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Sesso, un po’ di verità Alcune voci su un tema scottante
Ristretti Orizzonti, numero 0
Parlare di sesso è difficilissimo per noi per motivi diversi. Prima di tentare di analizzarli mi pongo una domanda: a cosa si riduce il sesso in carcere? a desideri portati allo spasimo, frustrazioni per il mancato appagamento, accumulo di fobie sessuali. C’è pudore ad affrontare i problemi della sessualità negata, parlare di autoerotismo, di masturbazione, non è affatto facile. Voglio innanzitutto sfatare molti luoghi comuni: in carcere ci sono uomini e donne con le medesime pulsioni degli uomini e delle donne che stanno fuori, quindi esiste più o meno la stessa quota di omosessualità, e gonfiare certe percentuali è un esercizio puramente gratuito. Resta il fatto che il sesso si riduce ad un "puro atto fisiologico" e le "nostre" donne... che ci sorridono dalle pagine di giornali patinati diventano una pena aggiuntiva!... (tra l’altro nel nostro "moralissimo" carcere di questi giornali è vietato l’acquisto...).
Un universo di angoscia che le "stanze dell’amore" non allevierebbero
Quello che non voglio comunque fare è liquidare con semplici considerazioni personali un universo fatto di angosce e sofferenze, dove poco risolverebbero le "stanze dell’amore" dell’ex-progetto Coiro. Bisogna piuttosto, secondo me, che vengano ripristinate tutte le possibilità d’uscita dal carcere, perché dobbiamo uscire noi, non "far entrare" anche le nostre donne. E si tratta, comunque e purtroppo, solo di un ragionamento teorico... perché in pratica non si muove niente in tal senso. La realtà è sempre e solo la doppia condanna: carcere più sessualità negata con tutto ciò che ne consegue.
Nicola Sansonna
Sessualità: la parola, nonostante la liberalizzazione di questi ultimi anni, è ancora, soprattutto nel carcere, tabù. Gli uomini prima hanno chiuso in una gabbia altri uomini, colpevoli di aver trasgredito le regole, mantenendoli in vita con due pasti caldi al giorno, convinti che questo garantisca loro sicurezza e tranquillità, e nonostante i risultati disastrosi non si sono ancora convinti che nessuna persona può essere imprigionata così, se non in nome della tortura. Di sesso si parla poco e quando se ne parla lo si fa spesso male, in maniera così distaccata, con la paura di scandalizzare esponendo il proprio pensiero, quando in realtà proprio lo scandalo è purtroppo forse l’unica maniera per attirare l’attenzione su questo argomento, perché, a differenza che in molti paesi europei, qui in Italia il problema è quasi ignorato, e solo da poco tempo qualcuno sembra accorgersene e lanciare tiepidi segnali, raccolti con scarsa attenzione da chi invece dovrebbe curarsene.
Ma ben vengano (se venissero...) anche le "stanze dell’affettività"!
