Tanto rumore per nulla?

 

Amnistia e indulto: Tanto rumore per nulla?

 

Quelli che seguono sono messaggi di detenute e detenuti della Casa di Reclusione di Padova e dell’Istituto Penale femminile della Giudecca, che parlano dell’indulto: che cosa si aspettano, che cosa temono, perché pensano che l’indulto sarebbe più un atto di giustizia, che di clemenza. Molti di questi messaggi sono stati pubblicati in una pagina che il quotidiano L’Unità ha dedicato a questo tema, il 2 dicembre 2002, dando spazio, finalmente, alle voci dei detenuti.

Noi che siamo stati condannati negli anni dell’emergenza

 

Siamo grati al Santo Padre per l’accorato e caloroso intervento a favore di un provvedimento di clemenza. Sono 12 anni che non viene concessa un’amnistia né un indulto. Molti di noi stanno scontando anni ed anni di galera, a cui sono stati condannati in un particolare periodo storico, quello della cosiddetta emergenza, prima per l’allarme terrorismo, poi per la mafia, ma le batoste le abbiamo prese in larga maggioranza noi "piccoli", quelli che vengono definiti "piccola criminalità", quelli che nulla c’entrano con terrorismo e mafia, semmai sono portatori di problemi sociali, ragazzi delle grosse periferie urbane, emarginati, tossicodipendenti, immigrati, ladruncoli di quartiere, e siamo la stragrande maggioranza.

Quello che secondo me rende necessario, ma anche giusto un indulto, oltre alle condizioni di vita all’interno della stragrande maggioranza degli istituti, è la certezza, per chi ha effettuato già da tempo i processi, di aver subito un torto, un danno, nel senso che, se si vuole essere onesti, bisogna riconoscere che chi fa un processo ora, ed ha la possibilità di chiedere il patteggiamento o il rito abbreviato, ha un terzo di pena scontato. Se queste leggi fossero state in vigore quando fui arrestato, avrei 10 anni in meno di galera da scontare. Quindi un indulto e un’amnistia farebbero giustizia, pareggiando questa disparità almeno in parte, visto che le leggi in questione non erano retroattive.

Mi trovo rinchiuso da 24 anni (a parte una breve interruzione) e da sempre ho visto entrare in carcere parlamentari di destra e di sinistra, e la loro presenza è sempre stata per noi molto rassicurante, perché sta ad indicare che non tutta la società e i politici che la rappresentano ci hanno relegati in un contenitore ermetico di devianza e problemi sociali. Sono in molti che ancora ci considerano persone, cittadini che certo hanno sbagliato, ma che in ogni modo prima o poi torneranno nella società e per questo vanno aiutati. L’essere al momento detenuto non deve significare perdere i diritti fondamentali che ogni essere umano ha in una società democratica e pluralista, come è appunto la nostra. Spero che alle visite in carcere ora segua un atto concreto del Parlamento, visto che tutti sostengono la necessità di dare una "boccata d’ossigeno" al carcere, e questo si può fare esclusivamente con un indulto.

Ancora grazie al Santo Padre ed a quanti stanno sostenendo quella che è diventata ormai una necessità.

 

Nicola Sansonna, Casa di Reclusione di Padova

Lettera di un ragazzo albanese detenuto… a quelli di fuori

 

E’ ormai sulla bocca di tutti la questione indulto, e come al solito si sentono opinioni, prese di posizione, indecisioni, insomma è la storia che si ripete: i grandi che discutono da una parte, e l’oggetto della discussione, spettatore immobile, dall’altra parte.

Ora, mentre il confronto si accende e mi trovo anch’io a essere l’oggetto di questo gioco politico, scrivo su questo tema il mio, vorrei dire grido, ma è solo un sussurro.

Ogni volta che si parla dell’indulto, puntualmente, succede lo scippo con l’anziana signora trascinata per 10 metri, o l’assalto alle ville. Episodi tragici che subito occupano i telegiornali coi commenti dei cittadini arrabbiati, intervistati da giornalisti zelanti a trasmettere un certo clima… Automaticamente l’indulto si propone, a quel punto, in termini d’impossibilità e impensabilità.

Quando poi sento lo stesso ritornello del sovraffollamento, letteralmente mi spavento, perdo le speranze e dico: "Anche questa volta niente!". E’ cosi palese che concentrarsi sul sovraffollamento è semplicemente un modo elegante di dire no. Si offre ai cittadini un motivo, che invece di richiamare le loro coscienze per condividere una scelta di generosità, richiama la loro ragione per dire un freddo "no". Chiunque sa infatti che ci sono altri strumenti progettati per risolvere il sovraffollamento (per esempio l’espulsione di noi stranieri), perciò l’indulto suona tanto da risoluzione adatta ad un paese del terzo mondo.

Sento che di questo passo vedrò svanire l’ennesima speranza ed è per questo che scrivo per dire che ci sono altre centinaia di motivi per essere d’accordo con l’indulto: è necessario perché in questi anni di continue emergenze i tribunali hanno aumentato le condanne in maniera esponenziale; perché sono migliaia le madri che aspettano con ansia di vedere i loro figli a casa; perché le carceri sono piene di stranieri che, difesi in modo mediocre da avvocati che lo fanno malvolentieri, firmano verbali e dichiarazioni subendo senza pietà le conseguenze; stranieri che espiano al 100% le condanne, perché non hanno una casa, un lavoro, o le conoscenze per accedere a forme legali di esistenza; stranieri che soffrono la lontananza dei cari e degli affetti; e infine, perché in tutto il mondo in occasione del Giubileo era stata sentita la voce di Giovanni Paolo II ed era stato accolto l’invito ad un atto di clemenza, eccetto che in Italia (dove si era alla vigilia delle elezioni).

