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Premio Letterario Nazionale "Emanuele Casalini" riservato ai detenuti delle carceri italiane 4ª edizione - Torino, 25 ottobre 2005
Medaglia d’argento del Presidente della Repubblica Targa d’argento del Presidente del Senato Medaglia d’argento del Presidente della Camera dei Deputati
La giuria del Premio Letterario Nazionale "Emanuele Casalini", riservato ai detenuti delle carceri italiane, ha nominato i vincitori della quarta edizione. La cerimonia di assegnazione dei premi avrà luogo a Torino martedì 25 ottobre 2005, alle ore 15.30, nel teatro del carcere "Lo Russo e Cutugno" alle Vallette. Alle persone detenute si uniranno per l’occasione molti volontari della San Vincenzo De Paoli di tutt’Italia, soci dell’Unitre, oltre alle autorità che figurano nel Comitato d’onore, a rappresentanti istituzionali, ai componenti della giuria, ai vincitori e loro familiari. Interverranno, tra gli altri, il Presidente della San Vincenzo De Paoli Luca Stefanini e la Presidente di Unitre Irma Maria Re. Il regista torinese Alberto Negro sarà il conduttore della manifestazione, mentre l’attore Bruno Pantano, insieme a componenti del gruppo teatrale del carcere, leggeranno le opere premiate.
Versi liberi e racconti dal carcere
Il concorso letterario "Emanuele Casalini", si distingue nel vasto panorama letterario italiano per l’attenzione prestata alle voci di uomini e donne che sopravvivono nella separatezza, nella sofferenza di una condizione dove troppo spesso diritti e dignità umana sono, come le persone, dimenticati. Prim’ancora di far poesia, letteratura, la voglia di dire di sé e di un mondo sbagliato, irrompe assai spesso in queste composizioni, condensando la rabbia, il dolore, il rimorso, la nostalgia in espressioni forti che assumono il significato della denuncia o che, al contrario, sono aeree come nuvole, evanescenti come sogni. "I testi finalisti dell’edizione 2005 del Premio Emanuele Casalini ci danno notizie dirette su un mondo e da un mondo - il sistema penitenziario - che tendiamo a rimuovere, magari con l’alibi d’essere già aggrediti ogni giorno, ad ogni telegiornale, da un carico pressoché insostenibile di sciagure e d’orrori. Ci raccontano storie vere", così commenta Ernesto Ferrero - scrittore di successo e Presidente della Giuria del Premio - e prosegue: "Non è necessario sfrenare la fantasia, immaginare le trame complicate dei "gialli" oggi tanto di moda, con relativi eccessi sanguinolenti ed effetti speciali; o proiettarsi in un futuro fantascientifico dove i prodigi tecnologici non riescono a mascherare il fatto che l’uomo resta un animale antico, agitato da pulsioni elementari, primordiali. Basta guardare con attenzione, saper scegliere i piccoli particolari che contano". "Dire la sofferenza, lo sconforto, l’angoscia è arduo quanto l’esprimere passioni positive, l’amore in testa a tutte. È forte il rischio del convenzionale, del manierato, dell’enfasi, del grido disarticolato. Occorre dunque giocare di rimbalzo, tentare delle triangolazioni, come a biliardo". Nei numerosi lavori inviati dai circa 350 partecipanti di molti dei 207 istituti di pena italiani, ritroviamo espressioni, spesso ingenue, ma talvolta all’altezza della migliore invenzione poetica, "per vincere l’angoscia e per tentare una solidarietà con altri uomini, nostri compagni di strada e di sventura" - come scrive ancora Ferrero - "...è notevole il numero dei testi che si distinguono per un grado elevato di elaborazione stilistica e tentano la sfida che è poi quella tipica della poesia: provare ad esprimere l’indicibile, il non ancora detto; dire in modo originale gli eterni sentimenti degli uomini."
Giuria del premio
Comitato d’Onore
Promotori
Presentazione
Ernesto Ferrero - Presidente della Giuria
Una delle critiche che vengono mosse alla narrativa contemporanea è quella di non saper affrontare la realtà in cui viviamo, di non saperci dare notizie su quello che accade. E sì che viviamo in un mondo turbolento, in perenne mutazione e movimento, che è anche un enorme serbatoio di possibili storie. Così accade che chi sa maneggiare bene, in senso professionale, gli strumenti espressivi con cui si produce quell’attività conoscitiva che deve essere la letteratura, si ritrova senza storie da raccontare, perché spesso vive in una dimensione libresca, virtuale, astratta, intellettuale: insomma ha le parole, ma non la vita. Mentre chi avrebbe delle storie anche forti da raccontare non possiede le tecniche di base per farle diventare significative, cioè quel patrimonio comune cui possiamo tutti attingere appunto un "più" di conoscenza. I testi finalisti dell’edizione 2005 del Premio Emanuele Casalini ci sembrano gettare un ponte tra queste due situazioni estreme. Ci danno notizie dirette su un mondo e da un mondo - il sistema penitenziario - che tendiamo a rimuovere, magari con l’alibi d’essere già aggrediti ogni giorno, ad ogni telegiornale, da un carico pressoché insostenibile di sciagure e d’orrori. Ci raccontano storie vere. Osservare la realtà, riuscire a descriverla con un giusto mix di partecipazione e distacco, dà sempre buoni frutti. Non è necessario sfrenare la fantasia, immaginare le trame complicate dei "gialli" oggi tanto di moda, con relativi eccessi sanguinolenti ed effetti speciali; o proiettarsi in un futuro fantascientifico dove i prodigi tecnologici non riescono a mascherare il fatto che l’uomo resta un animale antico, agitato da