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Cassazione: evasione lasciare i domiciliari per tornare in carcere
Il condannato agli arresti domiciliari che si allontani da casa per tornare in carcere rischia una condanna per evasione. Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione confermando la condanna inflitta dalla Corte di Appello di L’Aquila ad un giovane che, mentre stava scontando una pena detentiva all’interno di una comunità terapeutica, si era recato nel carcere di Rebibbia chiedendo di poter tornare in cella. La Suprema Corte ha ora respinto il ricorso dell’imputato, spiegando che, nonostante l’intenzione di volersi consegnare alla polizia penitenziaria, sussiste comunque il reato, in quanto lasciare per qualsiasi motivo il luogo di custodia senza un provvedimento dell’autorità giudiziaria è comunque un’evasione. Lo sfortunato "evaso" dovrà anche versare mille euro alla cassa delle ammende. (29 dicembre 2006)
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale Sentenza n. 36532/2006 (Presidente: G. De Roberto; Relatore: A. Rossi)
R. D. ricorre per cassazione avverso la sentenza in data 16/12/2005 della corte di appello dell’Aquila che, in parziale riforma della sentenza del 6/7/2001 del tribunale di Atessa, lo ha condannato alla pena di mesi uno e giorni 24 di reclusione per il reato di cui all’art. 385 c.p. [1]. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denunzia la violazione di cui all’art. 606 lett. b) c.p.p. in relazione agli artt. 43 e 385 c.p. sul rilievo che egli si era allontanato dalla comunità terapeutica dove era detenuto agli arresti domiciliari con la precisa ed unica intenzione di far rientro in carcere e precisamente a Roma, nel carcere di Rebibbia. Con la conseguenza che è assolutamente mancato l’elemento soggettivo del reato di evasione.
Diritto
Il ricorso è manifestamente infondato. Il collegio ricorda che sussiste il reato di evasione tutte le volte che il soggetto, con un’azione volontaria, si sottrae, anche temporaneamente, allo stato di costrizione cui è sottoposto. In forza dell’art. 385, comma 3, c.p. le disposizioni dettate per l’evasione dal luogo di custodia valgono poi anche per l’allontanamento dall’abitazione o dal diverso luogo in cui il soggetto si trova agli arresti domiciliari; e ciò al fine di garantire il rispetto dei provvedimenti adottati dall’autorità giudiziaria in tema di libertà personale. In quest’ottica la durata ed i motivi dell’allontanamento restano irrilevanti a meno che non assumono il carattere di vera e propria esimente. Ne consegue che tanto l’affermazione del ricorrente di essersi allontanato dalla comunità terapeutica dove era detenuto agli arresti domiciliari con la precisa ed unica intenzione di far rientro in carcere quanto la sua costituzione nel carcere di Rebibbia il giorno successivo a quello dell’allontanamento non incidono ne sull’elemento materiale ne su quello psicologico del reato. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta equa, di 100,00 euro in favore della casa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 100,00 in favore della cassa delle ammende.
2 ottobre 2006
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