Polo Universitario a Firenze

 

Bozza per un documento preparatorio in vista dell’incontro del 27 marzo 2003 riservato a docenti, tutor, volontari e rappresentanti degli Enti impegnati nell’attività del Polo Universitario

 

Università degli studi di Firenze - Polo Universitario Penitenziario

 

Firenze, 18 febbraio 2003

 

In occasione della riunione del comitato didattico organizzativo dello scorso 22 novembre furono prese in esame delle possibili iniziative da organizzare (si veda il verbale della riunione al punto n° 7) nel corso del 2003. Poiché la scadenza della firma del protocollo da parte delle Università di Pisa e di Siena sarà determinata da circostanze che solo in parte dipendono da noi, la prima iniziativa su cui concentrarsi è quella prevista per il prossimo 27 marzo presso l’Auditorium del Consiglio Regionale in Via Cavour. Sono invitati, oltre ai rappresentanti degli Enti firmatari del Protocollo d’Intesa, i docenti dell’università che a qualunque titolo siano stati impegnati nel progetto, i tutor che hanno seguito e seguono gli studenti, i volontari che hanno garantito una presenza ed una collaborazione costante. L’invito sarà esteso, in accordo con l’Amministrazione Penitenziaria, ad altri operatori e dirigenti di istituti toscani nonché a rappresentanti del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia. Sarà certamente utile invitare rappresentanti di quei corsi di laurea che possano discutere delle proposte previste al successivo punto 3. Saranno infine invitati i rappresentanti degli gli enti sostenitori (l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e l’Ente Cassa di Risparmio di Prato) e la Fondazione G. Michelucci. Infine, saranno invitati rappresentanti delle Università di Pisa e Siena, che hanno iniziato quest’anno ad accogliere studenti detenuti.

 

Lo scopo principale rimane quello di incontrarci per la prima volta tutti insieme, offrendo così a ciascuno la possibilità di conoscere colleghi ed altre persone del cui lavoro si ha notizia, ma che non si è mai avuta l’occasione di incontrare direttamente. Per facilitare questo tipo di conoscenza e di relazioni, verrà inviato a tutti i partecipanti un elenco completo delle persone che, a vario titolo e con vari compiti, contribuiscono alla realizzazione dei corsi universitari per gli studenti detenuti.

 

Questa traccia dei lavori vuole consentire a tutti di inviare loro contributi, innanzitutto sui temi in discussione, ma anche su altri aspetti e problemi per i quali ci sia interesse.

A partire dal 20 marzo saranno disponibili una sintesi del rapporto di valutazione, eventuali approfondimenti o nuove proposte che siano pervenute, contributi di carattere personale.

 

In modo più specifico, l’iniziativa si propone quattro finalità:

  1. offrire a tutti coloro che con ruoli diversi sono stati impegnati in questi primi tre anni di attività un momento di incontro e un quadro complessivo del lavoro svolto;

  2. proporre alla discussione un primo rapporto di valutazione del triennio che, partendo dagli stessi criteri adottati dal nucleo di valutazione di ateneo, esplori anche le specificità del lavoro organizzativo e didattico nella situazione nuova che si è venuta a creare;

  3. impostare e discutere se e in che modo nella revisione triennale dei nuovi corsi di laurea (prevista per legge nel corso dell’anno accademico 2003-2004) si possano indicare conoscenze, competenze ed esperienze significative in quei corsi di laurea nel cui curriculum compaiano conoscenze, competenze ed esperienze relative all’area della marginalità, di cui il carcere costituisce un crocevia importante;

  4. verificare ed, eventualmente, decidere l’organizzazione, entro la fine del 2003 ed unitamente alle Università di Pisa e di Siena, di un primo incontro nazionale in cui l’iniziativa sin qui sviluppata venga proposta ad università, ad istituzioni pubbliche centrali e locali, al volontariato, in modo da favorire l’estendersi dell’impegno universitario nell’area del carcere e della marginalità sociale in termini di ricerca, didattica, sperimentazione.

Come si vede, si tratta di quattro temi importanti per i quali è facile prevedere che la giornata di lavoro si riveli insufficiente: è quindi probabile che dovranno essere attivati gruppi di lavoro come meglio apparirà più avanti.

 

Lo stato del progetto

 

La presentazione dello stato di attuazione del progetto si inserisce già nella prospettiva della valutazione e ne costituisce la premessa. Sarà proposta una sintesi della situazione degli studenti e saranno ripercorsi i vari momenti che in questi anni si sono sviluppati. Sarà egualmente compiuta un’analisi delle relazioni che si sono venute costruendo, sia in termini generali che in riferimento alle due principali situazioni in cui operiamo: sezione ottava di media sicurezza e quella di alta sorveglianza. Questo punto avrà dunque un carattere introduttivo, con la finalità principale che tutti possano disporre delle stesse informazioni. Il nostro lavoro, infatti, si svolge spesso attraverso messaggi relativi a ciò che specificamente deve essere fatto, senza che le persone abbiano conoscenza del quadro generale, e quindi del significato che il loro contributo assume.

