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L’alternativa da costruire di Stefano Anastasia (Presidente Associazione "Antigone")
Liberazione, 12 luglio 2003
"Il collasso delle carceri italiane", come sapientemente l’editore Sapere 2000 ha voluto titolare l’ultima iniziativa politico-culturale promossa da Antigone, è sotto gli occhi di tutti. Le condizioni di sovraffollamento dei nostri istituti di pena impediscono strutturalmente che la pena tenda a quella finalità rieducativa che le assegna la Costituzione e contemporaneamente costituiscono la premessa di trattamenti contrari al senso di umanità. Questa avrebbe dovuto essere la bussola destinata a orientare la laica scelta del legislatore nell’esame del provvedimento di clemenza ripetutamente invocato dal Papa. Viceversa, chiuso nell’asfittico battibecco tra Camera e Senato, tra maggioranza e opposizioni e, soprattutto, dentro la maggioranza, a tentoni si è arrivati a un nuovo testo del già minimo indultino. Come al mercato (quello vero, quello al minuto, dove il prezzo si fa contrattando al centesimo), la Camera ha risposto due anni al Senato che aveva obiettato un anno e metà della pena scontata alla sua originaria proposta di tre anni e un quarto della pena scontata. Come al mercato, chi compra alla fine non sa più se ne valeva o se invece il gioco della contrattazione gli ha preso la mano. Se la bussola avesse continuato a funzionare, sarebbe parso a tutti chiaro che l’indultino approvato alla Camera, se anche non dovesse subire ulteriori modifiche dal Senato, non risolverà neppure temporaneamente i problemi del sovraffollamento penitenziario e quindi non potrà contribuire, come ci saremmo augurati, a un più generale ripensamento delle politiche penali e penitenziarie. Resterà, forse, il gesto di clemenza più volte invocato dal Papa; ammesso che la clemenza, la generosità e la gratuità che - immagino - le siano connaturate, siano compatibili con la circospezione con cui si arriverà - se si arriverà - all’approvazione di questa legge. Resterà il beneficio di cui godranno poche migliaia di persone, a fronte delle circa quindicimila in eccesso nelle carceri italiane. E tanto basta, perché ci si possa augurare che l’indultino sia approvato rapidamente e definitivamente dal Senato. Non possiamo, infatti, dimenticare che questi numeri sono fatti di persone in carne e ossa, uomini e donne sofferenti, costretti a scontare in condizioni terribili la loro pena detentiva. Fossero pure mille o poche centinaia, i detenuti destinati a usufruire della sospensione condizionata della pena prevista dall’indultino, per quei mille o per quelle poche centinaia, sarà valsa la pena di portare a compimento questo calvario. Insoluto rimarrà il problema politico, e su questo vale la pena di soffermarsi. La parte più fastidiosa, e più insidiosa, del dibattito sull’indultino è quella - animata dai leghisti, ma cui hanno partecipato parlamentari di quasi tutti i gruppi - sulle preclusioni per l’accesso al beneficio della sospensione condizionata. Non c’è stato passaggio parlamentare in cui non ci sia stato qualcuno che non abbia proposto di escludere gli autori, di questo e quell’altro orribile delitto, dal novero dei potenziali beneficiari della sospensione condizionata. Anche qui, non interessa discutere di questo o quel delitto, di questa o quella condizione; sarebbe come scendere al mercato, farsi prendere dal gioco della contrattazione e dimenticarsi perché ci si è andati. Il punto è che dietro il gioco delle preclusioni, anche quando siano proposte in buona fede, c’è la discutibile idea che alcuni detenuti debbano essere più detenuti di altri. La vecchia e cara idea illuminista, secondo cui la durata della pena detentiva misura la gravità del fatto commesso, si perde di fronte a questa diversa concezione secondo cui alcuni possono emendarsi e tornare in società, altri no, è meglio che restino in galera, il più a lungo possibile, perché tanto, che possano averne un’altra di vita, non ci crede nessuno. In fondo a questo piano inclinato vi sono la pena come mera retribuzione del reato commesso e una prevenzione della recidiva che si basa esclusivamente sulla incapacitazione, il contenimento, la segregazione. Ecco perché la parte più insidiosa del dibattito sull’indultino si è nascosta tra le pieghe del gioco delle esclusioni: perché in essa la Lega, che pure è apparsa facinorosa e minoritaria, menava le danze e misurava la propria egemonia. Chiusa la partita dell’indultino, di queste cose si dovrà tornare a discutere tra le forze democratiche e della sinistra, per costruire un’alternativa culturale e politica al revanchismo leghista.
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