Si è cominciato da poco a parlare della possibilità di creare all’interno degli istituti delle stanze che potessero ospitare incontri tra i detenuti e le proprie compagne, mogli, conviventi, fidanzate: le cosiddette "stanze dell’affettività". Anche se la proposta è destinata ad essere accantonata, dal momento che non è considerata un’emergenza, già il fatto di parlarne è stato in se stesso un successo, perché ha significato riconoscere che la sessualità è parte integrante di un sistema riabilitativo, in quanto a nessun detenuto deve essere negata la possibilità di coltivare gli affetti, e tanto meno quello dei propri cari. Non dovrebbe essere motivo di scandalo il voler fare l’amore con la persona amata, dovrebbe esserlo invece l’affettività negata: in questi casi infatti non è solo il recluso ad essere condannato alla privazione di ogni sentimento, affetto, desiderio sessuale, ma anche la famiglia, la moglie, la convivente. Quando in televisione venne data la notizia che si pensava di creare queste "stanze dell’affettività", l’entusiasmo aveva invaso il carcere, ma nei giorni seguenti quell’entusiasmo ha ben presto lasciato il posto ad una profonda riflessione in ognuno di noi, tanto che poi non se ne è più parlato, forse per la poca considerazione che è stata data a quella notizia o forse per qualcosa di più profondo, cioè il pudore che si ha per le persone che dovrebbero dividere quelle stanze con noi. A molti dà infatti fastidio l’idea che la propria donna debba percorrere un determinato tragitto che porta in un determinato posto, un posto dove si consuma solo l’atto sessuale: la totale freddezza con cui si svolgerebbe tutto ciò ha il sapore di un incontro mercenario ed è umiliante per il detenuto e soprattutto per la sua compagna. La legge Gozzini è stata pensata anche per questo, ma in quanti possono accedervi? Chi deve scontare molti anni prima di beneficiare di un permesso è condannato all’astinenza sessuale più di un altro: si tratta di un pesante problema psicologico e fisiologico, e non sono le mura costruite intorno a noi e ai nostri cari la soluzione migliore per far fronte a problemi di questo genere, sono le mura di un problema sbagliato che devono cadere e portare il carcere fuori, allargando le possibilità di accedere ai benefici previsti e rivedendo tutti quegli articoli di legge che sono nati da un’emergenza ormai da tempo cessata. Ma, per quanti hanno ancora tanti anni di galera da scontare, ben vengano (o verrebbero...) anche queste pur discutibili e criticabilissime "stanze dell’affettività".
Michele Esposito
La sessualità viene definita dall’enciclopedia Treccani "il complesso dei fenomeni che concernono il sesso", ma, prosegue la Treccani, "quella che è la funzione base della riproduzione diventa nella specie umana un groviglio inestricabile di sentimenti e comportamenti che assumono un’importanza fondamentale nella vita dell’uomo e coincide solo parzialmente con l’attività riproduttiva". Fin dall’antichità quasi tutte le filosofie e religioni hanno assunto la sessualità, nelle sue diverse espressioni, come uno dei motori base delle pulsioni e dei desideri, e dei relativi comportamenti, dell’uomo. Per culminare con le teorie freudiane, secondo le quali non c’è praticamente pensiero o azione umana che sia immune da influenze istintive derivanti dalla sfera sessuale. Di conseguenza l’Istituzione carceraria, nel punire gli individui che hanno commesso reati con la privazione delle libertà, reprime anche totalmente qualunque espressione della sessualità dell’individuo. I risultati sono spaventosi, perché vanno ad incidere in profondità su tutte le caratteristiche, sia fisiche che psichiche, della vita individuale. Di tutti gli aspetti volutamente negativi del carcere, questo è certamente il peggiore e, alla lunga, il più deleterio per la psiche di una persona, perché distrugge la vita affettiva del detenuto e delle persone a lui legate e quindi anche la fondamentale istituzione della famiglia. Date le gravi ed irreversibili conseguenze della carcerazione, lo Stato ha cercato di ovviare con la legge Gozzini che effettivamente, se applicata correttamente e con i tempi previsti dalla legge stessa, si è rivelata molto utile ed efficace. Rimane però il problema delle pene lunghe e di quelle aggravate dall’articolo 4 bis che comportano un distacco dai famigliari troppo prolungato prima che intervengano i benefici della legge. Purtroppo i colloqui, pur molto importanti, non sono una soluzione al problema. Neppure i ventilati incontri intimi fra coniugi o conviventi possono servire a molto perché risolverebbero solo un problema fisico I ma non quello affettivo e psicologico, che anzi potrebbe risultarne aggravato dalla saltuarietà e precarietà degli incontri, in condizioni che potrebbero essere solo umilianti e deprimenti. Purtroppo il problema nel suo complesso è di difficile soluzione, l’unica possibile appare quella di applicare per tutti la legge Gozzini fin da quando è stata pronunciata la sentenza definitiva. D’altra parte, dati i tempi della giustizia in Italia e visto quindi che, specie nei casi più importanti, ci vogliono almeno 3-4 anni di custodia cautelare, la privazione affettiva che viene inflitta appare essere punizione più che sufficiente per chiunque.
