|
Scarcerazioni... o incarcerazioni facili? di Antonio Chiocchi
Ormai, il sistema politico italiano, come una sorta di meta-organismo pavovliano, agisce per riflessi condizionati, con una disarmante prevedibilità. Purtroppo, la razionalità predicibile delle opzioni degli attori politici non è riducibile a semplice "caso di studio". Il fenomeno preoccupante è che tali opzioni hanno per bersaglio fisso la sfera dei diritti, delle garanzie e della sicurezza sociale, disarticolandone e sopprimendone progressivamente l’equilibrio regolativo originario, costato anni, se non secoli, di battaglie culturali, di lotte sociali e di impegno civico-politico. Destra e sinistra, prive di progetti culturali e politici adeguati alla complessità della domanda sociale e della situazione storico-politica, si rincorrono sui temi della sicurezza pubblica, i quali vanno ad occupare parte preponderante dell’agenda politica, divenendo una delle aree privilegiate della competizione inter/e intrapartitica. La quale competizione, in queste condizioni, non può che risolversi in una simulazione quotidiana dello scontro elettorale. La mancanza di discussione politica, di un confronto/scontro vero tra i vari schieramenti politici, attiva una fase di campagna elettorale permanente, nel gorgo del quale il sistema politico italiano è precipitato dal 1992-1994. La stragrande maggioranza delle forze politiche cerca di catturare il consenso popolare, facendo leva sulle paure collettive e individuali più arcane che scuotono l’organismo sociale. Si stabilisce, così, una sintonia elettiva tra media system e sistema politico, secondo il canovaccio tipico del "gioco delle parti":
Intorno a questi anelli, la servitù culturale del sistema politico di fronte al media system e la servitù politica del media system di fronte al sistema politico si saldano perfettamente, sublimandosi l’una nell’altra. Un potenziale conflitto inter/e sottosistemico viene, così, risolto e surrogato attraverso la messa in scena e rappresentazione proiettiva del conflitto contro un attore terzo: l’escluso, l’estraneo. Ora, chi può ritenersi più escluso ed estraneo dei detenuti? Ecco, quindi, che il carcere diviene uno degli ideali terreni di coltura e cattura del consenso sociale: un territorio di predazione politica a buon mercato. Si tratta di un investimento a basso costo e ad alto "valore aggiunto", con una resa simbolica sicura e monetizzabile in voti sonanti. Poche le forze politiche che si sottraggono a questo "gioco al massacro" perpetrato contro diritti minimi, corpi reclusi e vite già sofferenti.
Prendendo spunto da inquietanti fatti di cronaca m, non poteva mancare anche stavolta il ricorrente tiro incrociato, ad alzo zero, contro i benefici previsti dall’ordinamento penitenziario a favore dei detenuti. Il tema è il solito: le "scarcerazioni facili". Il leit motiv di fondo: la "certezza della pena". L ‘ultimo presidio da abbattere: la vituperata "legge Gozzini" (a cui è stata associata la "Legge Simeone"). Al di là di pur significative divergenze, il "rumore di fondo" è unanime nel perseguire la cancellazione degli spazi (peraltro, già esigui) di "socializzazione del carcere", con una regressione verso concezioni e ossessioni punitive, i cui corollari antropologico - culturali possiamo così riassumere:
Ma vediamo di procedere per gradi, isolando in sequenza le questioni su cui si è concentrato un infuocato quanto strumentale e rozzo dibattito politico.
