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Amnistia e indulto: lettera di Sergio Segio a Marco Pannella
Caro Marco, impegni precedenti – e irrimandabili, perché coinvolgono molte altre persone – mi portano a Firenze, per due impegni (uno al mattino, l’altro al pomeriggio) sui temi delle carceri, dell’informazione e di quel nuovo macigno che rischia di precipitarvi, con la legge Fini sulle droghe all’esame del Senato. Ciò mi rende impossibile essere oggi a Roma, per aderire al tuo cortese e motivato invito. Me ne dispiace veramente, perché ho consapevolezza dell’importanza del momento e della battaglia che tu hai riaperto, con la consueta generosità e tempestività, per consentire spiragli di vita, speranza (e dignità e giustizia) per migliaia di donne e uomini rinchiusi nelle indecenti prigioni della Seconda Repubblica, che nulla hanno da invidiare a quelle della Prima. Eguali, infatti, le condizioni avvilenti, il sovraffollamento, le strutture fatiscenti e la gestione, burocratica e spesso culturalmente non attrezzata. Il cambio di secolo e il succedersi di governi di segno diverso – oltre che la supposta discontinuità tra Prima e Seconda Repubblica – non sono bastati e serviti a un salto di qualità e di civiltà nell’amministrazione della giustizia e delle pene. C’è, tuttavia, una differenza sostanziale dal tempo in cui tu con i radicali – tra i primi e tra i pochi – vi battevate per la vita del diritto, per la riforma penitenziaria, contro le leggi dell’emergenza, dell’articolo 90, delle carceri speciali. Un periodo e un impegno nel quale vi sono stato vicino e partecipe, e del quale ancora ti e vi ringrazio. E, indirettamente, per insegnare a molti nelle carceri la forza convincente e trasformativa della nonviolenza. Da allora, l’emergenza è diventata sistema di governo e ha riprodotto all’infinito profondi vulnus alla cultura giuridica, al processo, al sistema delle pene. Ma, in più e in conseguenza, si è affermata quella filosofia cosiddetta di tolleranza zero che è diventato paradigma, a destra e a sinistra, nella gestione di ogni problema sociale, del territorio, dei gruppi a rischio, della precarietà di condizione di pezzi crescenti di fasce giovanili e di lavoratori. Tutto ciò che era sociale, e cui corrispondevano domande e risposte in termini di politiche sociali, si è spostato sul penale. Il carcere è oggi compiutamente il precipitato, l’esito terminale, di questa dinamica. Un lazzaretto sociale. Nei numeri e nella composizione sociale. Come bene hai rimarcato l’altra sera a una trasmissione televisiva. Il sistema della giustizia e della penalità (ma questo vale anche per la sanità o l’istruzione) ha ormai strutturato un doppio binario: l’uno per gli abbienti, l’altro per i non, o i meno, abbienti. In televisione hai usato una definizione di cui io e i miei compagni abbiamo a lungo abusato in passato: giustizia di classe. Pure, obiettivamente, oggi di questo si tratta. A questo alludono leggi attualmente in discussione (la Cirielli-Vitali in primo luogo, ma anche, in vario modo, la passata legge-truffa dell’indultino, per non dire dell’intero impianto procedurale o delle riforme dei codici). Come sai, nel passato recente, nell’anno del Giubileo e in quelli successivi, ho tentato, assieme a tutti i pezzi del variegato mondo delle associazioni, del volontariato, delle comunità, del sindacato e del Terzo settore, di istruire e rendere credibile un percorso politico e parlamentare che sfociasse in un provvedimento di amnistia e indulto e – più in là e a supporto – in un programma serio di reinserimento sociale e lavorativo per quanti fossero usciti dal carcere (il cosiddetto "piccolo piano Marshall per le carceri"). Come tutti sappiamo, un cinico gioco del cerino tra schieramenti parlamentari ha vanificato quella possibilità, che pure è stata concretamente e per un attimo a portata di mano. Gli effetti, indiretti fin che si vuole ma non meno terribili, si sono misurati con l’impennata di suicidi nelle carceri nel 2001: 