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Tra una sigaretta e l’altra di Elton Kalica, segnalato
Il passo lento, il respiro quasi inesistente, la divisa stanca e lo sguardo lungo, disteso e fermo. L’agente Buia cammina adagio, fissando i cerchi di fumo che escono dalla cella numero 31. Si intravede appena il cancello, poi un pezzo del gomito e il fumo che continua a scappare felice per poi salire verso il soffitto. Ferma i suoi passi e, con un cenno, saluta il fumatore. Modi è ormai da anni che occupa quella cella e l’agente Buia lo conosce bene; ogni tanto, quando la noia lo assale, va e scambia due parole. Modi passa le sue giornate, o è meglio dire i suoi anni, leggendo. Prova un tale trasporto e piacere nella lettura, affonda nella trama, distaccandosi così nettamente da quel posto, che non risponderebbe anche se gli dicessero "liberante". Però, e chi lo conosce lo sa, quando si stanca di leggere, si avvicina al cancello della cella e fuma una sigaretta: allora sì che si può intavolare una discussione con lui. "Che cosa stai leggendo oggi , Modi?" "La figlia del capitano!" rispose Modi, mentre accendeva un’altra sigaretta. "E di che cosa parla?" "È curioso sai, parla di un alfiere innamorato e di un ribelle cosacco che, dopo avere assaltato la fortezza e fatto impiccare tutti gli ufficiali, risparmia l’alfiere e la ragazza." "E scommetto che il ribelle è il buono in quel libro", aggiunse l’agente con una smorfia. "Se lo vuoi chiamare così… OK! Tanto per precisare, è il grande Pugacev." "Sì, immagino, lui e il suo fascino ribelle", commentò l’agente visibilmente pensieroso. Il ricordo di lei cominciò a invadergli la mente. Aveva sperato di non pensare più a lei, ma ecco che questo qua si era messo a parlare dell’alfiere e la sua amante, ed era fatta. Erano ormai due settimane da quando aveva visto la bella assistente volontaria e aveva deciso di provarci. I tentativi erano stati tanti, ma lei non ne voleva sapere niente e, per giunta, tutti i colleghi lo prendevano in giro. "Ma che c’ hai oggi? T’ ho detto che non l’ ha impiccato l’alfiere." "Che me ne importa a me dell’alfiere! Sai, è da un po’ di tempo che mi domando: tutti questi professori, volontari e assistenti, che cosa pensano di noi agenti?" "Qual è il problema? Riprenditi!" rispose Modi sorridendo e cercando di sdrammatizzare. "È successo che c’è una volontaria che dà lezioni qui in carcere. Ho provato a parlarle, ma mi ignora. L’altro giorno l’ ho invitata a mangiare la pizza con me, ma lei mi ha guardato come dire: sei pazzo?" "Ma qual è? La conosco?" chiese curioso Modi. "È bionda, si chiama Mirella Zucca." "Non la conosco!" "L’altro giorno, la vedo che è in classe con due detenuti e ridevano, scherzavano. Dico io, questa non mi parla neanche e invece con loro si diverte!" e accese una sigaretta inspirando lunghe cariche di fumo; "allora dico: ce l’ hai con le guardie?" "Quando l’ hai invitata a mangiare la pizza, eri in divisa?" chiese Modi con un tono indagatore. "Certo! Non ero neanche andato a mangiare, quel giorno, per aspettare lei." "Ma sei scemo?" urlò Modi come se l’avessero pizzicato. "Perché?" rispose l’agente, tra il "perché mi offendi?" e il "perché, che cos’ ho fatto di male?" "Ma come? Ti presenti in divisa e la inviti a cena, qui! Ascoltami bene!" e si prese una pausa dopo avere intravisto l’impazienza negli occhi dell’altro. "Pensa a lei con tutti gli agenti che vede qui, è naturale che tagli corto con te: mica può accettare gli inviti di tutti. La prossima volta vai in borghese e vedrai che ti ascolterà." "Tu credi?" domandò l’agente mentre immaginava la scena con lei che scappava. Preferì allora abbandonare la triste scena e tornò alla realtà guardando il lungo corridoio. Fece per andarsene, ma sentì che gli veniva un’idea; si fermò come se volesse bloccare quell’idea nella mente. Sapeva che se avesse aspettato ancora un secondo avrebbe rinunciato a dirlo a Modi, quindi si affrettò a condividere con lui l’illuminazione. "Senti... ma... perché non..."
