Francesco Ceraudo e la sessualità

 

Medicina Penitenziaria - Relazioni Scientifiche

La sessualità in carcere:
aspetti psicologici, comportamentali ed ambientali,
di Francesco Ceraudo

Al momento attuale l’istituzione carceraria assolve due funzioni: quella di deterrenza e quella di neutralizzazione.

Secondo il dettato costituzionale sul concetto di pena, dovrebbe altresì assolvere una funzione rieducativa, ma questa è pura utopia, perché pensare di rieducare una persona isolandola per 22 ore al giorno e privandola di tutto, è inconcepibile.

La pena si caratterizza essenzialmente come privazione; nel caso della reclusione questo meccanismo non si arresta alla primaria privazione della libertà, ma va molto oltre, postulando norme, strutture, sistemi di vita, situazioni differenziali rispetto alla normalità dei rapporti umani liberi.

La privazione contiene in sé la sospensione dei rapporti umani e delle relazioni personali. Eppure da sempre il legislatore non ha interrotto del tutto le vicende umane tra le strutture penali e il contesto socio-affettivo esterno. L’individuo che viene assoggettato alla reclusione non sparisce dal mondo senza lasciare traccia di sé, ha diritto a colloqui con i familiari, quindi implicitamente si riconosce la imprescindibile esigenza di avvicinamento del recluso al mondo esterno, in particolare a quello dei suoi affetti.

Il soggetto che oltrepassa il portone di un carcere perde la sua dimensione di uomo e la sua dignità. La sua volontà viene chiusa a chiave come il suo corpo.

Con il passare del tempo in carcere si subiscono gravi alterazioni e mutilazioni in merito soprattutto alla vista, al linguaggio, al movimento, al sesso. Esiste un gravissimo problema sessuale in carcere di fronte al quale si osserva indifferenza, si preferisce schivare l’argomento, si preferisce non parlare. Invece il problema è terribilmente serio e merita un’attenta, legittima rivalutazione contro il silenzio della legge ed una opportuna considerazione da parte degli esperti della materia penitenziaria.

Permettere ai detenuti di vivere i propri affetti, aprire le carceri alla sessualità è un tentativo concreto di umanizzare la detenzione ed è un segnale importante di prospettiva per i detenuti e per i familiari, perché negare, impedire ad un detenuto la sessualità comporta sul piano sostanziale privarne anche la moglie o la fidanzata o la compagna che, in definitiva, non hanno alcuna colpa da espiare. Interrompere il flusso dei rapporti umani ad un singolo individuo significa separarlo dalla sua stessa storia personale, significa amputarlo di quelle dimensioni sociali che lo hanno generato, nutrito e sostenuto. Il carcere demolisce, anno dopo anno, quella che si potrebbe definire l’identità sociale del detenuto. Tutti sono concordi nel riconoscere che l’attività sessuale nell’uomo rappresenta un ciclo organico che non è possibile interrompere senza determinare nel soggetto, in ogni caso, dei traumi sia fisici che psichici. In carcere il tempo si dilata, gli spazi si restringono. Prevarica la solitudine, l’emarginazione. La realtà è allucinante, piena di desolazione.

Si sente imponente il bisogno di amare e di essere amato. Però intorno o vicino non c’è nulla a cui dedicare i propri sentimenti.

Il carcere è un momento di vertigine. Tutto si proietta lontano: le persone, i volti, le aspirazioni, le abitudini, i sentimenti che primi rappresentano la vita, schizzano all’improvviso da un passato che appare subito remoto, lontanissimo, quasi estraneo.

Il carcere così diventa un inferno dove prevaricano le inibizioni e le repressioni. Il detenuto viene rinchiuso in cella.

Viene rinchiuso il suo corpo ma anche la sua stessa volontà, i suoi stessi desideri. Tutto viene deciso e gestito dagli altri. La sessualità, invece, è l’unico aspetto della vita di relazione dei detenuti che non risulta normativizzata da regolamenti o da disposizioni ministeriali.

Quanto sopra crea inevitabilmente le premesse per il realizzarsi di inconfessabili arbìtri.

Risulta ormai comprovato che molti individui che fino al momento di essere associati al carcere avevano avuto ed espresso un comportamento sessuale normale, a causa della promiscuità della vita carceraria, del turpiloquio e delle oscenità di cui diventano spettatori, mano a mano che si adattano all’ambiente, vedono affievolirsi i loro freni inibitori e crollare i loro principi morali, lasciando che l’istinto incontrollato prevalga fino a giungere alle forme più basse di degradazione.