Poiché si pensa che ai primi di marzo siano attive le pagine web sul sito dell’ateneo, quella potrà essere per tutti una fonte utile di documentazione. In ogni caso, prima dell’incontro sarà inviato il materiale con le informazioni generali. Alle pagine web si accederà dalla pagina "studenti", aprendo poi, sul lato destro, subito sotto l’icona "iniziative per studenti disabili" il quadratino "studenti detenuti".

In occasione dell’incontro di marzo, ciascun docente riceverà una scheda completa dello studente o degli studenti che fanno parte del suo corso di laurea. Tali schede saranno poi collocate presso il server di Ingegneria (quello che gestisce la teledidattica) dove, accedendo con una password, sarà possibile conoscere gli aggiornamenti sul progresso degli studi o su altri aspetti (esami, trasferimenti ecc.).

 

Il rapporto di valutazione

 

A partire dai dati generali si potrà avviare una discussione su aspetti più specifici, prendendo a riferimento il rapporto che sta predisponendo Saverio Migliori e che sarà disponibile tra il 15 e il 20 marzo. Potremo usufruire di una lettura sistematica da varie angolature, a partire da quella corrente utilizzata dal nucleo di valutazione dell’ateneo e che viene presentata ogni anno per i normali corsi di studio. Un contributo in questo senso ci verrà anche dagli studenti della sezione ottava, che stanno lavorando settimanalmente su questo problema. La stessa cosa è stata proposta ad un gruppo di agenti ed operatori del carcere di Prato e che è augurabile che produca una specifica relazione. La discussione che seguirà la presentazione di questi contributi potrà avere esiti interessanti per il nostro lavoro da vari punti di vista e sarà certamente utile per la stesura del rapporto finale che verrà pubblicato. In questo modo avremo messo un primo punto fermo anche in vista della eventuale iniziativa più ampia da realizzarsi in autunno. La prosecuzione di quanto abbiamo iniziato non può prescindere dall’approfondimento delle motivazioni: a mo’ di esempi si possono richiamare la "pratica dei diritti di cittadinanza", l’applicazione di modelli di "formazione nell’arco della vita" (che valgono per tutti, ma che sono particolarmente importanti nell’esperienza della detenzione), l’istruzione e la formazione come "responsabilità diffusa" in cui coinvolgere soggetti sociali esterni, la rilevanza dei "legami con il territorio" (con tutti i suoi aspetti e non solo con alcuni), il "fare i conti" con situazioni problematiche innovando il nostro lavoro, la positività di "ritorni" da esperienze come questa sotto i vari aspetti (per fare qualche riferimento, mettere insieme persone di aree diverse su un progetto che attenua le appartenenze accademiche, offrire in prospettiva a molti una conoscenza diretta di una realtà, come quella carceraria, che ci riguarda tutti in quanto cittadini, collegare pratiche di lavoro universitario con politiche sociali della marginalità e della devianza, .....). Si potranno così sviluppare modi diversi di considerare il lavoro svolto e che possono essere ricondotti alla verifica e alla valutazione. Con la prima, in presenza di elementi riepilogativi confrontati con un progetto di partenza, si è in grado di indicare se e come si siano realizzati gli obbiettivi previsti; con la seconda ci si pone invece la domanda se il progetto debba essere proseguito e, se sì, con quali mutamenti o integrazioni, e questo in misura relativamente indipendente dai risultati presentati. Può accadere infatti che un progetto sia stato realizzato in modo molto parziale e che però, in questa parzialità siano emerse azioni o strategie cui si attribuisce particolare valore (per efficacia, per efficienza, per qualità, per innovazione.....), per cui, anche in presenza di una verifica limitata, si può decidere di proseguire; al contrario, a fronte di una verifica positiva sul piano dell’organizzazione e dei risultati, potrebbe emergere che quanto si è fatto non corrisponde alle finalità iniziali, per cui il progetto potrebbe essere anche totalmente modificato o interrotto.