Aldo Pavan
Vittoria! Questa potrebbe essere la parola che i detenuti griderebbero se dovesse passare la proposta di poter fare del sesso "dietro le sbarre". Ma vittoria per chi? Per gli uomini sposati e per quelli con regolare convivente-fidanzata, forse. E per gli altri? Non può essere questo il sistema migliore per affrontare il problema enorme della sessualità in carcere. La mancanza di sesso per un recluso è qualche cosa che intacca, fin dall’inizio della carcerazione, il suo equilibrio psicofisico. L’unica consolazione che gli rimane è il ricordo, via via sempre più sbiadito col passare dei mesi, degli anni e che poi diventerà pura e semplice fantasia, supportata anche da palliativi quali riviste, foto etc. E saranno anche considerati appunto dei palliativi, ma sono pur sempre un modo per tenere viva la memoria di come è fatta una donna, uno stimolo in più per continuare a sperare di essere vivi e non solo "vegeti". Ma questo probabilmente è stato considerato un lusso di cui il recluso non doveva più godere, dal momento che ora è stato anche vietato l’acquisto di tali riviste. Motivo? Forse si vuole costringere il detenuto a non pensare a "certe cose" che io personalmente continuo a chiamare, da vecchio conservatore, AMORE. Ecco allora che è di amore che dobbiamo parlare, pensando che dentro di noi ne esiste una certa quantità, anche di spirituale, pronto per essere donato: ma forse questo è il lato che non interessa a nessuno e che è difficile da capire.
E come potrebbero bastare quelle poche carezze date su una mano? L’esigenza materiale dell’atto vero e proprio è di fondamentale importanza quando si voglia dividere con la propria moglie o convivente le affettuosità nate dal sentimento: e come potrebbero bastare le occhiate furtive, quelle poche carezze date su una mano, rubate durante i colloqui fatti, nella maggior parte dei casi, tra nugoli di altri detenuti e loro famigliari? E però non si può nemmeno considerare una valida soluzione un tempo determinato da trascorrere con la persona cara chiusi in una stanzetta misera e spoglia di una prigione. Diventerebbe un atto meccanico, condizionato nella sua poesia, frustrante anche per la propria compagna, perché non considerato più la continuazione di un affetto, ma un fatto dovuto, il compimento di un "dovere" e basta. Troppo poco! Per poter approfondire tale argomento, bisognerebbe scrivere un vero e proprio trattato, ma voglio limitarmi ad esporre dei fatti scrivendo le mie considerazioni, spetterà ad altri dare dei giudizi. Ricordo con quanta soddisfazione è stata accolta inizialmente la notizia che il dott. Coiro stava cercando la soluzione di questo problema all’interno delle carceri, ma poi ben presto tutti si sono chiesti se questo era veramente il primo e più importante problema che doveva essere risolto nel microcosmo carcerario. Se si trattasse solo della soddisfazione di un bisogno materiale per i più, questa soluzione prospettata potrebbe anche essere considerata valida: basta aggiungere al catalogo dei libri della biblioteca un altro catalogo contenente foto di donne disponibili e relativa tariffa oraria ed ecco trovata la soluzione per i non sposati o privi di convivente, anche loro hanno dei diritti! Ma così facendo si finisce solo per cancellare migliaia di anni di civilizzazione per ritornare indietro, a un mondo rozzo e incivile. In questi anni sono stati abbattuti muri invalicabili, sono caduti tabù e preconcetti, perché allora non "togliere" anche le mura in cui siamo costretti ad essere rinchiusi per colpa di errori fatti per umana debolezza, perché non darci l’opportunità di concretizzare l’enorme voglia di donare l’amore che è dentro ognuno di noi? Solo così si darà veramente la possibilità alle persone, perché tali siamo, di coltivare le proprie affettività, ma non è all’interno di un istituto di reclusione che ciò può avvenire. La soluzione? Esiste già, non occorre cercare la lampada di Aladino: si chiama legge Gozzini!