70 morti rispetto alle 56 dell’anno precedente e alle 51 del 1999. Del resto, neppure il ripetuto e autorevole spendersi del papa è riuscito a ottenere nulla di diverso dagli ipocriti applausi di un Parlamento in altre faccende affaccendato. E arrivo al punto. L’intera produzione e proposta legislativa di questo governo in materia penale e penitenziaria è stata tesa a ulteriori strumenti di contenimento e repressione nei confronti delle fasce più deboli: immigrati e tossicodipendenti in primo luogo, ma più in generale verso i poveri e gli emarginati. L’enfatizzazione della costruzione di nuove carceri (con ingenti risorse destinate allo scopo, in continuità e aggravamento delle scelte del precedente governo), la mancata applicazione del Regolamento penitenziario, meritevolmente portato avanti e fatto infine approvare da Sandro Margara e Franco Corleone. La "normalizzazione" del 41bis e del carcere duro. Ma soprattutto, le leggi depositate e portate avanti e, viceversa, quelle bloccate. Ne elenco solo alcune:
Viceversa:
Insomma, se il governo precedente è stato colpevole soprattutto di omissioni nei confronti degli stratificati e drammatici problemi penitenziari, quello attuale lo è invece per atti e volontà precise: quelle di essere comprensivo verso i forti e intollerante verso i deboli, in un evidente garantismo a senso unico, pur nella buona fede e anche ottime intenzioni di singoli esponenti della maggioranza di governo. Mi scuserai la lunghezza. Ma questa premessa è per dire che sono assai scettico che in un clima politico, in una composizione parlamentare e in una produzione legislativa fortemente segnati dal paradigma (e dalla cultura diffusa anche a livello sociale e di opinione pubblica, sapientemente disinformata a questi riguardi) della tolleranza zero, sia ipotizzabile un provvedimento di segno opposto. Se così fosse, ha già messo le mani avanti Ignazio La Russa, dovrebbe avvenire in ragione di uno scambio con la ex Cirielli. Che sarebbe come a dare 10 con una mano e riprendere 100 con l’altra. Farne uscire 10.000 per rimetterne immediatamente permanentemente ai ceppi almeno il doppio. Questa è la filosofia: gli irrecuperabili vanno tolti permanentemente dal consesso civile. Che il consesso sia civile e quelli siano irrecuperabili (e non voluti tali da leggi proibizioniste e da un egoismo sociale eretto a norma e virtù) è puro atto di fede e di ideologia. E di propaganda. Ma tanto basta. Non si può, dunque, essere ottimisti e nemmeno ci si può prestare a portare anche l’improbabile amnistia all’ammasso di una cultura propriamente forcaiola. Per come la vedo io, l’amnistia e l’indulto (anche a questo giro, come già allo scorso, qualcuno, in questo caso di sinistra, si è premurato prima ancora si accendesse la discussione di proporre che l’indulto sia limitato a sei mesi: una proposta scarsamente intelligente, come lo era stato il gioco al ribasso dell’indultino) devono essere pensati e proposti (e possono essere seriamente ipotizzati come possibili) se sono la ratifica o almeno l’apertura di un processo di ripensamento sul carcere inteso come panacea e come prima risposta a qualsiasi problema o lacerazione sociale. Se sono il prodromo di un percorso simmetricamente opposto, che vada dal penale al sociale. Diversamente, ci stanno e ci stiamo raccontando frottole. Oppure, rischiamo di portare acqua al mulino delle penalizzazione infinita. Questo avrei voluto dirvi quest’oggi e discutere con te. Rimane vero e certo, che al di là di ogni fondato pessimismo, bisogna fare tutto il possibile per migliorare le condizioni delle carceri e per un provvedimento clemenziale e deflativo. Bisogna farlo sempre, dunque anche in questo frangente, dato che la tua importante iniziativa ha riaperto perlomeno la discussione. Io, come sempre, ci sono, con le mie piccole forze, per fare quello che, nei modi migliori e più efficaci, si riterrà possibile e opportuno di fare.
Un abbraccio.
Sergio Segio
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