Le cosiddette scarcerazioni facili
Non c’è campagna più strumentale di questa. Il sistema penitenziario italiano soffre, in realtà (e non da poco), di un eccesso di incarcerazione. Forniamo una serie di dati, per smentire la tesi delle scarcerazioni facili col conforto dei numeri. Nel farlo, assumiamo come fonte il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (segnatamente il "Servizio per l’informatica e la statistica - Area Monitoraggio e Statistica"). Iniziamo con l’esaminare i ritmi di incarcerazione del triennio 1997/1999:
Popolazione detenuta:
Come si vede, siamo di fronte ad un trend in crescita, attestato su valori assoluti mostruosamente alti, ben oltre i limiti di tolleranza e di capienza sopportabili dalle strutture penitenziarie italiane. Va qui ricordato che il sistema penitenziario italiano ha una capacità reclusoria che si aggira intorno ai 25-30.000 detenuti. Consideriamo, ora, il rapporto tra detenuti definitivi e detenuti in attesa di giudizio:
Composizione rispetto al grado di giudizio:
Detenuti condannati in via definitiva
Nonostante una lieve flessione, i dati illustrano bene come una percentuale assai cospicua di reclusi continui a rientrare nella fascia dei detenuti imputati, ai quali vengono riconosciuti in conclusione del giudizio , come ben mostrano indagini empiriche consolidate, livelli di assoluzione quantitativamente rilevanti. Basti qui osservare, con riferimento al solo 1998, che su 550.000 denunciati per i quali viene attivata l’azione penale soltanto 300.000 (quasi) risultano condannati; di questi, 250.000 vengono condannati in primo grado. La divaricazione tra i flussi dell’azione penale e quelli della colpevolezza riconosciuta è netta. Il che indica che una quantità rilevante di cittadini-imputati passa per il sistema reclusorio, pur essendo innocente! Ad un ritmo di incarcerazione rapido corrisponde un ritmo di decarcerizzazione lungo e incerto, per gli stessi detenuti imputati dichiarati innocenti! Per i detenuti riconosciuti colpevoli, la decarcerizzazione è una "promessa" che, con una puntualità sconfortante, la legge fondamentale e le istituzioni non mantengono. Passiamo ora a valutare il grado di evoluzione della concessione dei benefici penitenziari nell’arco temporale 1991-1997, sempre affidandoci ai dati forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Scorporiamo i dati per tipologia di beneficio:
Ammissione al lavoro esterno
Semilibertà
Permessi premio
Nonostante l’aumento in cifra assoluta fatta registrare in più di un caso, il sistema, nel suo complesso, fa uno scarso ricorso agli istituti penitenziari finalizzati alla socializzazione dei reclusi. La loro incidenza è, difatti, minima in rapporto alla popolazione detenuta che, per gran parte, ne rimane tagliata fuori. Facendo un’analisi comparata tra benefici concessi e benefici rifiutati, il fenomeno emerge con più nettezza. Un’indagine empirica, circoscritta ai principali istituti penitenziari del Nord, Centro e Sud, limitatamente al periodo 1991-1994, lo mette ben in evidenza. Riassumiamo qui i dati di questa indagine, indicando con C i benefici concessi e con R quelli respinti.
Permessi
Permessi premio
Affidamento in prova ai servizio sociale:
Semilibertà
Liberazioni condizionali
Come mostrano i dati, i rigetti sono di gran lunga superiori nei confronti delle concessioni. Il che dimostra ancora una volta, con l’eloquenza dei numeri, come la regola aurea di funzionamento del sistema penitenziario italiano sia quella della facile incarcerazione e della problematica scarcerazione. Altro che scarcerazioni facili!
Alcune osservazioni conclusive
Dobbiamo, infine, considerare che, nell’ultimo biennio, in Italia il volume criminogeno rilevato (numero di delitti e infrazioni contro la norma) è in diminuzione, in significativa controtendenza rispetto al quinquennio precedente. Ancora: si deve aggiungere che in ambito comunitario l’Italia non si colloca tra i paesi a più elevato indice di criminalità. Ciononostante crescono il volume e l’indice di incarcerazione, in parallelo con la crescita esponenziale dell’allarme sociale. In un’intervista del 1999, il prof. E. U. Savona fa opportunamente rilevare: "È incontrovertibile, sulla base dei dati, che ci sia una diminuzione del fenomeno criminale ma che la paura aumenti. Lo confermano i dati sulla vittimizzazione". Nella stessa direzione va il "Rapporto Censis" del 1998; il "Rapporto Censis" del 1999, poi, è ancora più secco: "Il numero complessivo dei delitti nel nostro paese è diminuito dal 1997 al 1998, passando da 2.440.754 a 2.425.748 reati denunciati (-0,6%), invertendo per la prima volta in cinque anni la tendenza ad una moderata crescita che si era avuta dal 1994". Le scelte puramente repressive innescanti l’aumento costante dei flussi di incarcerazione, quindi, non hanno alcuna giustificazione storico-sociale. Di più: il prof. Savona, non esita a tacciarle di contro intenzionalità: "Infatti l’esperienza di "tolleranza zero" dimostra che se si agisce solo sulla leva repressiva, ritornano nei tempi più lunghi gli stessi livelli di criminalità che si credeva di avere eliminato".