Guido Galvan Non
solo sesso, ma la possibilità,
Ristretti Orizzonti, numero 3 – 1999
Avevamo cominciato proprio da lì, dall’affettività in carcere, il primo numero del nostro giornale. In maniera diversa, con idee diverse, tutti mettevano in evidenza la stessa esigenza: volerne parlare. I nostri pareri partivano dalla circolare in cui l’allora direttore del D.A.P. (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), dottor Coiro, invitava i direttori degli istituti di pena ad individuare degli spazi idonei per poter rendere possibile lo svolgimento di Questi "particolari" colloqui. Il suo progetto Coiro non ha potuto realizzarlo, ma come spesso accade le idee buone sopravvivono agli uomini, e dopo la sua morte la proposta è stata raccolta e portata avanti dall’onorevole Pisapia e da altri parlamentari. A un anno di distanza torniamo su un problema che non ha mai smesso di essere attuale, e che si ripresenta a fasi cicliche, prima come se fosse di imminente soluzione, poi di nuovo lontano e irreale, e poi ancora improvvisamente "lì lì" per essere risolto. Ci sono state nel frattempo molte accese discussioni sul tema, anche tra di noi, c’è stata e c’è la difficoltà ad accettare la possibilità, che forse ci verrà offerta, di avere incontri che potrebbero essere anche intimi con il proprio partner, e c’è in noi una sorta di pudore per come vengono presentate dai mass-media con enfasi giornalistica Quelle che sono state definite "stanze dell’amore". l ‘affettività per noi, che pure siamo in una situazione particolare, non si può ridurre al solo atto sessuale. la sfera affettiva è fatta di molti altri gesti, una carezza, lo stare insieme in un luogo che non sia oggetto di costante controllo visivo, passare Qualche ora serena con un figlio, è qualcosa che racchiude tutto il nostro "ristretto" universo emotivo. Sapendo che l’interesse per Questa Questione è forte, la redazione ha organizzato con Radio Sherwood la terza trasmissione radiofonica in diretta dal carcere Due Palazzi, proprio sui difficili rapporti dei detenuti con i loro famigliari. Una nota piacevole è stata per noi la presenza della dasse 5 B dell’Istituto Tecnico Commerciale Gramsci di Padova con la sua insegnante di diritto, Patrizia Cibin, che ha voluto sottolineare che "la nostra presenza Qui non è un’iniziativa estemporanea, ma è il prosieguo di un programma impostato sui diritti umani, partendo proprio dall’art. 27 della Costituzione secondo il Quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". In collegamento telefonico è intervenuto, rispondendo alle domande dei detenuti, l’onorevole Franco Corleone, sottosegretario alla Giustizia con delega per il carcere, che ultimamente interpelliamo spesso, nella speranza che tenga fede agli impegni che sta prendendo per il carcere. Corleone ha sottolineato che la detenzione è già privazione della libertà: la negazione della possibilità di coltivare gli affetti familiari in carcere sarebbe una pena aggiuntiva. I rapporti con la famiglia devono invece essere favoriti al di là dei colloqui che già avvengono settimanalmente: oggi si sta pensando di rendere possibili Questi incontri in strutture pensate come unità abitative separate dal complesso carcerario. La progettazione di Queste strutture dovrà tener conto della necessità di garantire tutti i comfort; la gestione sarà affidata a associazioni o cooperative sociali (l’ex direttore del D.A.P., Margara, suggeriva l’impiego del volontariato) che dovrebbero garantire una corretta gestione di Questi ambienti. Un detenuto è intervenuto con una domanda all’onorevole: "Alcuni stati europei, Olanda, Spagna, Finlandia, Svezia" hanno da decenni introdotto nei loro Ordinamento Penitenziario la possibilità per chi è detenuto di avere dei colloqui con i suoi famigliari in luoghi in cui è garantita la riservatezza. L’Italia invece, come mai deve sempre aspettare che si muovano altri paesi per poi prenderne l’esempio, e arrivare inevitabilmente ultima?". Corleone ha risposto che in Italia spesso domina un falso moralismo: se poi in alcuni settori non stiamo al passo con realtà più avanzate è anche perché in