Don Sandro Spriano

 

Il Cappellano di Rebibbia

 

Il Mattino, 16 novembre 2002

 

Don Sandro Spriano da tredici anni è il cappellano di Rebibbia. Nel carcere romano ora ci sono mille e duecento detenuti, «lo spazio è insufficiente», «la qualità della vita terribile», la «dignità della persona viene calpestata». Eppure, spiega Don Spriano, al ministro della Giustizia non mi sento di indicare come priorità «il sovraffollamento delle carceri», ma «il rispetto della dignità di ogni singolo detenuto».

Come hanno accolto le parole del Papa?


«Abbiamo suonato le campane a Rebibbia. Ma nessuno si illude che possa accadere qualcosa perché non è la prima volta che il Santo Padre chiede un gesto di clemenza».

Oggi che clima si respirava in carcere?


«Non abbiamo avuto la possibilità di fare un’assemblea, di commentare quanto ascoltato».

Sono molti i detenuti che sperano nell’indulto?


«Sembrerà strano, non ho mai sentito pronunciare questa parola. Magari in cuor loro ci contano, ma nessuno l’ha detto. Tre giorni fa ho raccolto in preghiera duecentocinquanta carcerati, ho celebrato messa, ed ognuno poi ha espresso un pensiero. Nessuno ha pregato ad alta voce per la clemenza».

Lei Don Spriano ritiene che con l’indulto si possa risolvere il problema dell’affollamento?


«Nessuno crede a questo, neanche i detenuti. Certo sarebbe una boccata d’aria. Ma se non cambiano le cose la situazione resta tale e quale. Tra due anni le carceri saranno al collasso. Non è la clemenza che aiuta ad evitare i reati».

Cosa ci vuole?


«Occorre prevenzione, reinserimento del detenuto nella normale vita sociale. Occorre pensare una volta per tutte alla depenalizzazione di alcuni reati, a misure cautelari alternative al carcere. Senza un progetto organico non ci può essere una via d’uscita. Guardiamo ai tossicodipendenti».

Perché proprio a loro?


«È difficile che non tornino in carcere. La droga si trova ovunque, se non si elimina il problema alla radice con la prevenzione e con una azione di contrasto al traffico di droga, tanti torneranno dentro».

Cosa fare per il reinserimento nella società?


«Tante volte ci siamo offerti di aiutare i detenuti una volta usciti dal carcere, ci sono progetti su progetti, ma si è fatto poco. Se queste persone non possono avere un aiuto per un lavoro, per una casa, alla fine tornano dentro».

Com’è ora la situazione in carcere?


«C’è una situazione di invivibilità. L’alto numero di detenuti blocca tutta il resto, i colloqui con parenti, la possibilità di prendere una boccata d’aria. L’80 per cento dei detenuti sono poveri e sono i più disperati. Sono quelli che si tagliuzzano ovunque per la disperazione».

Oltre alla libertà a queste persone cosa manca?


«Tutto. Gli spazzolini da denti, il dentifricio, le mutande, le magliette. Non hanno nulla e vivono la condizione carceraria in maniera terribile».

Cosa chiede a Castelli?


«Venga a fare una visita in carcere. Per me il sovrannumero non è una priorità, ma vivibilità e dignità sono indispensabili».

 

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