Il rapporto di valutazione ci offrirà un’analisi di alcuni fra i principali nodi problematici (interno/esterno, docente/studente, offerta formativa, orientamento, contratto formativo, attività didattica, misure di accompagnamento e sostegno, tutorato, studio/lavoro, formazione a distanza, monitoraggio....) riferiti alla nostra attività e alla necessità di costruirci modalità di approfondimento specifiche rispetto a quelle comunemente adottate. I termini appena richiamati e che comunemente si usano, mutano di senso quando si inseriscano nella realtà del carcere. Ridefinirli nella situazione in cui operiamo è compito di ciascuno per ottenere due esiti principali: il primo riguarda l’insegnamento e l’apprendimento (come si riesce o non si riesce a realizzare una didattica in quelle condizioni e con quali risultati); il secondo ha a che fare con una domanda radicale sulla quale la discussione è aperta da sempre e cioè se si possa sostenere che ciò che facciamo abbia davvero un valore di sostegno a persone che, pure in stato di detenzione, possano, anche per questa strada, realizzare oggi un diritto di cittadinanza e modificare la loro attuale situazione in vista di un futuro di cittadinanza piena. Come tutti sappiamo, molti ritengono che sia un’illusione pensare che, nella situazione carceraria data, sia possibile attendersi un qualunque esito trattamentale o rieducativo o di reinserimento sociale: tuttavia, pur con tutta la consapevolezza e le cautele del caso, il nostro lavoro presuppone la possibilità di esiti positivi per le persone, anche perché l’esperienza ci mostra dei mutamenti evidenti connessi con l’avvio di un percorso di studi. Su questi due interrogativi, le risposte che possono venire da ciascuno di noi, dalla sua sensibilità e dalla sua esperienza, costituiscono certamente dati imprescindibili, così come quelli che ci possono venire dagli studenti stessi, dal personale del carcere e dai volontari. Le obbiezioni che possono essere rivolte alla nostra iniziativa sono molte e su piani diversi: al di là delle convinzioni che sorreggono ciascuno di noi e il progetto nel suo insieme, soltanto la considerazione attenta delle esperienze concrete può offrire argomenti validi per assumere quelle obbiezioni, elaborarle, dare delle risposte, ottenere dei cambiamenti di atteggiamento. Per queste ragioni, compatibilmente con gli impegni di ciascuno, l’invito è quello di redigere, prima o dopo l’incontro, dei testi che possano essere tenuti in considerazione per una valutazione che è certamente molto complessa.

 

Proposte per un’offerta didattica, formativa (e d’impegno civile)

 

La discussione su questo punto potrebbe dare origine ad innovazioni interessanti, da sperimentare nel tempo, che costituirebbero un rilevante legame tra università e territorio.

Per dare un primo ordine al discorso, potremmo partire dalla constatazione che l’attuale orientamento del sistema di istruzione e di formazione presenta un forte ispessimento delle relazioni con organizzazioni, imprese, istituzioni a vari livelli, sia con finalità di comunicazione, comune ricerca e sperimentazione, sia di inserimento lavorativo dei giovani: da questa considerazione scaturisce una possibile domanda e cioè se questa strategia consideri con la stessa attenzione tutti gli ambiti della società, e in modo particolare quelli in cui si manifestano, vengono studiate, affrontate e, in qualche misura, risolte situazioni di marginalità sociale, di devianza e di delinquenza.

Probabilmente la risposta non è positiva o negativa in generale, ma rimanda al modo in cui le singole società elaborano culturalmente, scientificamente e politicamente questi problemi Se possiamo essere d’accordo sul fatto che la storia delle società moderne mostra un progressivo processo di inclusione delle persone sulla base dei principi di cittadinanza civile, politica e sociale (ancora in sviluppo verso nuovi assetti), potremmo anche concordare sul fatto che assistiamo ad una ridefinizione di questi principi e che sono in atto tendenze verso una restrizione dell’appartenenza, dell’inclusione, dello sviluppo dei diritti di cittadinanza, e ciò per molte ragioni, non ultime quella delle trasformazioni di questi ultimi decenni nel campo delle politiche sociali pubbliche e quella della restrizione delle risorse a ciò destinate.

Poiché viviamo in un territorio che, a partire dall’abolizione della pena di morte e dall’organizzazione diffusa di servizi per la salute e l’istruzione ha fatto di queste politiche sociali uno dei suoi tratti distintivi, abbiamo forse anche il compito, più di altri, di porre attenzione ai problemi che si vanno delineando. Per questa ragione le università, nel momento in cui rinnovano i loro ordinamenti e concentrano maggiormente l’attenzione sull’ambiente economico, produttivo, culturale e sociale, hanno il compito e la responsabilità di non trascurare, nella ricerca come nella formazione, quella cultura e quella tradizione che in Toscana presentano specifiche peculiarità. Si può dire che se nella nostra iniziativa di studi per i detenuti si è arrivati in poco tempo ad un accordo istituzionale che coinvolge le tre università della Toscana, l’Amministrazione Penitenziaria e la Regione, questo è frutto anche di una cultura diffusa che si è espressa in tante persone diverse per ruolo e per collocazione.