La "certezza della pena"
I codici della "certezza della pena", sposati con gran profluvio di argomentazioni anche da consistenti forze di sinistra, in realtà, non sono che un eufemismo, per nascondere un terribile paradigma punitivo: il posizionamento del carcere come ... unica alternativa del carcere. Non appare più sufficiente l’occlusione fattuale del circuito della risocializzazione (dal carcere alla comunità libera); si vuole ancora di più: sancire formalmente l’impossibilità e la pericolosità della risocializzazione. I vari teoremi della corrispondenza tra pena irrogata e pena eseguita postulano, in concreto, il carcere come unica risposta politico istituzionale alla devianza e alla trasgressione della norma. Il terribile potere di punire finisce col coincidere per intero con il terribile spazio/tempo della reclusione. Il carcere diviene un’escrescenza mostruosa che mostrifica la società; per non parlare dell’annichilimento, senza speranza di remissione alcuna, a cui sottopone i corpi, le menti e le anime dei suoi abitatori. Nei primi anni 80, movimenti, forze semi-organizzate ed organizzate di sinistra s’impegnavano generosamente per "liberarsi della necessità del carcere". La dissoluzione dell’identità e la deriva della memoria storica, dopo neppure due decenni, conducono oggi gran parte delle forze di sinistra in pasto ad istanze autoritarie e conservatrici, postulanti la necessità contraria: la inamovibilità e centralità del carcere nel sistema di controllo sociale e di espiazione della pena.
La disintegrazione progressiva della "legge Gozzini"(e della "Simeone")
Nelle campagne di panico sociale ricorrentemente lanciate, la causa principale, se non unica, delle cosiddette scarcerazioni facili viene individuata nella "legge Gozzini" (Legge 10 ottobre 1986, n. 663). Con questa legge, aderendo al dettato costituzionale, il Legislatore cercò di razionalizzare i motivi di flessibilizzazione della pena già embrionalmente presenti nella riforma penitenziaria del 1975. Vennero introdotti istituti nuovi e ridisegnati parecchi dei vecchi, nell’ottica di una più marcata apertura del carcere alla società. Si trattava di un primo e timido passo, per strappare il carcere dal ghetto e i detenuti dall’inferno reclusorio, restituendo loro diritti, dignità e speranza. Tutto ciò, dopo gli "entusiasmi iniziali", è apparso intollerabile e inammissibile: sistema politico, media system e opinione pubblica, ben presto, sono diventati i protagonisti attivi di una campagna permanente tendente alla destrutturazione/soppressione della "legge Gozzini". Non è stata sufficiente la "legislazione di emergenza" de1 1991-92 che ha letteralmente sfigurato la legge: non è bastato averla "controriformata"; la si vuole cancellare. Vediamo, in sintesi, gli effetti più destabilizzanti della "legislazione di emergenza" 1991-92: la legge 203/91 insedia un regime probatorio differenziato per i reati di associazione mafiosa ed eversiva: i condannati per tali reati possono usufruire delle misure alternative e risocializzanti, solo dopo aver dimostrato di non avere più alcun rapporto con l’organizzazione d’appartenenza. Col che: (a) si rovescia l’onere della prova, non più a carico dell’ accusa, bensì della difesa; (b) la "presunzione di colpevolezza" si sostituisce, di fatto, alla "presunzione di innocenza". La filosofia inconfessata su cui si reggono le nuove norme così recita: "si è colpevoli ...fino a prova contraria". La legge 356/92 fa un impiego distorto delle misure alternative, trasformandole in uno strumento di pressione, atto a spingere i detenuti per fatti di mafia alla collaborazione con la giustizia. Si