Scendendo le scale di corsa e pensando al romanzo che aveva dovuto lasciare proprio sul più bello, non si accorse di essere giunto davanti all’aula scolastica e che un agente lo stava "spolverando" col metal-detector. Dieci giorni prima aveva fatto la richiesta di vedere l’assistente volontaria Maria Zucca per un appoggio morale, ed ecco che ora era lì. "Buon giorno! Lei è Modi, vero?" chiese lei con un sorriso. "Solo se mi dai del tu", rispose lui cercando di mostrarsi rilassato, ma sentì caldo al viso, segno che era arrossito. Il cuore gli batteva a mille e si domandò se il battito echeggiava anche per la stanza. Guardò ipnotizzato gli occhi di lei, intuì dal movimento delle labbra che gli stava parlando, ma le sue parole gli passavano accanto senza salutarlo e invece di entrargli nelle orecchie tiravano dritto, regalandogli il silenzio di un incantesimo. Lei rimase così a lungo in compagnia di quegli occhi e del silenzio, che dovette alzarsi e appoggiandosi con le mani sul tavolo domandò: "Stai bene?" Modi senza la minima esitazione allungò piano il dorso della mano e le sfiorò la guancia morbida. Continuando a rimanere immerso in quei due laghi blu dove si era tuffato sin dal primo istante, le disse: "Che spettacolo!" Le sue guance divennero rosse, i suoi occhi brillarono e i capelli d’oro riempirono la stanza di luce e d’aria. "Ma io ti conosco!" s’innalzò piano una voce senza rompere l’incantesimo. "Shhhhhh", sussurrò lui. Prese delicatamente la piccola faccia di lei, si sporse in avanti e la raggiunse, toccando leggermente quelle umide, profumate labbra con le sue secche e tremanti. Da anni in cella immaginava i lunghi appassionati baci che l’aspettavano fuori, ma ora che i caldi e affannosi respiri si mischiavano per poi risalire di nuovo le narici, ora che la follia abbracciava le loro menti, riusciva solo a toccare appena la sua bocca come se temesse di rompere qualcosa d’invisibile. L’incantesimo durò una eternità (anche se più tardi, quando tornò in cella, gli venne il dubbio che forse aveva sognato). Dopo quel fuori programma, ripresero cognizione del tempo e dello spazio, e lei si mise silenziosa a indagare la sua faccia barbuta. "Tu sei Stefan Modi? Anche se... dovresti avere qualche anno in più", disse confusa e incerta. "No, Stefan è mio fratello. So che ci assomigliamo molto, anche se ho otto anni di meno. Il mio nome è Platon Modi." "Somigli tanto a tuo fratello... è dai tempi del liceo che non lo vedo", aggiunse con una voce che risvegliava ricordi. "E tu sei molto bella", replicò lui. "Verrai a trovarmi ancora?" aggiunse poi con una voce supplicante, che nascondeva un tono di complicità. Immobile, inespressiva lei guardava le rughe che marcavano quel viso, come per testimoniare gli anni spesi lì dentro. Allora sentì nel profondo dell’animo un cambiamento che sapeva di pazzia e si abbandonò. "Verrò!" disse. Prese borsa e cappotto e uscì.
Modi non aveva mai fatto fatica a concentrarsi. Capitava di fare a botte con qualcuno, o di tornare in cella e trovarla sottosopra per la perquisa, ma lui non si perdeva mai d’animo: prendeva un libro, anche robaccia, e si metteva subito in viaggio. Ora, però, il viso di lei era rimasto intrappolato nella sua mente occupandovi ogni angolo. Riceveva la sua visita ogni settimana e con essa il profumo e la passione della vita. Parlavano e camminavano, piangevano e ridevano, viaggiavano abbracciati nelle colorite valli dell’immaginazione. Sapeva che doveva considerare tutto un gioco, ma trovava gusto nella dolce afflizione e nelle lunghe, interminabili notti insonni. "Allora, Modi!" lo salutò sorridendo l’agente Buia con una voce che mostrava l’attesa. "Ho saputo che stai prendendo regolarmente lezioni di storia da Maria", aggiunse con uno sguardo cospiratore. "Sì, è vero. Sai, le ho già parlato delle tue confidenze, le ho anche detto quella storia della casa che ti stai comprando, come mi avevi raccomandato tu, ma... sai... mi sembra proprio disinteressata. Poi mi ha anche confessato che frequenta già uno. È un polacco. Secondo me ti devi arrendere." "Polacco! Hai detto polacco? Sì?" esclamò lui e tornò sui suoi passi veloce come se fuggisse da quella parola. Modi si accese una sigaretta, si appoggiò al cancello e cominciò a liberare lunghe, bianche nuvole di fumo che felici lasciavano la cella per salire verso il soffitto.
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