pulsioni elementari, primordiali. Per questo fa tanti danni: è come un bambino cui è consentito di maneggiare armi micidiali, distruttive. Basta guardare con attenzione, saper scegliere i piccoli particolari che contano. Il testo di Francesco Di Pasquale, che ha vinto all’unanimità il premio Casalini riservato alla narrativa, è il resoconto di un’esperienza estrema, che si apre con uno dei tanti massacri delle guerre civili che insanguinano l’Africa (ma già Pavese, e Napoleone prima di lui, diceva che ogni guerra è una guerra civile), e prosegue lungo i cammini delle speranza che muovono dalle piste sahariane verso il Mediterraneo, e di lì, dalle sponde libiche e tunisine, verso Lampedusa, Pantelleria, la Sicilia. A parlare è uno di questi moderni dannati: con semplicità, perché c’è poco da aggiungere. Ed ecco che questa testimonianza dal vivo ci tocca e ci colpisce immediatamente, ci butta in faccia la nostra condizione di privilegiati che stanno a guardare, o fanno finta di non vedere. Nel secondo e terzo classificato, invece, la capacità d’osservazione gioca un ruolo importante. Filippo Romeo ci consegna invece la cronaca puntuale di una traduzione, scandita da riti precisi (le perquisizioni, le attese, le vessazioni inutili, lo strazio di certi colloqui) in cui gli anziani si muovono assai meglio dei giovani, smarriti di fronte alla severità dei regolamenti. Giuseppe Frattaruolo (imputato d’evasione per avere abbandonato gli arresti domiciliari, avendo deciso di scontare la pena che gli resta) ha lo humour disincantato, appena malinconico, di chi ne ha viste tante. E difatti mette in scena un suo pacato teatrino dell’assurdo fermandosi senza acredine sugli aspetti grotteschi delle procedure e dei dibattimenti, costellati come sono da intoppi minimalisti, piccole assurdità burocratiche che occorre rispettare ad ogni costo. Sembra di essere in un vecchio film con Totò e Aldo Fabrizi, in bianco e nero: gli avvocati che non si trovano, le guardie che dovrebbero andare a cercare un panino e non tornano più indietro, i dialoghi surreali con gli addetti all’accettazione, "zelanti controllori". Una polo è da considerarsi una T-shirt o una maglietta? No, non è possibile tenere la pancerina di lana, ci vuole un certificato medico. In cella si possono tenere due soli libri e due cartelle di fogli scaricati dalla rete possono essere considerati libro. .. Carmelo Gallico, che ha ottenuto il Premio speciale della Giuria, si sofferma invece con coraggiosa lucidità sugli alibi che paradossalmente offre la gabbia della detenzione, liberandoti da responsabilità e doveri, che tuttavia ti toccherà di affrontare il giorno in cui ricuperi la libertà vera. I testi finalisti della sezione poetica hanno saputo vincere una scommessa difficile. Dire la sofferenza, lo sconforto, l’angoscia è arduo quanto l’esprimere passioni positive, l’amore in testa a tutte. È forte il rischio del convenzionale, del manierato, dell’enfasi, del grido disarticolato. Occorre dunque giocare di rimbalzo, tentare delle triangolazioni, come a biliardo. Lorenzo Minarelli ha tentato con pieno successo la carta della filastrocca, che con le sue rime ci riporta al clima delle vignette del "Corrierino dei piccoli" o delle avventure del signor Bonaventura. La filastrocca è un genere che continua a funzionare benissimo con i piccoli e con i grandi: attraverso la sua apparente semplicità passano contenuti importanti: insegna perché diverte, fa scattare un sorriso attraverso il gioco rassicurante delle rime. Così la storia del povero impiccato, molto religioso e già esemplarmente pentito, assume negli ultimi quattro versi uno scatto improvviso, il botto che la fa detonare e si impone al lettore. Salvatore Barone ci parla invece di un incontro che ha una data precisa, il 14 febbraio 2005, appena rischiarato dal giro breve di una piccola lampadina, quel poco di luce che basta al poeta per risvegliarsi negli occhi di lei con "pochi spiccioli/ di memoria". Parla con voce sommessa ed esitante, timidamente; e ci sembra di cogliere in questi versi certi echi parigini di Prévert, di sentire sullo sfondo il suono di una fisarmonica, mentre gustiamo certi dettagli preziosi: il silenzio oltre i vestiti, il freddo in cui anche i rumori sembrano fiori finti. Ci sarebbe da dire semplicemente: ecco, questa è la poesia. Tutt’altra strada e strategia segue Gabriele Aral, alla sua seconda affermazione consecutiva: afferra provocatoriamente il lettore per il bavero, gli ricorda la propria esistenza, gli rinfaccia la sua falsa morale e la sua ipocrisia; e non c’è davvero nessuno che si possa sentire al riparo da queste accuse. Gli altri testi finalisti compresi in questo volume documentano, sia in prosa che in poesia, quante e quali possibilità e strategie si offrano alla scrittura. Che rimane il modo migliore che abbiamo per conoscere noi stessi e gli altri, e quello che accade intorno a noi. Quasi un ponte tibetano gettato sugli abissi del quotidiano, per cercare di andare da una sponda all’altra, e riconoscerci viaggiatori di un identico viaggio, e scambiarci esperienze e memorie e speranze sommesse. Per tentare insomma di essere e restare uomini. Premio Sezione Poesia
Opere premiate
Opere segnalate
Premio Sezione Prosa
Opere premiate
Premio speciale della Giuria
Opere segnalate
Premi per ciascuna delle due sezioni
Per informazioni: Claudio Messina Tel. 0566.57565 - 340.9369503
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