|
Piano Marshall per tutti i detenuti
Il Resto del Carlino, 15 dicembre 2002
E' stato l'imputato e detenuto simbolo di Mani Pulite. Oggi è il presidente dell'associazione «Liberi» per l'assistenza ai detenuti e alle loro famiglie. Per Sergio Cusani (nella foto) l'impegno è continuo. Personale e pubblico. Porta la data del 4 dicembre un comunicato con le firme dei sindacati della polizia penitenziaria (Cisl-Fps-Giustizia, Cgil-Fp, Uilpa-Penitenziari, Sindacato, autonomo polizia penitenziaria), di Cusani, di Sergio Segio, un passato di militante di Prima Linea e oggi responsabile del Programma carceri del Gruppo Abele. «L'indulto - hanno sottoscritto - è una "precondizione" necessaria per avviare quelle misure strutturali che andranno prese per garantire riconoscimento, formazione e dignità professionale agli operatori tutti, nonché vivibilità nelle carceri, anche quale condizione per il recupero e premessa per il reinserimento sociale delle persone detenute. Il nostro appello è che si facciano presto questi passi necessari, trovando la coesione politica necessaria e si apra così un percorso nuovo, dando risposta alle legittime attese di chi vive e lavora nelle carceri e alle parole del Papa, così come a quelle del presidente della Repubblica Ciampi sulla dignità delle persone recluse». Sergio Cusani intinge nell'amarezza le parole che pronuncia: «Non va bene. Noi abbiamo impostato una proposta per indulto, amnistia e un collegato sociale, un piccolo piano Marshall.
E' stato preso in considerazione solo l'indulto. Invece la
nostra è una proposta organica: indulto per sfoltire le presenze e dare respiro
alle carceri, amnistia per alleggerire il carico delle pratiche, collegato
sociale in termini di strutture di accoglienza per quelli che una volta usciti
dal carcere non sanno da che parte girarsi. Un intervento corposo. Un percorso
importante». E invece? «Invece è stata accolta dal mondo politico soltanto la
cosa più semplice: l'indulto. Tutta una tecnica politica. Un gran macello». Che
cosa chiedete? «Visto che pare impossibile affrontare un percorso articolato,
vediamo che sia un indulto serio, senza sotterfugi, senza scorciatoie. Il Papa
lo ha detto: deve essere un indulto vero. Ecco, noi chiediamo un indulto vero.
Questo di cui si parla è un "indultino", un osso buttato lì. Il Papa è stato
chiarissimo, molto più chiaro dei politici. Noi diciamo: l'indulto in sé non
risolve, è la pre-condizione per affrontare i problemi strutturali. E'
necessario che escano centinaia di persone». Nel mondo delle carceri come viene vissuto? «Come un'attesa disperante. Questo vale per San Vittore come per tutti gli istituti. Non ci sembra che una semplice sospensione della pena vada incontro alla popolazione detenuta, agli agenti, agli operatori». E lei, Cusani? «Mi sto impegnando molto. Spiace vedere sprecata una occasione, una grande occasione per affrontare i problemi delle carceri. Viene offerta una mancia. Troppo poco».«Se le carceri italiane - dice Sergio Segio - non sono ancora collassate del tutto il merito è in gran parte del volontariato che sta supplendo sia ai deficit dell'amministrazione sia a quelli del mondo politico». La voce di un volontario. Sommessa nei toni, forte nei contenuti. Padre Guido Bertagna è un giovane gesuita, operatore della Sesta Opera, un gruppo nato nel 1923 e subito entrato a San Vittore. «Nonostante la chiusura - dice padre Guido - di un braccio e mezzo, San Vittore continua a ospitare 1.200 detenuti. In questi giorni la cosa che mi colpisce è però un'altra. Entro al centro clinico, 130 posti letto, più il cosiddetto Conp per detenuti con problemi neuropsichiatrici. Vedo letti vuoti, celle deserte. La spiegazione: nella Finanziaria è previsto un taglio del 20 per cento dei fondi per l'assistenza sanitaria in carcere». |