Masturbazione (eccitata dalle scene di giornali pornografici che rivestono le mura delle celle e soprattutto delle toilette), fellatio, pederastia, saffismo, rappresentano pratiche ben note negli Istituti Penitenziari, ma mentre nelle carceri giudiziarie il fenomeno è meno conclamato e l’omosessualità risulta per lo più occasionale, molto grave si presenta l’incidenza nelle carceri penali dove almeno il 70 - 80% dei detenuti si presta a pratiche omosessuali.

Secondo i dati ricavati dall’inchiesta di De Deo e Bolino, eccettuata una frazione di circa il 10% che non ha rinunciato, almeno in parte, alla difesa di scrupoli morali e sentimentali, quasi tutti gli altri fruirebbero di rapporti omosessuali.

In carcere si subisce un grossolano processo di depersonalizzazione ed uno parallelo di adattamento all’ambiente, contraddistinto dal codice della subcultura.

Per reagire allo stato di repressione, di continenza coatta, la maggior parte dei detenuti si crea, si ritaglia un proprio mondo sessuale tappezzando la propria cella con giornali pornografici (che risultano essere i giornali più acquistati e richiesti in carcere) cercando di coinvolgere i compagni con narrazioni fantastiche riferite all’attività sessuale precedente alla carcerazione.

"Dopo un po’ di tempo diceva un detenuto il sesso diventa un’ossessione. Prima si ricorre alla masturbazione anche 2 - 3 volte al giorno. In seguito, questa pratica non fornisce più l’appagamento delle proprie soddisfazioni e si è portati inesorabilmente a desiderare il rapporto omosessuale che può divenire talora anche mezzo di sfruttamento".

Difatti ci sono giovani che si prostituiscono magari per una dose di eroina e persino per un pacchetto di sigarette. Nell’ambiente carcerario la sessualità inibita erotizza tutta la vita del recluso e ne accentua il richiamo biologico con un ritmo intensamente dinamico. Il carcere in definitiva è il regno naturale per il flirt omosessuale, dell’adescamento, del corteggiamento, del prossenitismo, del ritualismo amoroso, della prostituzione aberrante con drammi di gelosia e di rivalità. In questa società anomala che è il carcere si distinguono due classi di detenuti i succubi ed i protettori con una casistica inimmaginabile di deviazioni, psicopatie, perversioni. Il detenuto, non appena oltrepassa il portone del carcere, deve abituarsi volente o meno a tanti cambiamenti piccoli o grandi.

Mangiare seduto su una branda, muoversi poco come se si ritrovasse su una navetta spaziale, assuefarsi a cibi non usati prima. Tutto in presenza di altri, anche dormire in un’ora insolita e con la luce accesa. Nei primi giorni, nei primi mesi il sesso non esiste. Lentamente avviene il risveglio. La lunga astinenza sessuale inizialmente determina sovraeccitazione permanente con stati reattivi dal punto di vista clinico (eccitazione, macerazione del pensiero, costruzione ideativa di situazioni scabrose, stato allucinante con violenza di rappresentazione).

Ci si deve riabituare alla passata giovane età con la masturbazione, che però, un po’ alla volta, lascia sempre più insoddisfatti, e lo sforzo continuo di richiamare alla mente immagini eccitanti dato il lento trascorrere dei mesi e degli anni e i ricordi che con il tempo sfumano sempre di più. Incomincia allora il periodo delle fotografie pornografiche, ma dura poco tempo.

È carta e soltanto carta, mentre fisiologicamente, fisicamente, si sente la necessità della carne per completare l’eccitazione. Fino a questo momento il detenuto con la sessualità normale è sempre riuscito a sentire "naturale schifo" per i discorsi dei detenuti più anziani di anni di carcere, basati sui contatti fra uomo e uomo o sull’eccitazione che può suscitare la nudità di un uomo, ma da questo istante stesso lentamente avviene lo sgretolamento che lascia disorientato il soggetto stesso.

La natura con la sua intrinseca, paurosa potenza, dopo essere stata imprigionata, umiliata, ridotta a monologhi solitari ha cominciato a muovere i suoi passi lavorando contro ogni volontà, disintegrando e neutralizzando le diverse barriere ed ambientando la sessualità sul terreno che è costretta a vivere.