casa nostra nel corso degli anni abbiamo dovuto superare emergenze legate ad una criminalità più forte ed organizzata di quelle presenti in altri paesi. Ha poi aggiunto di volersi recare in alcune carceri di stati europei dove ai detenuti è concessa questa possibilità, per prendere visione sia delle strutture in cui si svolgono questi particolari colloqui, sia delle modalità con cui sono organizzati. C’è una richiesta da parte dei detenuti, che queste strutture non siano fredde e asettiche: non è un particolare di poco conto, perché già non è facile accettare di esporre la propria vita più privata a commenti e intrusioni di esterni, se poi questo dovesse avvenire in luoghi fatti a immagine e somiglianza del carcere, l’effetto sarebbe pesantemente negativo. Corleone sembra tenere in forte considerazione questo aspetto del problema, perché risponde che già si sta pensando a dei miniappartamenti confortevoli, che garantiscano una privacy totale. Una nota curiosa è venuta dalla lettura, da parte del direttore del carcere dottor Carmelo Cantone, della bozza del nuovo regolamento di esecuzione dell’Ordinamento penitenziario, là dove si parla di queste strutture: in pratica le spese di gestione, luce, gas etc., non sarebbero a carico dell’Amministrazione ma dei detenuti che volessero usufruire di tale opportunità. La direzione potrebbe concedere l’utilizzo di questi spazi per un totale di 12 incontri annui, la cui durata non dovrebbe superare il giorno e mezzo. Torneremo su queste modalità, perché già si intravedono alcuni rischi: una nuova discriminazione verso i soggetti più deboli, cioè chi non ha risorse economiche per concedersi quello che non è certo un lusso, e, nel caso questi colloqui siano considerati premiali, la dipendenza sempre maggiore dei detenuti dalla discrezionalità di chi decide se e come concedere certi benefici. Nel corso della trasmissione, abbiamo potuto ascoltare anche alcune testimonianze preregistrate di familiari di detenuti. Un ex detenuto ha raccontato: "Qualche problema con mia moglie lo avevo anche fuori, prima dell’arresto. Quando poi fui arrestato, dopo pochi mesi lei mi chiese la separazione. L’impossibilità di mantenere dei rapporti che vadano oltre il semplice colloquio visivo, mi ha sottratto l’opportunità di tentare di riallacciare e mantenere un rapporto che giorno per giorno si andava sfaldando". La moglie di un altro detenuto ha sottolineato invece la totale freddezza con cui vengono svolti gli attuali colloqui, quel tavolo di marmo che divide e sembra accentuare le distanze, e ha spiegato di essere d’accordo sulla creazione di questi spazi per l’affettività, che poi vuoi dire anche stare insieme al proprio compagno in un ambiente dove non ci sia qualcuno che, ad ogni accenno di gesto d’affetto "fuori dalle regole", ti imponga un severo "state seduti!". Per ultima, la figlia di .un detenuto ha parlato del contraccolpo psicologico che le ha provocato l’arresto di suo padre: da principio non riusciva ad accettarlo, era rimasta impressionata dagli uomini in divisa che l’avevano ammanettato e portato via, e questo l’aveva bloccata impedendole per un lungo periodo di andare a fargli visita in carcere. Poi ci è andata, ma non è mai riuscita ad accettare l’idea che suo padre sia in quel luogo. Le è stato chiesto se riterrebbe positiva la creazione di questi "spazi per gli affetti", e il suo parere è stato sicuramente favorevole: poter incontrare un famigliare in ambienti fuori dal contesto carcerario renderebbe un po’ meno traumatico l’impatto con la condizione della detenzione. In conclusione, se anche c’è qualche perplessità fra i detenuti riguardo alla creazione di questi spazi del1’affettività, tutti sentono il forte bisogno di umanizzare il carcere, e questa possibilità di rapporti più umani con i propri famigliari potrebbe essere un passo avanti: molto dipende da come verrà attuata, naturalmente, e comunque resterebbe sempre la libertà di scegliere di non usufruirne, per chi teme che il carcere possa rendere squallidi certi momenti di intimità.
A cura della Redazione
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