La biblioteca in carcere

 

La biblioteca in carcere: nuova chiave di accesso al trattamento

di Maria Pia Giuffrida (Dirigente Generale dell’Amministrazione Penitenziaria)

 

In questi giorni si sta svolgendo a Treviso un convegno nazionale, promosso dall’associazione delle biblioteche carcerarie, il cui obiettivo è qualificare il servizio rendendolo più professionale. Punto di partenza è l’importanza riconosciuta ai libri e alla lettura per l’attività trattamentale di molti condannati. Dopo lo speciale sull’esperienza di Rebibbia Nuovo Complesso, continua l’indagine nel mondo delle offerte culturali all’interno degli istituti, con un editoriale di Maria Pia Giuffrida, dirigente generale dell’amministrazione penitenziaria, esperta di problematiche sulla giustizia riparativa, che indica i motivi fondamentali dell’azione dell’amministrazione penitenziaria.

 

L’ordinamento penitenziario all’art. 12 prevede che in tutti gli istituti esista una biblioteca costituita da libri e periodici scelti secondo criteri che garantiscano una "equilibrata rappresentazione del pluralismo culturale esistente nella società" (art. 21 comma 2° reg. es.) da una Commissione, presieduta dal Magistrato di sorveglianza, e composta da personale penitenziario e da una rappresentanza di detenuti.

Lo stesso articolo del regolamento afferma che occorre assicurare la possibilità che i ristretti possano avere agevole accesso alle pubblicazioni ed usufruire - a mezzo di opportune intese - della lettura di pubblicazioni esistenti in biblioteche e centri di lettura pubblici.

Il servizio biblioteca, la cui responsabilità è affidata dalla norma all’educatore, viene gestito oltre che con la partecipazione di una rappresentanza di detenuti ed internati che presta attività nel tempo libero anche con la collaborazione di uno o più detenuti scrivani regolarmente retribuiti.

Prezioso ed ineliminabile appare il contributo della Comunità esterna al fine di garantire quanto previsto dalle citate norme nonché dal Manifesto dell’Unesco sulle biblioteche pubbliche aggiornato nel novembre 1996, che afferma che le medesime opportunità offerte dalle biblioteche pubbliche ai cittadini liberi devono essere garantite anche ai cittadini detenuti, sulla base dell’uguaglianza di accesso per tutti.

La biblioteca pubblica, considerata via di accesso locale alla conoscenza, costituisce secondo detto Organismo, "una condizione essenziale per l’apprendimento permanente, l’indipendenza nelle decisioni, lo sviluppo culturale dell’individuo e dei gruppi sociali, come forza vitale per l’istruzione, la cultura e l’informazione e come agente indispensabile per promuovere la pace e il benessere spirituale delle menti di uomini e donne".

Per sviluppare il ruolo e la funzione della biblioteca carceraria nel senso indicato, occorre pertanto innanzitutto consolidare un’alleanza forte con il territorio, creando reti stabili con il circuito delle biblioteche esistenti nella società libera, individuando le necessarie azioni comuni volte ad arricchire il patrimonio librario e multimediale delle carceri ed a favorire l’integrazione con le biblioteche del territorio.

Se d’altronde la biblioteca carceraria deve rispecchiare le caratteristiche di quelle presenti nel mondo libero essa deve diventare - come dice sempre il Manifesto dell’Unesco "il centro informativo locale che rende prontamente disponibile per i suoi utenti ogni genere di conoscenza e informazione" e garantire la "formazione e l’aggiornamento professionale del bibliotecario" nonché programmi di istruzioni degli utenti affinché questi possano trarre vantaggio da tutte le risorse" e ciò può essere realizzato soltanto con la collaborazione offerta dalla Comunità esterna.

Ma c’è di più: la biblioteca oltre alle finalità sopra descritte, e lungi dal poter essere intesa soltanto come luogo fisico dove vengono conservati i libri che possono essere richiesti in lettura dai ristretti, assume in carcere la valenza di un servizio di indiscutibile importanza nell’ambito della progettualità trattamentale, configurandosi come spazio-simbolo della promozione culturale del condannato durante il tempo della pena e come strumento che rende possibile la diffusione di valori e modelli "altri" da quelli sperimentati dai ristretti nei loro percorsi esistenziali.

La biblioteca in carcere è infatti momento di apprendimento, di riflessione e confronto, di scambi relazionali e dibattiti, di elaborazione e di sviluppo della creatività soggettiva e di gruppo, di proiezione verso il mondo esterno.

Ma la biblioteca è oggi altresì luogo di incontro di dimensioni multiculturali, stante le caratteristiche dell’attuale popolazione detenuta, rappresentata largamente da extracomunitari, e portatori da un lato di un bisogno di integrazione e comunicazione pur all’interno del sistema carcere, e dall’altro di esigenze di informazione che possono trovare risposta in centri di documentazione collegati con le biblioteche carcerarie.

Si tratta di far "vivere" le biblioteche penitenziarie dando loro dei contenuti dinamici e pro-attivi strettamente legati al fine trattamentale.

"Anche i libri devono tendere alla rieducazione del condannato" quindi, e questa è stata infatti l’affermazione da cui ha preso l’avvio nel 2001 un progetto di rilancio delle biblioteche penitenziarie, con la realizzazione del Progetto "Ali d’autore" promosso dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e la Direzione generale dei beni librari del Ministero dei Beni culturali, progetto che ha fatto incontrare detenuti ed autori con la collaborazione di volontari e esperti.

Un’affermazione importante che ha voluto accendere i riflettori sulle biblioteche penitenziarie interessate negli ultimi anni da numerosi investimenti progettuali da parte dell’Ufficio del trattamento intramurario del Dap, nonché da parte di alcune Università e soprattutto da parte dell’Associazione Italiana biblioteche che in questi giorni ha promosso il 3° Convegno Nazionale sulle Biblioteche carcerarie "Periferie nelle città. Lettura e biblioteche in carcere".

In conclusione per cogliere il senso di quanto fin qui detto possiamo ricordare le parole che un detenuto che ha partecipato ad "Ali d’autore" ha rivolto ad Umberto Eco: "..il suo bellissimo libro è stato un refolo di vento, che pian piano ha acquisito la forza e potenza dell’uragano. Esso ha spazzato via la cappa di grigio tran tran, ed i nostri cervelli hanno ripreso a funzionare per qualcosa di diverso dell’abitudinario.. e nel gruppo (di lettori) di cui io faccio parte con orgoglio, ho visto sorgere il concetto di una felicità nuova!!! Felicità significa sviluppare pienamente le proprie potenzialità in un processo di trasformazione individuale e collettiva.. opponendo impegno, sforzo e creatività all’inerzia, al senso di impotenza e al conformismo".

 

 

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