Un uomo che prima non si degnava neanche di uno sguardo, diviene poi meta fissa ed obiettivo privilegiato dello sguardo del detenuto che avrà ritrovato un qualcosa di visivo per eccitarsi perché il ricordo della donna sarà andato sempre affievolendosi nel tempo in immagini quasi irreali. Lo stesso diceva un altro detenuto: "Ero considerato fuori del carcere uno dei più quotati dongiovanni. Ebbene, sono diventato omosessuale. Odio gli uomini che mi hanno costretto a diventare tale, ma sono grato all’inarrestabile potenza della natura. Il torrente della sessualità abbatte ogni diga. Se la diga dovesse resistere subentrerebbe la pazzia. Ho resistito prima di lasciarmi andare all’altra sponda, ma il desiderio sessuale è una forza pura che grida. La vita solitaria diventa un tormento perché si ha bisogno di toccare, ma toccare se stessi, ad un certo punto, non è più soddisfacente, non è più sufficiente. Allora si comincia a rubare con occhiate furtive le nudità dei compagni di cella mentre si spogliano o si vestono. Inizia il corteggiamento, il gesto affettuoso, la parola affettuosa, il resto è un epilogo scontato naturale. Uscendo da qui un giorno diceva un altro detenuto i miei desideri sessuali viaggeranno su due binari distinti. È assurdo, impensabile, che una volta libero tutto ritornerà normale. Non potrà mai essere così. Se si scopre difatti un piacere o meglio se si conquista faticosamente un piacere nuovo superando ostacoli di ogni genere, non si vorrà più perderlo. Non mi sento assolutamente in colpa per essere diventato omosessuale. La colpa va fatta risalire a chi costringe a questa dolorosa, degradante deviazione che con l’andar del tempo piace. Lo Stato fa chiasso a proibire le droghe e nel contempo costringe gran parte dell’umanità carceraria alla droga omosessuale. È un grossolano errore pensare che i detenuti inizino il loro percorso deviante con soggetti passivi. I pederasti fra la popolazione detenuta vengono considerati come fuori si calcolano le prostitute. I detenuti usano i pederasti quando non sono capaci di intrecciare una relazione con uomini normali".

È fin troppo comprensibile la scena, l’atmosfera che si registra in carcere quando arriva un travestito, un transessuale (tra i quali numerosi e famosi sono i viados brasiliani). Opportunamente l’Amministrazione Penitenziaria al fine di poter scongiurare motivi di disordine, sistema tali soggetti particolari in celle singole In carcere non vi è limite alle aberrazioni sessuali. Il codice della subcultura carceraria condanna però senza alcuna giustificazione la violenza sessuale commessa nei confronti dei bambini. E ritenuto un delitto abominevole, meritevole delle legittima vendetta dei detenuti, propriamente con la sodomizzazione del reo.

Anche in questa circostanza l’Amministrazione Penitenziaria, al fine di prevenire quanto sopra, è costretta ad isolarlo in cella singola. I diversivi alla solitudine sessuale non sono molti, né originali; televisione e gioco per distrarsi, religione e scuola per sublimarsi, lo sport per stancarsi. Un altro punto da considerare è questo in carcere non penetra il meglio della realtà sociale nel comportamento profondamente eticizzato. Vi entrano soggetti labili con i difetti e le esperienze maturate nel campo della deviazione.

La popolazione femminile non presenta simili gravità sia perché il numero delle detenute è esiguo, sia perché le donne non hanno la stessa ansia o tensione degli uomini per la privazione sessuale, essendo orientata a vedere il sesso in funzione dell’amore e non viceversa.

Il fenomeno della masturbazione o dell’omosessualità è quindi meno appariscente e le relazioni omosessuali più che nella omosessualità trovano la spinta nella ricerca di rapporti sentimentali ed in una sfera d’intimità, cosicché i rapporti lesbici formano relazioni pseudofamiliari e non creano motivi di disordine.

Soprattutto noi Medici Penitenziari non vogliamo, non possiamo, non,dobbiamo chiudere gli occhi sui problemi, sui bisogni, sui drammi degli uomini ristretti in carcere. E difficile potersi illudere che questi problemi scompaiano o si risolvano da soli, per quanto comodo sia talvolta non vedere ed invece sia amaro, tormentoso sapere o capire. Il problema dell’affettività in carcere merita attenzione e rispetto perché vi confluiscono e l’animano gli istinti, le sensazioni, le emozioni, i sentimenti radicati in ogni uomo. L’affettività è insopprimibile bisogno di vita, un po’ come respirare, nutrirsi, dormire. Mutilando l’umanità, comprimendo la natura oltre un certo limite, non rimane che la patologia della rinuncia o la patologia della degenerazione.

In modo ineluttabile i detenuti risultano consegnati ad una dimensione esistenziale monocromatica, dimezzata per l’assenza dell’altro sesso che solo dà senso al proprio. Ne derivano gravi tensioni, inquietudine, frustrazioni, deviazioni, perversioni, tendenze ed esposizione alla violenza.

Si accentuano le turbe psicosomatiche.

Allora è forse il momento di chiedersi se fra quei bisogni e quei diritti dei detenuti vi siano anche il bisogno e il diritto di amare e di essere amati secondo le soluzioni adottate da paesi di grande civiltà penitenziaria come la Danimarca, la Norvegia, la Svezia.

