Filosofia e carcere

 

Filosofia e carcere

di Marcello Battaglia

 

L’appuntamento con la filosofia in carcere è stato (e spero lo sarà) un momento di conferma che, negli istituti penitenziari, vi possono essere delle "evasioni" diverse e auspicabili.

Siamo stati sempre persuasi che la cultura sia il punto focale del recupero sociale del detenuto ed il laboratorio di filosofia è la chiave di volta per restituire ad esso la sensazione di unicità della persona che spesso, nel tempo, tende a perdere.

La cultura in genere e la filosofia in particolare è un investimento di inestimabile valore. L’esercitarsi a scavare nel proprio pensiero e a conoscere quello degli altri è il passo importante verso il dialogo, che è poi la naturale base di un molto probabile cambiamento positivo interiore del detenuto, che certamente non tarderà a riverberarsi in tutta l’esteriorità quotidiana dell’essere.

Chi vive l’esperienza detentiva è portato col tempo ad amalgamarsi alla struttura fisica carceraria e, il vedersi sempre più invisibile agli occhi degli altri, lo conduce a considerarsi alla stregua di un qualsiasi suppellettile interno, auto convincendosi di essere divenuto non più il detenuto ma un detenuto, ergo, un individuo e non l’individuo…

La filosofia è lo strumento con cui si ha la possibilità di poter esprimere il proprio pensiero, ma soprattutto, è la tangibilità che ciò che si pensa viene ascoltato, e può dar luogo a una profonda riflessione e ricerca, tanto da ristabilire l’unicità dell’individuo in quanto unicità di pensiero.

Il nostro intervento nella discussione è stato figlio della futuribilità dei detenuti e della vita degli stessi che, in ogni forum dedicato ai detenuti, la fa da padrone, dimenticando così il presente e , cioè, la vita da detenuto e non solo quella post carceraria.

Citando il grande filosofo Sant’Agostino, ci siamo soffermati sul pensiero che lo stesso ci ha tramandato, ed in particolare, alla non esistenza dei tre verbi verbali Passato, Presente e Futuro, in luogo del presente del passato, presente del presente e presente del futuro. Tutto ciò in base alla considerazione che il passato non è più, quindi non esiste; il futuro non è ancora, dunque non esiste; l’unico tempo esistente, e per l’effetto vero, è il presente. Da questa base filosofica, non si può che addivenire all’importanza evidente del presente, come unico momento di investimento su se stessi.

Ecco se si iniziasse a discutere del presente del detenuto, su ciò che quotidianamente questi può fare, forse tanti risultati migliorerebbero. L’investimento sulla culturalizzazione, e quindi sul miglioramento mentale dell’individuo recluso è, senza timore di smentita, il miglior viatico nel percorso del recupero sociale del soggetto.

Ottimizzare il presente detentivo attraverso la cultura porta alla presa di coscienza, da parte dell’individuo, che forse si può essere meno detenuti di quanto ci si vuol far credere. Dio ci ha donato il pensiero come dono speciale in quanto, se vi è qualcosa che non può essere recluso, quello è proprio il pensiero, che, però, in carcere non facciamo altro che auto limitarlo forse per un senso di autolesionismo inconscio generalizzato.

Una domanda postaci alla fine dell’incontro da una graditissima personalità in fondo privata, ci dà lo spunto a chiarire qualche concetto. Infatti, tale convenuto ci chiedeva se questo non voler pensare al futuro a favore del presente, non fosse una versione pessimistica della vita.

In verità è proprio il ragionare sul presente che evidenzia l’ottimismo del pensiero.

Pur essendo amante della poesia leopardiana non disdegno lo stesso sentimento per poeti più ottimisti tal che ho nell’ottimismo la mia bandiera di vita. Il voler vivere e valorizzare il presente non significa non pensare al futuro, anzi, è proprio attraverso il positivo utilizzo del presente che rende potenzialmente il futuro più consono alle aspettative.

Il futuro di ogni individuo, non può non essere in prospettiva dei mattoni cerebrali che giornalmente si riescono a mettere l’uno sull’altro. Ogni mattone buono darà maggiore consistenza al futuro, se questi ci sarà.

L’errore molto grave, ma altrettanto frequente nel detenuto, è il pensare che il proprio futuro sia la diretta conseguenza del passato, cadendo così nella convinzione dell’impossibilità del cambiamento positivo della propria esistenza.

Da qui è facile evidenziare l’importanza cruciale del presente del detenuto;egli deve imparare a vivere la vita intramuraria e sfruttare in ogni istante come investimento culturale, onde per avere una nuova possibilità nel presente del futuro.

Per tutto ciò la filosofia in carcere è di fondamentale importanza. Proprio per questo il laboratorio di filosofia può rappresentare il cavallo di troia per entrare nelle menti, talvolta diffidenti, dei detenuti, stimolandoli così ad approfondire il proprio pensiero e sollevare, in essi, il senso di autocritica nel confronto con i grandi pensatori che la storia ci ha dato.

E’ lapalissiano che non solo la filosofia può essere capace di tale alchimia; tutta la cultura in ogni sua espressione, che è tanto varia quanto ammirabile può donarci gli stessi risultati.

Sono certo che, laddove le istituzioni non riescono attraverso gli strumenti istituzionali, possono senz’altro meglio risultare i lasciti culturali dei vari Cicerone, Sant’Agostino, Diogene, e perché no Alda Merini, Alighieri, De Andrè, Leonardo, De Curtis, Michelangelo, Mozart, ecc. ecc.

Il nostro "io sono" è figlio di ciò che abbiamo costruito nel presente del passato; "l’io sarò", se è nella volontà di Dio che ciò accada, sarà figlio del presente del presente.

 

 

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