Partendo da questa considerazione, possiamo domandarci se e in che misura, nella fase della verifica triennale delle nuove lauree (cosa che è prevista per legge nel corso del prossimo anno accademico e che non mancherà di avere ripercussioni anche sul successivo sviluppo di quelle specialistiche) possiamo porre più attenzione alle conoscenze e alle competenze relative alle condizioni di marginalità sociale intesa innanzitutto come area di studio, di ricerca e di esperienza per alcuni percorsi specifici, ma anche come campo di attenzione per esperienze formative che, rientrando fra le attività di libera scelta, potrebbero essere interessanti ed importanti per giovani il cui futuro lavoro si svilupperà in campi completamente diversi.

Vengono così indicate due linee di lettura: la prima orientata verso la competenza professionale, l’altra verso la formazione personale e l’impegno civile: in ambedue i casi le università, determinandone le condizioni, danno rilievo al valore formativo per i giovani, tanto per coloro che si preparano a svolgere compiti professionali, quanto per coloro che possono, in questo modo, fare un’esperienza di impegno civile. Più concretamente, si tratterebbe di discutere su due questioni: la prima riguarda i percorsi formativi di corsi di laurea come, per fare qualche esempio, quelli per educatori professionali, per assistenti sociali, per psicologi e in particolare per quelli di scienze e tecniche di psicologia clinica e di comunità, per l’area dei servizi giuridici e di scienze politiche, per medici e figure dell’area sanitaria come l’assistente sanitario. La seconda riguarda invece una fascia assai più ampia di studenti universitari, ai quali potrebbero essere proposte delle attività a cui destinare i nove crediti formativi che il decreto istitutivo lascia alla libera scelta dello studente e che possono costituire tanto un approfondimento di temi specifici quanto un’esperienza in un’area di interesse personale. Nel primo caso è necessario riprendere in mano gli ordinamenti dei corsi di laurea nei quali l’area della marginalità sociale, della devianza e della delinquenza hanno una specifica rilevanza in termini di conoscenze, competenze e abilità e verificare come si possa arricchire un’offerta formativa; nel secondo caso si tratta di impostare delle opportunità controllate e riconosciute che gli studenti possano scegliere come loro libero percorso di formazione personale.

Nel fare questo tipo di approfondimento sarebbe importante ragionare sull’integrazione tra le competenze presenti nell’università e quelle che operano in strutture esterne, e ciò non solo in vista delle esperienze di tirocinio, ma anche di possibili moduli di insegnamento per i quali mobilitare esperti che operano nelle diverse situazioni, da quelle dell’ente locale a quelle dell’amministrazione penitenziaria a quelle dell’area minorile o dell’immigrazione.

Per quanto la valenza di questo ragionamento sia di carattere generale, potremmo delineare qualche esempio, anche per sviluppare la riflessione verso un lavoro di impegno civile. Attualmente, un’associazione di studenti di ingegneria ha iniziato un’attività di tutorato verso detenuti iscritti a corsi dell’area ingegneristica (e non solo quella). Non sarebbe fuori dal mondo pensare che uno studente di ingegneria possa destinare i suoi 9 crediti del suo curriculum a libera scelta ad un’attività di questo tipo, purché siano previste e praticate delle condizioni di accesso, di formazione e di studio, di tutorato, di verifica (niente di particolarmente difficile). Del resto, l’università dovrebbe essere attenta alle nuove sensibilità che si sviluppano tra i giovani, tanto sul piano culturale quanto su quello dell’immagine o del modello di società che sta maturando il loro.

La nostra proposta, se verificheremo di essere in grado di farla in maniera più o meno generalizzata, sarà rivolta all’università nel suo complesso e ad un gruppo ben individuato di corsi di laurea in modo tale che con il prossimo anno accademico trovi qualche riscontro concreto.

 

Una possibile iniziativa nazionale

 

La valutazione del lavoro svolto e la discussione su una proposta di attenzione ai problemi della marginalità sociale potrebbero portarci a concludere che il tempo è maturo per prendere un’iniziativa di portata più ampia, anche in considerazione che in altre sedi universitarie stanno maturando decisioni nella stessa direzione. Una proposta potrebbe essere quella di organizzare, entro la fine del 2003, un incontro nazionale, secondo modalità da concordare, istituendo un apposito comitato scientifico ed una segreteria organizzativa, attivandosi per reperire le risorse necessarie. Idee in questo senso saranno benvenute, così come lo saranno materiali che aiutino tutti a condurre una riflessione approfondita.

Nel tempo che ci separa da qui al 27 marzo avremo certamente occasione di sviluppare ipotesi, di preparare interventi e contributi, di individuare possibili tracce di lavoro.

Sono certo che questo incontro porterà i risultati auspicati e, primo fra tutti, una maggiore conoscenza e comunicazione tra di noi.

 

Per richieste di chiarimenti ed invio di materiali:

mail: nedo.baracani@unifi.it tel. 055.2757752 fax 055.2757750

 

 

 

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