Sulla stregua di tali considerazioni, esiste l’esigenza di istituzionalizzare con tutte le cautele egli accorgimenti del caso il diritto alla sessualità.

I permessi - premio, i periodi brevi di licenza, le possibilità di avere incontri con la propria partner in carcere possono delineare alcune soluzioni del problema. Sulle celle dell’amore si frappongono tuttavia delle perplessità di ordine psicologico, di ordine ambientale e morale, come sostiene De Deo.

Le motivazioni ambientali sono da riferirsi alla mancanza, in carcere, di strutture logistiche tali da evitare alla coppia di sottrarsi agli ineliminabili controlli e agli agenti di Polizia Penitenziaria di essere adibiti anche a custodia e controllo degli amori tra le sbarre.

Nelle motivazioni psicologiche rientrerebbe la frustrazione della coppia in quanto verrebbe condizionata nella sua libertà di espressione.

Le motivazioni morali sarebbero da riferirsi alle problematiche legate alla numerosa fetta di popolazione detenuta rappresentata dai celibi e dagli extracomunitari, cui dovremmo, ritenendo la sessualità un diritto ineliminabile di tutti, preoccuparci di trovare delle volontarie dell’amore. In carcere si va perché si è puniti e non per essere puniti.

La pena rilevante della privazione della libertà, e qualunque patimento ulteriore, qualunque misura di afflizione non hanno senso, scopo e giustificazione. Offendono soltanto la ragione e l’umanità. È forse anche triste e mortificante condannarli ad inseguire la giustizia sulla strada della sofferenza piuttosto che su quella dell’umanità, della civiltà, della speranza Esistono altresì fondamentali interessi di difesa sociale.

Il carcere deve essere in grado di restituire alla società uomini e donne non dico migliorati perché ciò è utopia, ma almeno non peggiorati e degradati nella loro dignità. Molte sono ormai le denunce corredate scientificamente dei guasti psicologici che l’astinenza comporta sulla personalità del recluso, tutte concordi nel riconoscere che l’attività sessuale nell’uomo rappresenta un ciclo organico che non è possibile interrompere senza determinare nel soggetto, in ogni caso, dei traumi sia fisici che psichici.

Al detenuto va riconosciuto il diritto alla sessualità libera e consapevole attraverso visite periodiche dei coniugi e dei conviventi Attualmente sono in vigore 4 ore di colloquio e 12 minuti di telefonata mensile un periodo di tempo troppo breve che non può nutrire e sostenere alcun tipo di rapporto affettivo.

La vita sessuale ed affettiva, ricca di sfumature e di elementi veramente armonizzati e fluttuanti, è un valore costitutivo della dignità di ogni uomo. Si pone tra le componenti fondamentali della persona. La stessa Legge 653/86 introduce una nuova normativa in tema di permessi - premio allargando in misura considerevole la possibilità per i detenuti di trascorrere periodi di tempo all’esterno del carcere.

Particolarmente significativo è l’art. 30 ter. Tale norma sancisce infatti la possibilità di usufruire, sia pure in particolari condizioni, di permessi-premio, ed indica nelle sue motivazioni il riconoscimento al recluso di poter coltivare interessi effettivi, culturali o di lavoro all’esterno della struttura carceraria.

Al fine di poter comprendere come e quanto la carcerazione possa interferire sulla sessualità sono in corso alcuni studi presso l’Ospedale Penitenziario di Pisa. Vengono valutati: il periodo della carcerazione, eventuali malattie intercorrenti, modelli di sessualità, di inquadramento della personalità, al fine di evidenziare eventuali turbe psicologiche e/o psichiatriche. Viene rilevato il dosaggio di Cortisolo, PRL, Testosterone, Melatonina, al momento dell’ingresso in carcere, dopo 1 anno e dopo 5 anni di detenzione.

Forse sono ben pochi coloro che hanno capito che per i detenuti anche il carcere più moderno, fornito di tutti i conforti (doccia, televisione, giornali) rappresenta una sofferenza indicibile per la privazione della libertà fine a se stessa. I permessi dell’amore dovranno rappresentare forse la prima, civile risposta a questo incredibile pianeta di sofferenze e privazioni, dal momento che le riviste pornografiche o l’immaginazione non possono colmare i gravi vuoti determinati dalla mancanza d’affetto e di amore. Il carcere è malattia. Il carcere è esso stesso una sindrome, una sindrome sociale.

Non esistono al momento attuale risposte concrete ed efficaci in sede operativa, ma solo tentativi di approccio per tentare di portare a risoluzione il problema della sessualità. Credo che l’essersi soffermati a riflettere su un aspetto così significativo dell’istituzione carceraria, possa risultare utile per una legittima problematizzazione del fenomeno. Anche questo è un segnale importante nella prospettiva di un carcere più civile ed umano.

 

 

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