obiettivo prioritario. Ma dopo aver visitato le sezioni del 41 bis, ci chiediamo se lo Stato italiano stia realizzando questo obiettivo o non stia invece vendicandosi di fatti orribili. Il giro "cella – a – cella" del 41 bis diventerà a breve un libro bianco che metteremo a disposizione del parlamento italiano che a settembre dovrà esaminare le proposte di proroga e/o di stabilizzazione del "carcere duro" e che presenteremo anche agli organismi europei e internazionali per la tutela dei diritti umani.
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