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Sul tema dell’indulto stiamo assistendo al penoso gioco dello scaricabarile, già visto nell’anno del giubileo...
Quasi tutte le forze politiche hanno manifestato la disponibilità a discuterne, precisando però che "ciascuno deve prendersi le proprie responsabilità". Significa che nessun partito ha intenzione di addossarsi la "colpa" di un provvedimento impopolare (o ritenuto tale) senza che gli altri se ne assumano la loro parte. Del resto l’articolo 79 della Costituzione, prevedendo una maggioranza qualificata (i due terzi degli eletti) per l’approvazione di ogni singolo articolo delle proposte di legge per l’amnistia e l’indulto, intende ottenere proprio questo risultato: o si è tutti d’accordo oppure non si fa nulla. Fino al 1992 era sufficiente il voto favorevole del 50% + 1 dei parlamentari presenti in aula e, circa ogni quattro anni, arrivavano, ad alleggerire il lavoro di tribunali e carceri, sia l’amnistia sia l’indulto. Dal 1948 al 1991 ci furono ben 31 provvedimenti del genere. Delle reazioni nell’opinione pubblica i partiti politici di allora si preoccupavano poco; potevano permetterselo, visto che erano al potere da decenni e sembravano inamovibili. Ma nel 1992 la scena politica cambia radicalmente, nasce il sistema bipolare e l’alternanza diventa un "rischio" effettivo. Diventa fondamentale la "cattura" del consenso e la sua conservazione, mentre le inchieste sulla corruzione fanno perdere alla gente la fiducia verso i partiti e verso le istituzioni stesse. E’ in questo clima che il parlamento vota, praticamente all’unanimità, l’innalzamento del quorum previsto nell’articolo 79 della Costituzione, "come segnale forte" di moralizzazione: non potremo più cancellare le nostre colpe, chi sbaglia dovrà pagare, anche tra noi politici. L’onore era salvo. Sono passati dieci anni, politici condannati per corruzione in carcere se ne sono visti pochi, mentre le carceri si sono riempite sempre più di gente povera ed emarginata, anche a causa dell’impossibilità di fare nuovi indulti. Le conseguenze di una legge, con la quale le classe politica voleva autoemendarsi, oggi sono sotto gli occhi di tutti: tribunali sommersi da centinaia di migliaia di procedimenti arretrati (il 90% dei quali riguardanti reati minimi), quasi 100.000 persone sottoposte a controllo penale (metà condannate a pene inferiori a 3 anni). L’onore della classe politica italiana, "salvato" nel ‘92, oggi è seriamente rimesso in discussione e sembra affidato al cosiddetto "indultino", vista l’impossibilità di trovare un accordo ampio sull’indulto vero e proprio: se "l’onore", o meglio la credibilità, fosse la mia, non credo la affiderei alla proposta di legge Pisapia – Buemi, che tutt’al più potrebbe avere una efficacia sul piano della propaganda (buonista, una volta tanto), nel senso di tacitare le coscienze, sollecitate dagli interventi del Papa e del Presidente della Repubblica. Dal punto di vista pratico non vedo quale applicazione potrebbe avere: già con l’attuale quadro normativo le persone condannate a pena (o con residuo pena) inferiore ai tre anni non dovrebbero stare in carcere. C’é la Simeone - Saraceni, che prevede una sospensione della pena in attesa di affidamento e pure la detenzione domiciliare (per chi abbia un alloggio, naturalmente). Per i tossicodipendenti c’é la possibilità di sospendere la pena e sottoporsi a un programma di recupero; c’é l’affidamento in prova ai servizi sociali per chi ha una pena fino a quattro anni (se tossicodipendente), o fino a tre anni (per chi non è tossicodipendente). Infine ci sono gli stranieri, che difficilmente accedono alle misure alternative e per i quali, però, è prevista dalla Bossi – Fini l’espulsione obbligatoria, quando hanno una pena inferiore ai due anni, tranne se sono condannati per reati di una certa gravità. Il fatto è che anche la proposta Pisapia – Buemi esclude dalla applicazione della sospensione della pena i condannati per reati gravi, senza contare che è previsto l’obbligo di residenza in un Comune diverso da quello nel quale è stato commesso il reato, cosa particolarmente difficile per persone prive di abitazione e spesso dall’identità incerta. Discorso parzialmente valido pure per molti italiani, che non ottengono le misure alternative alla detenzione in carcere in quanto sul territorio sono senza riferimenti: un’abitazione, un lavoro. Per chi invece ha alle spalle una famiglia in grado di sostenerlo, ma che vive nel Comune dove ha commesso il reato, c’è l’ulteriore complicazione di andarsi a cercare altrove un luogo in cui risiedere. In definitiva l’indultino funzionerebbe soltanto per chi è già sufficientemente integrato nella società e, quindi, già sta fuori dal carcere, se ha "soltanto" due anni da scontare, o almeno dovrebbe starci… La Pisapia - Buemi, semmai, se applicata alle persone già ammesse alle misure alternative, potrebbe ridurre considerevolmente il loro numero (oltre 37.000) e sarebbe una buona cosa, se non fosse che le prescrizioni previste dall’indultino appaiono altrettanto severe che quelle dell’affidamento e, a differenza di quest’ultimo, la pena non verrebbe scontata ma rimarrebbe sospesa per cinque anni e chi commette un altro reato se la vedrebbe di nuovo computata, in aggiunta alla nuova condanna. A fronte di una sostanziale inefficacia in termini di decongestione delle carceri, l’indultino rischia di azzerare ogni residua speranza di vedere l’approvazione di un indulto autentico.
Francesco Morelli
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