Queste sono solo una piccola parte dei tantissimi perché in Italia si dovrebbe alleggerire un po’ la croce a tutti i detenuti, bianchi e neri, cristiani e mussulmani, veneti e siciliani senza distinzione, e perché sarebbe giusto non lasciare scivolare via le parole del Papa e le speranze dei detenuti, come delle foglie secche sulle acque gelide del Tevere.

Spero che qualcuno là fuori mi senta.

 

Elton Kalica, Casa di Reclusione di Padova

Indulto no, amnistia meno ancora

 

Siamo tre detenuti della Casa di Reclusione di Padova, Sandro, Daniele e Claudio.

In questi giorni, com’è ormai prassi da diversi anni, non si fa altro che parlare d'indulto, desiderato da noi e chiesto con pari intensità dal nostro Papa nell’occasione della visita al Parlamento.

Si sono riviste trasmissioni televisive che analizzano, sezionano, stravolgono tutto ciò che riguarda l’argomento, lasciando sempre noi detenuti con quell’amaro in bocca, quella frustrazione che viene dalla consapevolezza che alla fine tutto si dissolverà nei soliti commenti da "bar".

Crediamo che ormai questa parola sia talmente sfruttata da perdere il suo reale valore: infatti, si tende ad associarla sempre e in ogni caso allo stato precario delle carceri, al sovraffollamento, alla cronica lentezza della giustizia, ecc. ecc. valutandola solo come mezzo per uscire da un’emergenza, (creata da altre vecchie emergenze), quando altro non dovrebbe essere che la volontà di una società, rappresentata dalle sue forze politiche, di dimostrare un atto di magnanimità e misericordia verso coloro che stanno scontando una pena.

Ora questa parola per gran parte della popolazione detenuta sta trasformandosi in un incubo, gli alti e bassi d’umore si accavallano e si sovrappongono con la velocità che ha una notizia, favorevole o negativa, ad arrivare dai mass media a noi.

A nostro avviso, un atto di clemenza "riparerebbe" in parte le anomalie processuali scaturite in questo lungo periodo che parte dagli anni 90 ad oggi. Un esempio: ci riferiamo al fatto che il giudice può applicare in un processo condanne in cui la differenza tra il minimo e il massimo della pena è molto ampia, ma questo lentamente e inesorabilmente ha portato a delle condanne per certi versi smisurate.

Continuando su questa strada serviranno tra non molto delle vere "città carcere".

 

Claudio, Sandro, Daniele, Casa di Reclusione di Padova

Dignità e rispetto: in queste condizioni sono cose impensabili

 

Personalmente penso che un provvedimento di indulto e amnistia sia un atto di Giustizia. Siamo detenuti, ristretti ma innanzitutto persone, che dunque come tali hanno diritto, come ogni essere umano, di vivere con dignità e rispetto nonostante la privazione della libertà.

Dignità, rispetto dell’essere persone. Nella situazione attuale ciò si rivela agli occhi di chiunque improponibile, impensabile. Nel carcere, pezzo della società che sta incancrenendo sempre di più, non c’è allora altra soluzione, per rimuovere questo cancro, che incidere alla base: ridurre il numero dei detenuti, appunto, oggi accatastati anche in 8-10 per cella, come qui, nel carcere femminile di Venezia.

Ma l’indulto ha un senso anche per una specie di "parità" giuridico-giudiziaria: la maggior parte dei detenuti definitivi è infatti in carcere da diversi anni in seguito a condanne, applicate quando non esisteva il "Giusto Processo" o altre opportunità come il Rito Abbreviato, il Patteggiamento ecc.

 

Giulia Fedrigo, Istituto Penale Femminile della Giudecca

Anche a me dovrebbe essere data l’opportunità di non essere dimenticato

 

Sono un detenuto della Casa di Reclusione di Padova. E’ vero, ho subito una condanna, ma in base all’articolo 27 della Costituzione dovrebbe essermi data l’opportunità di un reinserimento e di non essere dimenticato.

Sono passati 12 anni dall’ultimo indulto e in tutti questi anni la popolazione detenuta è aumentata in un modo impressionante, per cui la vivibilità all’interno delle strutture è pessima e non mi pare proprio che assomigli a quella di un Hotel a cinque stelle.

Personalmente porto la mia sofferenza e la mia esperienza, che è grande perché mi sono trovato in Istituti dove si viveva nelle celle in 10 persone nonostante la capienza fosse di 4. Possibile che lo Stato italiano non veda una cosa così grave?

Spero che i politici si mettano una mano sul cuore e accolgano il rinnovato appello del Santo Padre rendendo le carceri più umane.

Il Santo Padre lo vorrei ringraziare a nome mio e di tanti detenuti per aver ascoltato e portato il nostro grido e la nostra richiesta d’aiuto ai politici.

 

Fabio Iannice, Casa di Reclusione di Padova

 

 

 

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