ingigantisce, così, il già abnorme fenomeno delle chiamate di correità strumentali, autogiustificantisi reciprocamente, senza altro riscontro probatorio. Viene alimentata una cultura della delazione che non appare un criterio guida valido, per una effettiva risocializzazione del reo. La delazione non è, sicuramente, il mezzo migliore per sradicare le culture criminogene; anzi, le conferma e innova ad un più elevato grado di vischiosità e pericolosità sociale. Passate e recenti vicende di cronaca giudiziaria, aventi per protagonisti collaboratori di giustizia, hanno dimostrato ad iosa la fondatezza di questo vecchio corollario delle politiche della sicurezza pubblica, caduto oggi largamente in disuso. La risultanza dirompente della "legislazione di emergenza" del 1991-92 è stata la lievitazione dei rifiuti opposti da magistrati e tribunali di sorveglianza avverso le richieste dei detenuti di fruire dei benefici di risocializzazione previsti dall’ordinamento penitenziario; come abbiamo avuto modo di documentare in precedenza. Su un ulteriore versante si svela la strumentalità dell’attacco alla "legge Gozzini": quello della funzionalità della legge. Secondo i dati diffusi dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e riguardanti il periodo 1991-1998, il grado di trasgressione è minimo, ben al disotto delle soglie di tolleranza fisiologica. Forniamo il quadro completo del volume dei benefici per la "legge Gozzini":
Vediamo, ora, come si presenta il quadro per singole misure:
Lavoro esterno
Affidamento ai servizi sociali
Semilibertà
Permessi
La legge ha, dunque, "funzionato". E, quindi, se ne dovrebbero ampliare gli ambiti di applicazione. Invece no: a centro e a destra la si criminalizza; a sinistra la si contiene, con un’opera di erosione continua. Di un attacco altrettanto sistematico è stata fatto segno la "legge Simeone" (Legge 27 maggio 1998, n. 165) che dispone, per le pene inferiori ai 3 anni e i residui-pena non superiori a 3 anni, la sospensione dell’esecuzione e l’ammissione alle misure alternative alla detenzione. Sin dall’inizio, la legge è stata criminalizzata. Stando all’allarme sociale suscitato dai media, i "criminali" rimessi in libertà grazie alla "legge Simeone" avrebbero dovuto essere: a) nell’immediato: 1.500; b) in un breve lasso di tempo: 15.000. Il livello di criminalizzazione della legge, nei media e nella polemica politica, è pari soltanto al livello della sua disapplicazione. Secondo i dati forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, nel periodo maggio-dicembre 1998, i detenuti scarcerati per effetto della "Legge Simeone" sono soltanto 537.
Il "pacchetto sicurezza" discusso in via interlocutoria il 14 febbraio 2000, in un apposito vertice del Governo, rimane saldamente ancorato alla linea di progressiva dissoluzione dei diritti e degli spazi di socializzazione dei detenuti, inaugurata dalla "legislazione di emergenza" del 1991-92, di cui costituisce una coerente enucleazione. La discussione ha delineato un doppio scenario:
Una buona sintesi degli orientamenti dell’Esecutivo sul tema "carcere e sicurezza" è fornita dal ministro della Giustizia, Oliviero Diliberto, nell’intervista comparsa sul "Corriere della Sera" del 15 febbraio 2000. Isoliamo i punti chiave dell’intervista che riguardano più da vicino il tema che stiamo trattando:
Alla luce delle argomentazioni che abbiamo articolato, appare superfluo ogni commento sulle posizioni contenute nel "pacchetto sicurezza" varato dalla maggioranza. Non è che sul fronte opposto si navighi in acque più tranquille; anzi. Gli emendamenti più significativi annunciati dalle opposizioni riguardano:
|